CHIAVARI, Fabiano (Fabiano da Genova)
Nacque a Genova intorno al 1489 in una antica famiglia originaria di Chiavari trasferitasi a Genova fin dal XII sec., che aveva dato alla Chiesa il beato Alberto maestro generale dei domenicani, il benedettino Simone, vescovo di Brugnato, il beato Marco, francescano, e che, ai tempi del C. e successivamente, illustrò anche lo Stato con i dogi Gian Gerolamo (1583-1585) e Gian Luca (1627-29), rispettivamente suo nipote e pronipote.
Nel 1516 il C. entrò nel convento della Consolazione degli eremitani agostiniani della Congregazione dell'osservanza di Genova. L'11 apr. 1518 fu promosso lettore, due anni dopo baccelliere ed il 12 sett. 1521 magister sacrae theologiae. In quell'anno fu destinato a Padova come rettore dello Studio teologico del suo Ordine che resse fino al 1525, anno d'elezione a vicario della Congregazione di Genova. Nel 1539 prese parte al capitolo generale dell'Ordine a Napoli come definitor provinciae Narbonae et Burgundiae. In quello stesso capitolo fu eletto generale Girolamo Seripando che per dodici anni governerà l'Ordine, annoverando fra i più stretti e fidati collaboratori il Chiavari. Rientrato a Genova, il C. si adoperò per la riforma del convento di S. Agostino, segnalandosi all'attenzione del generale che lo ringraziò con due lettere del 17 nov. e del 28 dic. 1542, invitandolo, inoltre, a partecipare al capitolo generale che si sarebbe riunito l'anno seguente a Roma.
In quell'occasione il Seripando - preoccupato per l'unità dell'Ordine, messa seriamente in pericolo dalla Congregazione osservante di Lombardia che, con le sue settantasette comunità, mirava a sottrarsi all'autorità del governo centrale, e desideroso di ricondurre tutte le province e congregazioni osservanti sotto la piena giurisdizione del superiore dell'Ordine - promosse la revisione delle costituzioni ratisbonensi del 1290 ed a tale scopo nominò una ristretta commissione di cinque religiosi. Ne fecero parte il C., il quale partecipava al capitolo in qualità di definitor Provinciae Bavariae, Francesco da Gambassi, Silvestro da Vicenza, Pietro Guerin e Tommaso da Villanova, sostituito da Antonio da Villasandino e Francisco de Nieva quando poco dopo il Villanova fu nominato vescovo di Valencia.
Nel 1546 il Seripando chiamò il C. a Trento, dove si celebrava il concilio, per affidargli la riforma della Congregazione di Lecceto, che si era allontanata dall'intensa spiritualità di cui era stata fulcro luminoso nel passato, e delle province di Pisa, di Siena e dell'Umbria, nominandolo vicario e visitatore. Un breve di Paolo III del 26 marzo 1546 consentiva al generale di delegargli i pieni poteri di commissario pontificio, grazie ai quali poté convocare il capitolo il 10 giugno e farvi eleggere un nuovo vicario, con piena soddisfazione del Seripando.
Nel dicembre di quello stesso anno, di fronte alle insistenti richieste di Andrea Doria e del cardinale Girolamo Doria, il Seripando fu costretto a mandare il C. a Genova perché vi predicasse la quaresima del 1547. Si può ipotizzare che tali richieste nascessero dall'acuirsi delle discordie cittadine fra nobili "vecchi" e nobili "aggregati" che, nel gennaio del 1547, ebbero una prima esplosione nella congiura dei Fieschi. Appartenenti, come l'agostiniano, alla nobiltà "vecchia", i Doria intendevano, forse, strumentalizzarne la predicazione per i propri fini politici o servirsi dell'equilibrio di cui il religioso aveva dato prova nelle delicate faccende dell'Ordine per riportare la quiete nella città. La sua sosta a Genova fu breve: nel capitolo riunitosi a Recanati nel maggio del 1547 veniva eletto provinciale di Lombardia.
Il 25 sett. 1549 il Seripando lo invitava a recarsi a Roma a spese dell'Ordine entro il 15 ottobre e a trattenervisi fino all'apertura del giubileo.
Motivo della convocazione: le difficoltà incontrate dal generale nel fare accettare a tutto l'Ordine le costituzioni nella nuova revisione, che, pur mantenendo intatta nelle sue parti essenziali e nella sua struttura la legislazione medievale, introduceva alcune clausole relative alla centralizzazione del potere nei capitoli generali e alla dipendenza di tutte le province e congregazioni, osservanti e non, dal generale. Contro quest'ultime si oppose la Congregazione lombarda facendo ricorso alle istanze competenti. "Havendo ... in questa attione bisogno et di conseglio et di aiuto" (Gutiérrez, Testi e note ..., p. 293), il Seripando si rivolse al C. che della revisione era stato uno dei principali artefici.
Il C. giunse a Roma il 17 ottobre, rassicurato dal Seripando che "in un mese sarà la cosa spedita" (ibid.), ma la morte di Paolo III nel novembre e quella del cardinale Ridolfi, protettore degli agostiniani, durante il conclave, ritardarono la soluzione della controversia. La causa promossa dalla Congregazione lombarda terminò il 5 marzo 1551 e solo il 1º aprile di quell'anno furono promulgate le costituzioni, precedute da una lettera del cardinale Cervini, protettore dell'Ordine, che imponeva le nuove clausole a tutti gli agostiniani in nome di Giulio III.
Frattanto nel luglio 1550, fiaccato dal difficile governo dell'Ordine, il Seripando si ammalò gravemente e decise di rinunciare al generalato. Prima del capitolo generale che doveva procedere all'elezione di un nuovo generale, il Cervini chiese allo stesso Seripando di indicare un successore idoneo e questi fece due nomi, quello di Cristoforo da Padova, allora procuratore, e quello del Chiavari.
Non contento, il cardinale chiese informazioni a Guglielmo da Bologna, il quale pose anch'egli il C. secondo nella rosa dei candidati, giudicandolo "huomo santo et dotto" pur se meno idoneo di Cristoforo da Padova a cariche di governo, perché poco conosciuto "essendo stato quasi sempre a Genova et non in continui offitij di regentia" (ibid., p. 345). Dalle ulteriori indagini svolte dal rigoroso Cervini, il quale, peraltro, "ne havea già udito gran bene et quando gli parlò gli piacque assai" (ibid., p. 357), risultò che "maestro Fabiano è sospetto di dottrina" (ibid.). Idue interlocutori agostiniani del cardinale protettore di fronte a tale affermazione replicarono con fermezza pari allo stupore: "noi saltassimo sopra et trovassimo tutti i due i da admirantis,exclamantis etdolentis, molto maravigliandoci et dolendoci di tal cosa, come troppo nuova et quasi impossibile a pensare, non che a credere, imperoché nella religione mai si è sentita cosa alcuna di lui, se non che sia huomo di santissima dottrina et vita; et in Genova ha grandissimo credito appresso tutti gli huomini da bene et inquisitori, che non si tratta cosa theologica che lui non ci intervenghi. Anzi, havemo detto dubbitar di lui più presto il contrario, che sia più presto pelagiano che altro; et che lui ha mantenuto sempre la sua congregatione in pace et osservantia delle leggi dell'ordine ... Et di più che lui ha già scritto ... che non vorrebbe più star a Genova, per non poter più suportar le cose indebite che occorrono tra quelli mercanti né gli basta più l'animo di udirli in confessione: il che tutto procede dalla simplicità et buona conscientia sua" (ibid., pp. 357-58).
Il Cervini "restò satisfattissimo et mostrò haverne grand'allegrezza" (ibid.), ma la candidatura del C. al generalato cadde e venne sostituita con quella a procuratore dell'Ordine, che il cardinale s'impegnò ad appoggiare. Tuttavia, nel capitolo celebrato a Bologna nella Pentecoste del 1551, "che elesse Cristoforo da Padova generale, al C. fu preferito come procuratore Gregorio da Padova che doveva poco dopo essere processato per eresia.
Gli succedette il C. il 24 giugno 1554. La sua nomina, avvenuta extra capitulo, venne confermata nel capitolo di Rimini del 28 maggio 1555 e riconfermata in quello del 1559. Due anni dopo, stanco e desideroso di quiete, il C. chiese di essere esonerato dal suo ufficio, ma solo alla fine del 1562 il suo desiderio fu esaudito.
Al suo rientro a Genova, i Doria lo vollero priore della chiesa di S. Matteo di loro patronato e chiesero l'autorizzazione al generale Cristoforo da Padova, allora a Trento per il concilio. Ottennero quanto da loro richiesto, mentre al C. fu concesso di conservare l'abito agostiniano e di condurre con sé a S. Matteo due religiosi della sua Congregazione.
L'8 ott. 1566 Pio V, su richiesta del futuro doge Nicolò Doria, stabilì (bolla Regimini universalis ecclesiae) che la chiesa di S. Matteo "amplius Prioratus non sit, nec nuncupetur, sed Abbatia, ac Fabianus ... non Prior sed Abbas existat et nuncupetur, ... nec non mitra; et baculo pastorali, et aliis insignibus episcopalibus ... potiri et gaudere possit (Bracco, p. n. n.).
Il C. morì a Genova il 2 apr. 1569, e fu sepolto nella sua chiesa abbaziale.
Ci sono pervenute non poche lettere della corrispondenza fra il Seripando e il C., che testimoniano non soltanto della grande fiducia che il generale riponeva nell'agostiniano, dimostrata nelle delicate mansioni affidategli negli anni in cui l'Ordine attraversava una crisi così profonda da minacciarne la stessa coesione, ma anche di un'amicizia fatta di reciproca stima e di intima comunione di pensiero che si protrasse ben al di là del periodo in cui i due uomini furono legati da un rapporto gerarchico. Ad un'epoca posteriore alle dimissioni del Seripando dal generalato risalgono infatti parte della corrispondenza e le due visite del C. a Salerno nel novembre del 1554 e nel maggio del 1560. Il Seripando dopo una di queste annotò nel Diarium de vita sua: "adventu magistri Fabiani Ianuensis magnopere sum recreatus" (D. Gutiérrez, Hieronymi ..., p. 132). Dalle lettere si desume inoltre che il Seripando confidava al C. i suoi intimi pensieri e sottometteva al suo giudizio i propri scritti. Per contro, se la lettera del 3 genn. 1556 in cui il Seripando esprimeva l'opinione che la predicazione nella cappella pontificia era "cosa travagliosa et di molto risico" (Jedin, II, p. 71) va messa in relazione alle prediche che il C. effettivamente pronunciò dinanzi a Paolo IV nell'avvento del 1555 e nella quaresima del 1556, si può congetturare che il Seripando cercasse di mettere in guardia l'agostiniano dai pericoli in cui sarebbe incorso predicando di fronte ad un pontefice che si apprestava a perseguitare uomini come il Pole ed il Morone dalle posizioni dottrinali non molto lontane da quelle del Seripando e forse anche dello stesso Chiavari. Tale ipotesi è tanto più credibile se si tiene presente che il Seripando fu uno dei più tenaci assertori della grazia e che il C. al tempo della sua candidatura al generalato dell'Ordine era stato accusato dai suoi oppositori di antipelagianesimo. Quali che fossero le sue convinzioni in materia di fede, va tuttavia sottolineata la preparazione teologica del C. che gli valse la nomina ad esaminatore degli scritti savonaroliani accanto al Lainez, agli inquisitori Ghislieri, Dolera e Bernardino Scotti, e a Matteo Lachi, nel quadro dell'inchiesta promossa dalla commissione dell'Indice sul pensiero e sulla vita del Savonarola che si svolse fra il febbraio e il dicembre 1558. Egli riassunse in alcune "censure", fino ad ora non rintracciate, la sua opposizione alla dottrina del domenicano e fu accomunato al Laínez nell'accusa di "malizia" e di "pazzia" dal piagnone Paolino Bernardino, difensore del Savonarola.
Ma il C. fu forse più noto ai suoi tempi per la sua profonda conoscenza delle correnti tecniche d'affari che ebbe modo di studiare da vicino dall'osservatorio privilegiato di Genova. Su richiesta del cardinale Giambattista Cicala redasse per Marcello Cervini, fra il 1552 e il 1555, un elenco di diciassette tipi di mutui ad interesse più o meno mascherati, che era probabilmente destinato ad essere utilizzato per l'emanazione di un provvedimento contro l'usura. Nell'anno 1554, ad istanza del vescovo di Caorle, Egidio Falcetta, vicario di Girolamo Sauli, arcivescovo di Genova, e dei cittadini genovesi, il C., insieme con altri teologi, dovette esaminare la questione se il cambio di Lione o di Besançon "senza scrupolo o carico di conscientia si potesse celebrare". Quale frutto di questo simposio apparve due anni dopo a Roma, per i tipi di Antonio Blado, ma composto nel 1554, il Tractatus de cambiis, in cui traendo materia dalle speculazioni sui cambi, che rappresentavano il grosso dell'attività delle fiere di Lione e di Besançon e che fruttavano ai Genovesi redditi considerevoli, il C. esaminò le varie tecniche adoperate dai banchieri suddividendo questi ultimi in due categorie: quelli che esercitavano biasimevolmente la loro arte solo per il proprio comodo e guadagno e quelli che si preoccupavano prima del bene pubblico e poi del proprio utile. L'analisi tecnica s'intreccia nel trattato con motivi moralistici quali la condanna del lusso sfrenato del suo tempo, dell'avidità, dei suoi concittadini, dei frati e chierici trafficanti, dei banchieri che prestavano ai principi, consapevoli che il denaro sarebbe stato adoperato per muovere guerra contro i cristiani. Non rintracciabile un altro trattato sul medesimo argomento o su argomento analogo cui egli faceva riferimento nel Tractatus de cambiis, a meno che C. non intendesse alludere al Tractatus de usuris et restitutionibus di Gherardo da Siena, di cui egli curò la prima edizione apparsa nel 1556, a Roma presso il Blado.
Opere: Aegidius Romanus, Primus tomus opere ..., Romae, apud A. Bladum, 1554-55, ff. 1r-17v (revisione del C. dell'Expositio in cap. Firmiter credimus extra de Summa Trinitate et fide catholica e dell'Expositio ... in cap. Cum Marthae,extra de celebratione missarum); Tractatus de cambiis. Auctore Fratre Fabiano Genuensi absolutissimo Theologo,Ordinis fratrum Eremitarum Sancti Augustini in Romana Curia Procuratore, Romae, in Aedibus Antonii Bladi, 1556 (ded. a Girolamo Seripando); fu ristampato a Roma l'anno successivo e nel 1566, e a Genova, A. Belloni, 1568, nella raccolta dei Tractatus universi iuris..., Venetiis, F. Zilettus, 1671, pp. 410 ss. e in De usuribus et restitutionibus nec non de cambiis tractatus locupletissimus. Auctoribus... Gerardo Senesi, Fabiano Ianuensi et Angelo Vancio..., Bononiae 1671, pp. 217-251; una traduzione italiana (Trattato del cambio di Lione,o di Bisenzone) ad opera di Antonio Maria Venusti è in Compendio utilissimo di quelle cose,le quali a nobili e christiani mercanti appartengono, Milano, appresso di Giovan'Antonio de gli Antonij, 1561; Orationes duae habitae coram Sanctissimo Paulo IV,prima dominica III Adventus 1555; secunda dominica III Quadrigesimae 1556, Romae, apud Bladum, 1556.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, filza 33, ff. 59r-60v; Concilium Tridentinum, ed. Soc.Goerresiana, Friburgi Br. 1901-77, II, pp. LXXXVIIIs., 447, 460; XII, p. 255; D. Gutiérrez, Hieronymi Seripandi "Diarium de vita sua"(1513-1562), in Analecta August. XXVI (1963), pp. 52, 84, 105, 111, 132; N. Giuliani, Albo letter. della Liguria, Genova 1886, pp. 34 s., 43, 49; N. Crusenii Pars tertia Monastici Augustiniani... cum additamentis... Fr. I. Lanteri, I, Vallisoleti 1890, pp. 112, 660; E. Esteban, Excerpta e Regestis R.mi Seripandi circa constitutiones Ordinis ab ipso in lucem editas, in Analecta Augustiniana, II(1907), pp. 58-62; D. A. Perini, Bibliographia augustiniana cum notis biographicis. Scriptores Itali, Firenze 1929, I, pp. 225-26; H. Jedin, Girolamo Seripando. Sein Leben und Denken im Geisteskampf des 16. Jahrhunderts, Würzburg 1937, I, pp. 189, 207 s., 228, 255, 284, 287 s., 458, 465; II, pp. 9, 21, 49, 60, 71, 95, 280, 299, 318, 322, 365, 399, 555, 562; D. Gutiérrez, Testi e note sull'ultimo quadriennio del generalato di Seripando, in Analecta Augustiniana, XXVIII(1965), pp. 293, 340 s., 345, 357 s., 363, 367 s.; R. Bracco, Fra F. C., agostiniano genovese,primo abate di San Matteo,nel IV centenario della morte, Loano s.d. [1969]; D. Gutiérrez, Los Agustinos desde el protestantismo hasta la restauración católica 1518-1648, II, Roma 1971, pp. 42-54, 63-66, 177; R. De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli 1973, pp. 81-87.