ROMANO, Ezzelino
III da. – Secondo il cronista padovano Rolandino, nacque il 25 aprile 1194 da Ezzelino II, detto il Monaco (v. la voce Romano, Ezzelino II da in questo Dizionario) e da Adelaide dei conti di Mangona.
Le prime notizie certe evidenziano come il padre l’avesse introdotto sin da giovane alle vicende politiche e militari della Marca. In particolare, nel 1213 Ezzelino affiancò il genitore e le truppe del Comune di Padova all’assedio di Este distinguendosi, secondo Rolandino, quale abile costruttore di armi da lancio utilizzate per il bombardamento della rocca. Carattere più spiccatamente politico ha la presenza di Ezzelino III, in supplenza del padre convalescente, al giuramento dell’accordo con il quale il 24 luglio 1218 i da Romano si impegnarono a restituire Bassano e Marostica al Comune di Vicenza.
L’episodio si inserisce chiaramente nella dialettica di contrapposizione di parte che aveva caratterizzato la vita politica delle città della Marca a partire dalla metà del XII secolo. Nella fattispecie, il prevalere in Vicenza della fazione avversa ai da Vivaro, spinse Ezzelino II a occupare l’importante sito fortificato di Marostica, utilizzandolo quindi come base di partenza per scorrerie in territorio vicentino. L’accordo visto sopra fu il risultato della mediazione operata dal podestà di Padova e da Giordano Forzatè, priore del monastero padovano di S. Benedetto.
La pace durò poco, e nel 1219 il prevalere in Vicenza della fazione dei conti nella persona di Uguccione Pilio provocò l’uscita dalla città dei sodali di Ezzelino II, in quel frangente impegnato a Treviso contro il patriarcato di Aquileia, come testimonia la sua presenza nel settembre 1219 all’atto con il quale numerosi castellani del Friuli occidentale assunsero la cittadinanza trevigiana.
A farsi carico della situazione vicentina fu Ezzelino III che, muovendo con le sue truppe da Bassano, affrontò i vicentini presso Bressanvido, infliggendo loro una pesante sconfitta, cosa che gli consentì di trattare da una posizione di forza per ottenere di rientrare a Vicenza con il fratello Alberico, grazie anche alla mediazione padovana. Appare chiara la volontà di Ezzelino III di inserirsi, in continuità con la politica paterna, nelle dinamiche politiche regionali che prevedevano necessariamente la creazione di raccordi sovra e intercittadini nell’ambito della polarizzazione di parte.
Proprio queste relazioni sovracittadine «di vertice» (Varanini, 1992, p. 117) con la pars dei Monticoli o Montecchi, antiestense e antisveva, consentirono a Ezzelino di fare il suo ingresso sulla complessa scena politica veronese. Parte non secondaria nel radicamento in Verona di Ezzelino ebbero anche «i ben noti matrimoni incrociati “di conciliazione”» (ibid.) di Ezzelino III con Zilia da San Bonifacio, appartenente alla famiglia leader della pars Comitum filoestense, e di Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino, con Rizzardo da San Bonifacio.
Il documento con il quale Ezzelino II divise il cospicuo patrimonio di famiglia tra i due figli Alberico ed Ezzelino III (1223), oltre che fornire una fotografia dell’ampio radicamento fondiario della famiglia, permette di apprezzare l’importanza delle succitate relazioni per l’ingresso dei da Romano a Verona, dato che in area veronese, diversamente che a Treviso e a Vicenza, la famiglia non possedeva alcuna autonoma base di potere. L’accorta politica condotta da Ezzelino fece sì che in seguito al colpo di mano dei Monticoli e del gruppo di milites detto Quattuorviginti, da poco trasmigrati dalla pars Comitum e schierati su posizioni antimperiali, gli venisse offerta la podesteria, che egli assunse nel giugno del 1226, anno cruciale che vide la convocazione di una Dieta imperiale a Cremona e la conseguente ricostituzione della Lega lombarda. In quel frangente l’azione di Verona e di Ezzelino si rivelò essenziale nel precludere all’imperatore Federico II di Svevia e al suo seguito di cavalieri la valle dell’Adige. Ezzelino agì dunque in perfetta continuità con la linea politica tenuta già dal padre e dal nonno che, contrariamente a quanto una lettura superficiale e in buona parte influenzata dalla tendenziosa narrazione del cronista padovano Rolandino (seconda metà del Duecento) ha fatto credere, erano stati tradizionalmente antimperiali e antisvevi. L’esperienza di Ezzelino alla guida del Comune veronese ebbe breve durata dato che già nel 1227, in seguito al ritrovato accordo tra l’imperatore e i Comuni, i rettori della Lega chiesero e ottennero l’allontanamento del da Romano dalla podesteria. Messi alle strette, Ezzelino e i suoi sostenitori reagirono nel solo modo che apparve loro possibile, assumendo il controllo di Verona con un colpo di mano, insediando come podestà Salinguerra Torelli e incarcerando Rizzardo da San Bonifacio.
Come ha evidenziato Sante Bortolami (2009), nell’occasione i rettori della Lega «compirono un imperdonabile errore di valutazione, facendo propria l’ostilità verso i da Romano della parte più oltranzista del variegato fronte antimperiale» (p. 15).
Allontanato da Verona, Ezzelino rivolse nuovamente la sua attenzione a Treviso e sul finire del 1228 lo si ritrova a fianco del Comune nella guerra contro il vescovo di Feltre e Belluno: un conflitto che in progresso di tempo assunse ampiezza regionale, coinvolgendo il patriarca di Aquileia, il Comune di Padova e il marchese d’Este. Da quel momento Ezzelino e il fratello collaborarono efficacemente con il Comune trevigiano fino al 1235, quando vennero entrambi banditi dalla città.
L’episodio è indicativo di un habitus mentale caratteristico di Ezzelino: infatti «egli trova lo spazio privilegiato della sua azione in quella dimensione del politico che, pur avendo tra i protagonisti i Comuni, travalica i confini cittadini» per coinvolgere i grandi signori territoriali e, proprio a partire da questo torno di anni, l’imperatore Federico II (Canzian, 2001, p. 78).
La situazione in cui si vennero a trovare tanto Ezzelino III quanto il fratello Alberico, e le obiettive difficoltà che Federico II incontrava sullo scacchiere italiano, fecero sì che maturasse in quegli anni una chiara convergenza di interessi che ebbe, come primo risultato tangibile, il rovesciamento di fronte interno alla città di Verona che i fratelli da Romano occuparono con le armi nell’aprile del 1232 aprendola alle forze imperiali grazie alla probabile mediazione di Alberto II conte del Tirolo (Riedmann, 2001, p. 30). Il legame allora instauratosi tra i da Romano e l’imperatore è testimoniato da due diplomi rilasciati da Federico II in Apricena nei quali si lodano i «nostri sperimentati fedeli» che non esitarono a esporre le loro persone e i beni in servizio dell’Impero. Iniziò in questo frangente una lunga e feconda, per quanto non sempre lineare, collaborazione tra Ezzelino da Romano e l’imperatore, destinata a chiudersi solo con la morte di quest’ultimo nel 1250.
Furono questi gli anni in cui la potenza e il prestigio dell’imperatore in Italia settentrionale toccarono il punto più alto, ed Ezzelino fu sempre presente nei momenti cruciali. Nel novembre del 1236, in seguito al tentativo congiunto di padovani, vicentini e trevigiani di conquistare Verona, Ezzelino, che in quel momento reggeva la città assieme a Bonifacio da Panico, fece appello all’imperatore, che, messe in fuga le truppe alleate, prese Vicenza lasciandovi un capitano di fatto controllato da Ezzelino che garantiva il presidio militare della città. Nel febbraio del 1237 anche Padova, massimo baluardo del fronte antifedericiano, trattò la dedizione all’imperatore, preparandosi ad accogliere, assieme al conte Geboardo di Arnstein che l’avrebbe retta in nome dell’imperatore, anche quell’Ezzelino che fino a quel momento «aveva perseguitato come un lupo». Pochi giorni dopo anche Treviso aprì le porte al messo imperiale. I cinque mesi tra novembre 1236 e marzo 1237 furono dunque decisivi non solo per la politica imperiale ma anche, e forse soprattutto, per Ezzelino che si rivelò in quei frangenti un alleato insostituibile per l’imperatore, impegnato in una vasta opera di riorganizzazione dell’assetto politico-amministrativo dell’Italia centrale e settentrionale.
L’obiettivo federiciano era ricondurre al controllo dell’impero ogni nucleo di potere locale attraverso la creazione di una rete di podestà, capitani e vicari imperiali, ciò che, per circa un ventennio, «poté essere realizzato solo al prezzo di particolari concessioni ad Ezzelino» il quale, pur non avendo mai assunto titoli o incarichi ufficiali al servizio dell’impero, di fatto riuscì a condizionare le nomine degli ufficiali imperiali e la vita politica interna delle singole città (Voltmer, 1992, p. 53).
La situazione che si venne a creare è ben descritta dal cronista Rolandino con riferimento al caso di Padova dove, nei consigli, nulla si decideva senza o contro il parere di Ezzelino.
Il reciproco interesse fece comunque sì che l’imperatore tenesse a freno le ambizioni di potere di Ezzelino, cosa che consentì la compresenza, nell’esercito che portò Federico II alla vittoria di Cortenuova sui Comuni italici (1237), di Ezzelino e dei suoi acerrimi rivali personali Azzo d’Este, Giacomo da Carrara e Rizzardo da San Bonifacio. Il legame instauratosi nel 1232 venne suggellato e rafforzato qualche anno dopo, nel 1238, con il matrimonio tra Ezzelino e Selvaggia, figlia naturale di Federico II, cui fece seguito, entro il 1249, quello di una nipote di Ezzelino con re Enzo: attestati di stima da parte dell’imperatore da un lato ma anche, dall’altro, probabile tentativo di legare più strettamente a sé il turbolento collaboratore. Le difficoltà che l’attuazione del progetto politico federiciano incontrava, la nuova scomunica che colpì l’imperatore nel 1239, il pressoché contemporaneo passaggio di Treviso alla pars Ecclesiae in seguito al colpo di mano di Alberico da Romano, la ribellione di Azzo d’Este, dei San Bonifacio e di altre grandi famiglie della Marca spinsero Federico II a fare sempre maggiore affidamento su Ezzelino. I limiti della politica imperiale e l’indipendenza di Ezzelino si palesarono però in tutta chiarezza nel febbraio del 1244 quando, prendendo a pretesto presunte sottrazioni di denaro dalle casse comunali di Padova, Ezzelino decise unilateralmente di destituire dalla carica di podestà e vicario imperiale Galvano Lancia, del quale poco prima aveva sposato in terze nozze la sorella Isotta. Rolandino riferisce il fatto icasticamente: «dompnum Galvanum Lanzeam de paduana potestaria extraxit», e in quell’extraxit sta tutta la libertà di giudizio e di azione di cui Ezzelino godeva in quel momento. Al posto di Lancia Ezzelino insediò personaggi di sicuro affidamento: dapprima Guizzardo da Redondesco per tre anni, e in seguito i parenti Guecello da Prata e Ansedisio Guidotti. Un altro parente, il nipote Enrico da Egna, reggeva Verona su designazione di Ezzelino fin dal 1241, mentre a Vicenza dal 1242 era podestà il miles padovano Tommaso da S. Lucia, anch’egli creatura ezzeliniana, che mantenne la carica per ben dodici anni. In questo periodo, nonostante la scomunica comminatagli da Innocenzo IV nel marzo del 1244 dopo reiterati inviti a tornare sulla retta via, Ezzelino fu il vero dominus, il signore o, meglio, il padrone della Marca, che governò con fermezza, stroncando sul nascere ogni forma di dissidenza e tacciando di ribellione o resistenza ai mandata imperii anche i propri nemici personali, ma, almeno in questa prima fase, senza gli eccessi di violenza che gli furono attribuiti successivamente dalla propaganda antiezzeliniana e particolarmente dal cronista Rolandino.
A Verona, cardine del suo dominio e città in cui amava abitare, non si avverte infatti una netta soluzione di continuità, i consigli cittadini continuarono a riunirsi, sia pure, come si è accennato, sotto la direzione di podestà o ufficiali di stretta osservanza ezzeliniana, ed Ezzelino seppe guadagnarsi il consenso di una considerevole porzione del ceto dirigente cittadino. Anche a Vicenza l’istituto comunale continuò a funzionare, nonostante il protagonismo di Ezzelino nell’espansione del controllo territoriale. A Padova, almeno fino alla citata destituzione del vicario imperiale Galvano Lancia, Ezzelino ebbe cura di procedere senza «offendere troppo vistosamente simboli e istituti dell’autonomia cittadina» (Bortolami, 1992, p. 198) pur infierendo molto duramente sul ceto dirigente comunale. Le istituzioni comunali continuarono a funzionare, così come lo Studio, ed Ezzelino (glielo concede anche Rolandino) riuscì a diventare amico di molti se non di tutti, guadagnando anche qui il sostegno ventennale di buona parte della popolazione.
Il margine di autonomia di cui dovette godere Ezzelino è ben evidenziato dal suo contegno in occasione della grande Dieta convocata da Federico II a Verona nel 1245, durante la quale egli, sospettando dell’imperatore, fece presidiare i punti chiave della città da uomini fedeli fatti venire dal pedemonte bassanese alla spicciolata. La congiuntura era molto delicata per Federico II, scomunicato e deposto dal Concilio di Lione, costretto a una lotta a oltranza su troppi fronti e tuttavia rassicurato dalla fedeltà, interessata ma solida, di Ezzelino, accomunato all’imperatore nelle espressioni di condanna della sede apostolica che, nel 1248, scomunicò nuovamente il «nemico del genere umano» ed «eretico manifesto». L’ipotizzabile reciproca diffidenza non impedì comunque che la collaborazione proseguisse. Ezzelino intensificò le azioni militari volte al recupero della città di Treviso, cosa che non gli riuscì ma che permise, grazie anche al cambiamento di fronte di Tolberto da Camino, di riportare sotto il controllo della pars imperii la quasi totalità del territorio trevigiano con importanti centri quali Castelfranco, Mestre, Oderzo, Ceneda e Conegliano, mentre ad Alberico rimase solo Treviso. Costante fu poi l’appoggio delle forze ezzeliniane alle campagne militari condotte dall’imperatore contro i Comuni lombardi negli anni dal 1247 al 1249, e l’alleanza non venne meno neanche quando, con gesto che suscitò scalpore, Ezzelino si impadronì del centro fortificato di Monselice che costituiva da secoli una camera specialis imperii. La scomparsa dell’imperatore nel 1250 influì poco sulla situazione di Ezzelino, salvo portarlo a una «fatale esasperazione della propria autorità» (Bortolami, 2009, p. 31) nel tentativo di preservare la sua costruzione politica.
Furono questi gli anni in cui effettivamente si verificò una decisa evoluzione in senso apertamente autocratico del potere ezzeliniano, con il ricorso sistematico all’intimidazione, alle incarcerazioni, alle condanne a morte di dissidenti o presunti tali che colpirono con particolare intensità gli esponenti del ceto dirigente padovano.
Gli atti compiuti da Ezzelino in quest’ultima parte della sua vita lasciarono ai posteri l’immagine di un regime ezzeliniano fondato sulla violenza e la sopraffazione, irrispettoso delle istituzioni comunali e di quelle ecclesiastiche. L’opera di demonizzazione ha la sua origine nella condanna di papa Gregorio IX del 1239, ripresa dai suoi successori e amplificata dalla cronachistica (esemplare il tenore dei Cronica di Rolandino), trovando un posto anche nella storia della letteratura grazie all’Ecerinis di Albertino Mussato, composta, non a caso, nel 1315, in un momento delicato per Padova, caratterizzato dalla pressione di Cangrande della Scala. È merito della storiografia più avvertita l’aver sfumato il quadro a tinte fosche tradizionalmente associato alla figura di Ezzelino per evidenziare la rilevanza e la complessità del potere da lui esercitato. Un potere che durò per 23 anni in Verona e in Vicenza, per 19 in Padova e, come già evidenziava Ernesto Sestan (1961-1962), «non è sostenibile che tutto ciò avvenisse e durasse solo per effetto del terrorismo, elevato a sistema di governo, di una personalità che accoppiava scaltrezza volpina, a spietatezza inaudita di mezzi oppressivi» (p. 60); considerazioni riprese e sviluppate da Gian Maria Varanini (1992) che ha sottolineato, con riferimento a Verona, il «dato generale del consenso di una sostanziosa parte del ceto dirigente» (p. 151). Del resto già i contemporanei dovettero avere un’immagine meno fosca del dominio ezzeliniano se il testimone di un processo celebrato a Treviso nel 1285-86, alla domanda se i da Romano fossero stati tiranni e crudeli dominatori della Marca, rispose di non sapere cosa sia un tiranno, precisando che i fratelli da Romano «fuerunt feri homines, et magni valoris et non habuerunt pares in Marchia».
Venuta meno la copertura ideologica fornitagli da Federico II, Ezzelino dovette cercare nuovi punti di riferimento e nuovi alleati per fronteggiare l’ormai vastissimo fronte dei nemici che comprendeva oltre a tutti i fuorusciti veneti, i rivali storici della casa d’Este, le città guelfe e la Curia romana. Un alleato lo trovò in Oberto Pallavicino, ancora nominalmente vicario generale dell’Impero, con il quale stipulò nel 1252 un patto di mutua assistenza «in onore di Corrado IV e di tutti gli eredi di Federico II», continuando apparentemente la linea tenuta fino al 1250. Ma è significativo che in seguito alla morte di Corrado IV nel 1254, questo patto venisse rinnovato con un’importante variazione: i due si unirono contro tutti, anche contro il futuro re o imperatore, senza peraltro nominare né Corradino né Guglielmo d’Orange. L’attivismo militare di Ezzelino si esplicò a vasto raggio tra successi, come il recupero di Trento, e cocenti rovesci, tra i quali il più significativo fu la caduta di Padova in mano crociata (20 giugno 1256), peraltro prontamente compensata dalla conquista di Brescia e dalla cattura del legato papale Filippo arcivescovo di Ravenna presso il fiume Oglio (settembre 1258). Nonostante il ritrovato accordo con il fratello Alberico nel 1257 avesse riportato sotto il suo controllo anche Treviso, la pressione che gravava su Ezzelino divenne sempre più insostenibile a causa delle continue defezioni, tra le quali particolarmente gravi furono quelle di Oberto Pallavicino e Buoso da Dovara. In questi frangenti Ezzelino puntò sul candidato alla corona imperiale Alfonso di Castiglia e, confidando nella sua imminente venuta in Lombardia, dopo aver stabilito dei contatti con i ghibellini milanesi, decise di tentare la conquista della città. L’impresa era probabilmente superiore alle sue possibilità e, dopo i falliti attacchi a Monza e Trezzo, l’esercito ezzeliniano si trovò accerchiato dalle truppe nemiche. Ezzelino decise di forzare il blocco presso Cassano, per puntare decisamente su Milano, ma nel corso dello scontro fu ferito. Catturato, morì, o si lasciò morire, qualche giorno più tardi, forse il 1° ottobre 1259 e fu seppellito presso il castello di Soncino che, nel 1318, in occasione dell’assemblea generale dei ghibellini lombardi, fu meta di una sorta di pellegrinaggio da parte di Cangrande della Scala e Matteo Visconti.
Fonti e Bibl.: Per le fonti documentarie si veda: Codice diplomatico eceliniano, in Storia degli Ecelini, a cura di G.B. Verci, III, Bassano 1779. Si vedano inoltre: A.S. Minotto, Acta et diplomata e r. tabulario veneto, II, Documenta ad Belunum, Cenetam, Feltria, Tarvisium spectantia, Venetiis 1871; E. Cristiani, La consorteria da Crespignaga e l’origine degli Alvarotti di Padova (secoli XII-XIV), in Annali dell’istituto italiano per gli studi storici, I (1967-1968), pp. 173-237; T. Pesenti Marangon, Università, giudici e notai a Padova nei primi anni del dominio ezzeliniano (1237-1241), in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XII (1979), pp. 1-62 e ad ind.; I documenti del comune di Bassano dal 1259 al 1295, a cura di F. Scarmoncin, Padova 1989. Sulle conseguenze a lungo termine del regime ezzeliniano si vedano: I documenti del processo di Oderzo del 1285, a cura di D. Canzian, Padova 1995; Il “Regestum possessionum comunis Vincencie” del 1262, a cura di N. Carlotto - G.M. Varanini, Roma 2006; Il processo tra il comune di Treviso e il patriarca di Aquileia (1292-1297), a cura di R. Simonetti, Roma 2010, con le relative introduzioni storiche. Per quanto riguarda le fonti cronachistiche si vedano: Parisio da Cerea, Annales Veronenses, a cura di G.H. Pertz, in M.G.H., Scriptores, XIX, Hannoverae 1866; Rolandini patavini Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, in RIS2, VIII, 1, Città di Castello 1905-1908; Gerardi Maurisii Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (aa. 11833-1237), a cura di G. Soranzo, in RIS 2, VIII, 4, Città di Castello 1913-1914.
Per la storiografia, la prima messa a punto complessiva sulla famiglia da Romano si trova in: Studi ezzeliniani, Roma 1963; M. Rapisarda, La signoria di E. da R., Udine 1965; Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, I-II, Roma 1992; Ezzelini. Signori della Marca nel cuore dell’impero di Federico II, a cura di G. Bertelli - G. Marcadella, Milano 2001, con annesso catalogo della mostra; J.C. Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna 2004, ad ind.; S. Bortolami, E. III da R., in Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, pp. 565-569; sui rapporti di Ezzelino con l’area germanica e l’impero: J. Riedmann, Gli Ezzelini e la chiesa di Frisinga, in Ezzelini, cit., pp. 25-31; E. Voltmer, I da Romano e l’impero, in Nuovi studi ezzeliniani, cit., pp. 41-57; su Ezzelino III e le città della Marca si vedano, oltre ai contributi specifici in Nuovi studi ezzeliniani (in partic. G.M. Varanini, Il Comune di Verona, la società cittadina ed Ezzelino da Romano (1239-1259), I, 1992, pp. 115-160); e in Ezzelini, anche L. Simeoni, Il comune veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statuto, in Studi su Verona nel Medioevo, II, Verona 1960, pp. 47-56; S. Bortolami, ‘Honor civitatis’. Società comunale ed esperienze di governo signorile nella Padova ezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani, cit., pp. 161-239; D. Rando, I da Romano e l’élite di governo trevisana fino al 1239, in Religione e politica nella Marca. Studi su Treviso e il suo territorio nei secoli XI-XIV, I, Società e istituzioni, Verona 1996, pp. 95-102 e ad ind.; Ead., Il particolarismo e la prima età comunale, in Religione e politica, cit., pp. 15-85; D. Canzian, I da Romano e le città della Marca, in Ezzelini, cit., pp. 75-81; S. Bortolami, E. da R. Signore della Marca tra impero e comuni (1195-1259), Padova 2009; sui rapporti con il fratello Alberico: G. Biscaro, I patti della riconciliazione di Alberico da Romano col fratello Ezzelino (3 aprile 1257), in Archivio veneto, s. 5, IX (1931), pp. 59-85. Sui caratteri della signoria ezzeliniana si vedano: E. Sestan, Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito?, in Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio muratoriano, LXXIII (1961-1962), pp. 41-69 (in partic. p. 60); G.M. Varanini, Esperienze di governo personale nelle città dell’Italia nord-orientale (secoli XIII-XIV), in Signorie cittadine nell’Italia comunale, a cura di J.C. Maire Vigueur, Roma 2013, pp. 45-76 (in partic. pp. 52 s.); G. Cracco, Il grande assalto. Storia di Ezzelino. Anche Dante la raccontò, Venezia 2016.