CIMITILE, Fabio Albertini principe di
Nacque il 9 febbr. 1755. presumibilmente a Napoli, da Gaetano principe di Cimitile e di San Severino, marchese di San Marzano. Era nipote del noto diplomatico napoletano Giambattista Albertini, ma a differenza dell'avo visse lontano dalla corte e dai pubblici impieghi per dedicarsi ai suoi interessi eruditì. Solo durante il nonimestre costituzionale, nel 1820-21, accettò a malincuore incarichi diplomatici che lo proiettarono improvvisamente sulla grande scena politica europea. Nel luglio 1820 l'appena costituito governo costituzionale risolse "subito" di inviare il C. in missione speciale "presso l'Imperatore di Russia onde fargli conoscere le gravi considerazioni" che avevano indotto il re Ferdinando I a concedere la costituzione spagnola "e prevenire con questo esempio preponderante ogni ingerenza degli Esteri nei nostri Affari Interni" (così il ministro costituzionale degli Esteri, duca di Campochiaro, in una lettera del settembre 1820, citata in Weiss).
Nulla sappiamo dei motivi che indussero il governo a scegliere per una missione così delicata proprio l'inesperto C.: possiamo solo ipotizzare che questi avesse rapporti particolarì con personalità importanti della corte o del governo russi. Apparentemente immune, agli occhi del re, della macchia di trascorsi inurattiani, era moderatamente liberale e contrario alla costituzione spagnola; in ottobre il card. Spina, a Bologna, lo descriverà al Consalvi come "uomo accorto sì e con delle idee piuttosto liberali, ma moderato al tempo istesso, riflessivo, e avverso sopratutto a tutto ciò che può sentire lo spirito di setta e d'influenza popolare".
L'esitante C., rassicurato dalle promesse di protezione del duca di Calabria, obbedì agli ordini sovrani ritenendo dovere dei "buoni sudditi" prestarsi sempre a tutti i "servizzi" cui sono chiamati da "Sovrano e Patria", senza "consultare né interessi né incomodi né pericoli", come ricorderà allo stesso principe ereditario dopo la caduta del regime costituzionale (Atti, V, 1, pp. 295 s.).
In seguito insorsero nel governo dubbi ed esitazioni circa questa missione, che avrebbe potuto suscitare sospetti e preoccupazioni nell'animo del vecchio principe dì Serracapriola, da moltissimi anni ministro napoletano in Russia, e dello gtesso zar. Mentre la stampa protestava perché "dopo 32 giorni questa idea rimanga ancora un'idea, e perché si veda passeggiare lentamente Toledo quel principe dì Cimitile, che dovrebbe trovarsi già alle porte di Netroburgo" (Minerva napolitana, 8 ag. 1820;vedi anche Voce del Secolo, 22 ag. 1820), il governo provvedeva a rassicurare il Serracapriola confermandogli la propria fiducia (di cui si rivelerà degno), e assicurando che la missione del C., comunque a lui sottoposto, era temporanea, e inviando in Russia, in qualità di corriere, un figlio dello stesso Serracapriola; il 27luglio nominava inoltre il C. ministro plenipotenziario a Londra, in sostituzione di G. Ludolf.
Il C. partì infine il 15 agosto. A Vienna, in attesa dei passaporti richiesti in Russia dal giovane Serracapriola, chiese e - non essendo rivestito di alcuna qualità diplomatica nei confronti dell'Austria - ottenne un incontro con Metternich, cui seguirono, sempre agli inizi di settembre, altri due quasi imposti di sorpresa dal Cimitile. Fu un dialogo tra sordi. Metternich, minaccioso e truculento, enunziò la nuova teoria del diritto di intervento negli affari interni di uno Stato.
L'imperatore non può sanzionare quanto avvenuto a Napoli: "questo atto varrebbe altrettanto che ...scendesse dal suo trono". E, sempre nel suo rapporto del 7 settembre (Atti, V, 1, pp. 73s.) il C. rilevava: "Non valgono ragioni con chi non ci teme, e che crede, nell'esempio di vendetta contro Napoli, aver trovato il paIladio contro le pretenzioni degli altri popoli d'Europa".
Il C. si limitò a confutare alcune accuse del Metternich - il predominio dei carbonari, per esempio - e a prospettare i pericoli per il re e i benpensanti in caso di atti di ostilità austriaci, ma al Metternich nulla importava della salvezza del re (un bagno di sangue sarebbe stato estremamente utile ai fini della sua politica): unica sua preoccupazione era quella "della salvezza dell'ordine sociale". Al C. peraltro interessava soprattutto appurare, nell'ambito della politica governativa, quali, sia pur radicali, mutamenti costituzionali avrebbero potuto soddisfare l'Austria e dissuaderla dai suoi progetti ostili. A torto l'Alberti (Atti, IV, pp. LXXXIII s.) nella sua analisi di quegli eventi accusò il C. di avere "preventivamente compromesso l'esito della strombazzata missione in Russia, con un primo, autentico insuccesso" a Vienna, e di essersi lusingato di "convertire [Metternich] alla causa napoletana con le sue arti, non abbastanza raffinate, e con chiacchere inconcludenti". In effetti il rifiuto russo di riceverlo non può porsi in relazione coi colloqui viennesi se non altro per ragioni di tempo, e gli incontri col Metternich e la linea di condotta in essi seguita furono non frutto di una iniziativa personale del C. bensì adempimento di precise istruzioni ministeriali.
Nel tentativo di allacciare rapporti o intavolare trattative con l'Austria il C. era stato preceduto da Cariati e dal giovane Serracapriola, e mentre era a Vienna già bussava invano alle porte il duca di Gallo. Né, come noterà in Parlamento il Campochiaro, Metternich aveva ora detto nulla di particolarmente nuovo in confronto ai precedenti colloqui. A questo colloquio il Metternich volle poi dare. per propri motivi di politica internazionale, ampia pubblicità facendone stampare sulle gazzette tedesche un resoconto in cui il suo "langage" (e non solo questo) sembrava ovviamente "avoir été un peu plus soigné" di quello dei suo interlocutore. Purtuttavia, considerando che "il n'y a pas d'artifice qui puisse faire passer le bon droit dans une mauvaise cause" lo stesso Bignon (autore di queste considerazioni) e la stampa liberale europea in genere (incluso il Vrai Libéral di Bruxelles), e quella napoletana in particolare, diedero ampia diffusione a questa aberrante teoria di diritto internazionale appunto per le vivaci reazioni negative che essa suscitava. Epperò non mancarono violente proteste, soprattutto per il ruolo passivo dei C., per cui a Napoli si reclamò con forza la pubblicazione della sua versione, pubblicazione che, pur vagheggiata dal governo, non ebbe mai luogo.
Ricevuta la risposta russa, cortese ma negativa, dettata dal desiderio di conformare il proprio atteggiamento nei confronti degli agenti diplomatici costituzionali a quello dei suoi alleati, il C., subito espulso dall'Austria, rientrò in Italia. Il 25 settembre giunse a Bologna, "quartier generale dei maleandati diplomatici napolitani" (Minerva napolitana, I, p. 234), ove, sottoposto alla più severa sorveglianza pontificia per conto degli Austriaci, rimase in attesa delle credenziali per Londra. Nel Parlamento napoletano intanto il ministro degli Esteri dichiarava, il 4 ottobre, che il governo aveva la certezza che a Londra il C. sarebbe stato "ben ricevuto, sebbene dovrà forse tardare alquanto a spiegare un carattere diplomatico". Giunse a Parigi il 23 ottobre, dopo una breve sosta a Torino. In quest'ultima città i suoi troppo cordiali colloqui con il ministro russo conte Mocenigo preoccuparono soverchiamente il suo omologo austriaco F. von Binder, finché questi non venne rassicurato che tanta cordialità era stata dettata da interessi squisitamente personali dei russo a Napoli. Il C. aveva cercato di cqnsegnargli la lettera dei re allo zar di cui era latore, ma il Mocenigo aveva rifiutato e, per solidarietà coi collega, anche l'ambasciatore di Russia a Parigi, Ch.-A. Pozzo di Borgo, rifiutò di riceverla. Ebbe comunque col C. cordiali colloqui (allarmando l'ambasciatore austriaco, informato solo del primo), in cui discussero anche progetti di mutamenti costituzionali: il C. cercava un'intesa, ma assicurava anche che i Napoletani si sarebbero difesi fino all'ultimo. Sempre a Parigi collaborò attivamente con i diplomatici costituzionali ivi residenti, Cariati e Brancia, nel tentativo di ottenere dal governo francese una promessa di mediazione tra Napoli e Santa Alleanza a condizione che il governo napoletano modificasse préalablement la costituzione del Regno secondo i principî della Charte. È probabile che il C., "ministeriale" e contrario alla costituzione spagnola, fosse conscio del fatto che il governo era deciso a servirsi comunque di queste trattative come copertura per un colpo di Stato moderato.
Le trattative non diedero i risultati sperati, ma il governo nel suo tentativo di colpo di Stato, agli inizi di dicembre, le presenterà poi sotto la luce più favorevole anche censurando i dispacci dei propri diplomatici. Nella prima metà di novembre il C. ebbe importanti incontri col ministro degli Esteri Pasquier, che lo maltrattò, e con lo stesso duca di Richelieu, anche questo senza esito. Ebbe più successo nell'ambito dei contatti intrapresi dai diplomatici napoletani con noti pubblicisti liberali francesi, invitati a scrivere sul regime costituzionale napoletano - favorevolmente ma proponendo varie modifiche costituzionali moderate - per calmare le prevedibili apprensioni dei liberali napoletani. Su richiesta del C., J.-D. Lanjuinais scrisse così l'opuscolo, pubblicato a Parigi in dicembre, Vues politiques sur les changemens à faire à la constitution de l'Espagne, afin de laconsolider, spécialément dans le Royaume des Deux-Siciles. Il C. giunse l'11 dicembre a Londra ove trovò ancora il Ludolf che pur aveva accettato il trasferimento a Istanbul. Pur intrattenendo rapporti apparentemente corretti, i due si controllarono e ostacolarono a vicenda. Il Ludolf era rimasto segretamente fedele al re e al suo entourage assolutista, cui riferiva sui rapporti del C. con i peggiori soggetti dell'opposizione, con volontari per Napoli, mercanti di armi, ecc. Il primo incontro col ministro degli Esteri Castlereagh, il 14 dicembre, fu cordiale ma inconcludente, se non negativo: il ministro reazionario e austrofilo, non riconoscendogli veste diplomatica, ritenne di non poter rispondere ai quesiti del C. circa la politica britannica nella questione napoletana. Questi comprese immediatamente l'inutilità dei suoi sforzi in questa direzione e propose di rivolgersi, contrariamente a quanto prescrivevano le istruzioni, all'opposizione considerandola unica, seppur pericolosa, possibilità di azione.
In Inghilterra il C. sembra avere assunto un atteggiamento più favorevole al regime costituzionale lodandone la politica saggia e moderata. L'importante documento britannico del 19 genn. 1821, brillante confutazione e recisa condanna della teoria austroárussa dell'intervento, illogicamente non contemplava la questione del Regno delle Due Sicilie pur proclamando la propria neutralità. Né ingannò l'opposizione Whig, che pochi giorni dopo attaccò in Parlamento la politica napoletana dei governo. Nel violento atto d'accusa i maggiori esponenti Whig diedero notevole rilievo al non riconoscimento del C. come ministro napoletano presso la corte di S. Giacomo, definito un "direct breach of this boasted neutrality" (earl Grey). Castlereagh si trincerò dietro insostenibili cavilli di diritto interna.zionale, pur assicurando che il C. era rimasto soddisfatto delle attenzioni usategli e delle comunicazioni fattegli "in his private capacity which his high rank no less than the respectability of his personal character so justly demanded".
Fu, praticamente, l'ultima comparsa nell'agone internazionale del C., che partì da Londra il 23 genn. 1821 in seguito ad un ordine di Ferdinando I, giunto in Toscana sulla via per Lubiana, dallo stesso re tanto maldestramente copiato dalla traduzione di un'ingiunzione metternichiana da ingiungere al C. di accorrere sì a Lubiana, ma fermarsi a Linz. A Parigi il C., Cariati e Brancia decisero di non obbedire all'incostituzionale nonché contraddittorio e rivelatore ordine del re. Il C. ritornò a Londra il 30 marzo. Saputo della sconfitta definitiva del regime costituzionale, scrisse una dignitosa lettera al principe ereditario, in cui rifiutava di rientrare a Napoli men che onorevolmente. Non gli "duole" la caduta dei regime costituzionale. Ricorda di aver compiuto il suo dovere. "A me, Signore, la coscienza non rimorde. Ho potuto mancare per intelletto, non mai per volontà. La sola cosa, che ambisco, si è l'opinione di uomo onesto e d'onore presso il mio Sovrano e presso i miei concittadini". Coerentemente rimase a Londra finché l'avvento al trono di Ferdinando II nel 1830 gli permise di rientrare onorevolmente a Napoli. Rarissimi gli accenni al C., in documenti pubblici e privati, negli anni successivi al '21.
Il C. morì a Napoli il 5 marzo del 1848.
Lamentando la dispersione, ad opera degli eredi, della sua magnifica biblioteca, il Volpicella scrisse un commosso ricordo del "vecchio venerando e magnifico" nella sua biblioteca di "scelti esemplari di stampe rarissime e manoscritti é codici preziosissimi".
Aveva sposato Marianna Guevara Suardo dei duchi di Bovino. Il figlio primogenito Giovanni Alberto (nato il 27 marzo 1794, morto il 13 ag. 1854) fu nominato, il 26 giugno 1848, pari del Regno per censo.
Fonti e Bibl.: Essenziale Atti del Parlam. delle Due Sicilie 1820-1821, a cura di A. Alberti, Bologna 1926-31, ad Indicem (e V, I, pp. 205-10), ove sono anche editi i più importanti docum. diplomatici. Cfr. anche i giornali napoletani coevi e la Minerva napolitana, I(1820), pp. 38, 40, 45, 93 s., 186, 323 ss.; II (1820-21), pp. 216-224 (colloquio C.-Metternich), 284 s. e nota; III (1921), pp. 89 s. Per il colloquio C.-Metternich vedi anche Voce del Secolo, 29 dic. 1820 e 5 genn. 1521, e V. Bignon, Du Congrès de Troppau..., Paris 1821 (2 ed.), pp. 43, 229-41. Per la missione in Russia, I. Weiss, Un diplom. napol. contro la Santa Alleanza [P. de Angelis], in Nuova Antol., febbraio 1952, pp. 176 ss., 182. Per Bologna, vedi: J. H. Brady, Rome and the Neapolitan Revolution of 1820..., New York 1937, pp. 53 ss.; i documenti, la relaz. del cardinale Spina, e trascrizioni di lettere del C. intercettate (dimostrazione plateale della falsità della asserzione pontificia di neutralità) in Arch. Segr. Vaticano, Segret. di Stato, 1821, r. 242, fasc. 1, cc. 13-43. Per i colloqui con il Mocenigo, vedi Le relaz. diplom. fra l'Austria e il Regno di Sardegna, s. 1, II, a cura di N. Nada, Roma 1968, ad Ind.;e per quelli con il Pozzo di Borgo Correspondance diplomatique des ambassadeurs... de Russie en France..., a cura di A. Polovtsoff, Saint-Petersbourg 1908, ad Indicem. Per l'attività del C. a Parigi, e la convocazione a Lubiana, V. Sperber, Intorno alla Politica napol. della Francia nel 1820-21, in. Rass. stor. del Risorg., LV (1968), pp. 184 s., 193 s., 209 s.; i dispacci del C. da Parigi venivano dati da Ferdinando Iin visione all'incaricato francese a Napoli: vedi copie Parigi, Archives du Ministère des Affaires Etrangères, Naples, 144, cc. 112-121 (vedi anche Archivio diStato di Napoli, Archivio Borbone, 270, cc. 208-211r; per il Mocenigo, dispacci del cav. T. Pescara, cc. 129 e 133). Per i dibattiti al Parlamento britannico The Parliamentary Debates (T. C. Hansard), n.s., IV, 1821, coll. 790, 847, 871 s., 1050s. Il Catalogo della libreria già raccolta da F. A. principe di C., Napoli 1850, contiene 3253 titoli (prevalgono i classici e filologi grechi elatini; 30 codici);il ricordo di S. Volpicella è in G. B. del Tufo, illustratore di Napoli del sec. XVI, in Atti della R. Accad. di archeol, lettere e belle arti di Napoli, X (1881), pp. 37 s. Discarsissimo interesse sono i non molti riferimenti al C., anche nel 1820-21, negli epistolari dell'epoca.