EZZELINO III da Romano, signore di Verona, Vicenza e Padova
Nato il 25 aprile 1194, morto a Soncino il 1° ottobre 1259, figlio di Ezzelino II il Monaco e di Adelaide dei conti di Mangona (v. romano, da), E. iniziò la sua vita militare a 17 anni nel 1213, nell'assedio del castello di Este fatto dai Padovani. Ritiratosi il padre nel 1223, ebbe come sua parte i beni del Trevigiano, mentre suo fratello Alberico ebbe quelli del Vicentino. Verso quest'epoca, in uno dei tanti tentativi di pace, una sorella di E., Curnizza, sposò Rizzardo di Sambonifacio, ed E. stesso la sorella di lui Zilia, mentre un'altra da Romano era già sposa di Torello Salinguerra di Ferrara, avversario degli Estensi. Ma questi legami non valsero a sopire i vecchi odî, anzi finirono col fondere in un'unica lotta tutte le rivalità della Marca, di Ferrara e di altre città vicine. Ezzelino III si era gia legato ai Montecchi avversarî a Verona dei conti di Sambonifacio; questi, alleati agli Estensi, seppero mantenere la loro prevalenza sino al dicembre 1225, in cui Montecchi, aiutati da Salinguerra e da E., attirarono a sé un gruppo di partigiani dei conti, detti Qattrovinti, e s'impadronirono di Verona, di cui nel giugno seguente (1226) E. fu fatto podestà. Si deve anche notare che in questi stessi mesi si svolgeva la fase più acuta della lotta tra la Lega Lombarda e Federico II, e che E. tenne per la Lega. L'anno dopo la Lega procurava a Verona una conciliazione dei partiti ed E. lasciava la podesteria. Nel 1230, i Montecchi ed E. s'impadronivano della città, facendo podestà Salinguerra e catturando il conte Rizzardo di Sambonifacio. A dare a quest'episodio un'importanza generale sopravvenne la ripresa del conflitto tra la Lega e Federico II che, tornato di Terra Santa e fatta la pace col papa, aveva invitato i comuni alla Dieta di Ravenna. Ad ambo le parti premeva Verona, che aveva nel 1226 chiuso il passo della Val d'Adige alle truppe imperiali. La Lega si adoperò per ristabilire la pace a Verona e, ottenuta la consegna del conte Rizzardo, lo libero. I da Romano, così beffati, assaliti da Padova, allontanati da Verona, e accolti con sospetto nella Lega, nell'inverno 1231-32, d'accordo con i Montecchi, si rivolsero a Federico e il 14 aprile 1232 s'impadronivano di Verona, che prestò il giuramento all'impero. Gli anni dal 1232 al 1236 furono però per E. assai duri, durante l'assenza di Federico II, e non rappresentano affatto una sua vera signoria. Il territorio è devastato da scorrerie di Mantovani, Padovani, Bresciani, mentre si fanno tentativi papali per strappare Verona all'imperatore. Il più celebre tentativo fu quello di fra Giovanni da Vicenza che il 28 agosto 1233 concluse la pace di Paquara, durata neppure dieci giorni. Una nuova pace fu conclusa nel 1235 da fra Giordano Forzatè di Padova, per cui i da Romano vendettero a Padova e al vescovo di Feltre e Belluno i beni e diritti contestati, e Adelaide figlia di Alberico sposava Rinaldo, figlio di Azzo VII d'Este. Contemporaneamente due legati papali, col pretesto della pace, allontanavano da Verona E. e il podestà imperiale. Era prossima la discesa di Federico, perciò il possesso di Verona era così disputato. Azzo d'Este e Rizzardo di Sambonifacio tentarono inoltre il 24 gennaio del 1236 di espellere i loro avversarî, ma dai Montecchi e da E. accorso furono vinti, e, espulso il podestà papale, E. e il conte Bonifacio da Panico divenivano rettori del comune. Si scatenava di nuovo la guerriglia, ma l'arrivo di truppe imperiali nel maggio, e poi dello stesso Federico in agosto a Verona, mutò completamente la situazione.
Da questo punto comincia l'ascesa di E. verso una potenza sempre maggiore in relazione all'aggravarsi della lotta dell'impero con i comuni e il papato. Il 2 novembre Vicenza, ove era podestà Azzo d'Este, era presa d'assalto dall'imperatore, e orribilmente saccheggiata: la città passava di fatto sotto E. Poi, tornato l'imperatore oltralpe, E. attaccò invano Padova, che gli si arrese però poco dopo (25 febbraio 1237). Cominciarono però subito le repressioni contro gli avversarî e i malcontenti, compite nel nome dell'impero, ma volte contro gli antichi nemici, benché ancora gli Estensi e i Sambonifacio fossero fedeli all'impero, tanto da partecipare con E. alla vittoria di Federico sui Lombardi a Cortenuova (27 novembre 1237).
Il dissidio insanabile che divideva gli avversarî costrinse però l'imperatore a scegliere fra di essi: ed egli si appoggiò soprattutto a Ezzelino, a cui il 23 maggio 1238 a Verona dava in moglie la propria figlia naturale Selvaggia. La posizione di E. si potè dire però nettamente consolidata solo quando Federico II, nuovamente scomunicato (22 marzo 1239), fu abbandonato dagli Estensi, dai Sambonifacio e da altri nemici di E. e anche dallo stesso Alberico da Romano che fece ribellare Treviso. Allora l'imperatore decise di mettere i nemici di E. al bando dell'impero (13 giugno 1239), incaricando E. stesso dell'esecuzione della sentenza. Così ogni atto di questo contro i suoi nemici personali era giustificato come voluto dall'imperatore.
E. era certo un prezioso servitore che governava con mano sicura la Marca, e teneva aperta ai soccorsi di Germania tutta la Val d'Adige, perché fin dal 1241 aveva occupato anche Trento. Inoltre egli aiutava efficacemente Federico nelle imprese di Lombardia, a tagliare per es. tutte le comunicazioni di Parma assediata (1247-48), cooperando con re Enzo, figlio di Federico, che sposò anzi una sua nipote. Ma E. non era un devoto dell'idea imperiale: serviva con zelo, perché aveva comuni i nemici, con lo scopo di rendersi tanto necessario da giungere a una posizione quasi indipendente.
E. sdegnò sempre le apparenze dell'autorità, pur di possederla. Non fu mai podestà delle sue città, e lasciò affidare ad altri il vicariato della Marca dall'Oglio a Trento, costituito da Federico con sede a Padova. Rendere la sua autorità sempre più effettiva e insieme indipendente di fatto dall'impero fu lo sforzo costante di E., insieme con quello di reprimere, spesso senza pietà, ogni opposizione sia di avversarî sia di antichi amici. In questo modo egli finì col crearsi una potenza personale indipendente dalle forze che l'avevano aiutato a salire. Non bisogna però figurarsi un E. signore potente e sicuro: in realtà la vita di E. è una lotta continua e non sempre vittoriosa contro la guerriglia che devasta le campagne e sorprende i castelli, e le insidie che s'insinuano anche nelle città. I suoi successi si accompagnano alle sconfitte: nel 1243, per es., distrugge il castello dei Sambonifacio, ma non riesce a salvare Ostiglia presa dai Mantovani. E Mantova, tenuta dagli Estensi e dai Sambonifacio, rimase sempre l'incubo di E. che invano cercò di conquistarla.
La morte di Federico (1250) non parve aggravare la posizione di E., perché già il partito imperiale nel nord, per l'abilità dei suoi due capi, E. e Oberto Pelavicino, si reggeva da sé. La bandiera imperiale, scomparso l'imperatore, non è più che un velo sulle ambizioni e i rancori personali; e finché i due capi saranno uniti, ben poco potranno fare contro di essi i guelfi. Nel 1254 il papa Innocenzo IV, viste respinte le reiterate offerte di perdono, scomunica E. come eretico e denuncia le sue immani crudeltà, specie l'evirazione dei fanciulli: contro di lui viene predicata una crociata, che, favorita da Venezia, riesce il 20 giugno 1256 a prendere Padova, mentre E. si era portato ad assalire Mantova. Conosciuto il disastro, E. accorse a difendere Vicenza e a tentare un vano attacco su Padova. L'anno prima (1255) anche Trento era stata ripresa dal vescovo. Ma E., alleato al Pelavicino, seppe due anni dopo restituire i colpi sbaragliando a Gambara sull'Oglio i Bresciani (1258), e obbligando Brescia ad arrendersi (1° settembre 1258). Pochi mesi prima il fratello suo Alberico, insospettito del contegno dei guelfi, si riconciliava con E., che così poteva contare anche su Treviso. Ma il successo di Brescia gli fu fatale, perché fece acuire una discordia latente col Pelavicino, che si era legato a re Manfredi, mentre E., per odio a Manfredi che favoriva Venezia, invocava la venuta in Italia di Alfonso di Castiglia, proclamato imperatore dai partigiani della casa sveva. Pelavicino e Buoso da Dovara abbandonarono Brescia e si strinsero l'11 giugno 1259 con i guelfi; a sua volta E. si lasciò indurre dai fuorusciti ghibellini milanesi a tentare di sorprendere Milano, ma la sorpresa fallì e il ritorno di E. divenne difficile, essendo le forze guelfe accorse a occupare il ponte di Cassano sull'Adda per cui egli era passato nell'andata. Nell'attacco (27 settembre 1259) E. fu ferito a un piede da una freccia e dovette ritirarsi e cercare un guado più a nord: riuscì infatti a passare verso Vimercate, ma, assalito dai nemici, il suo esercito si disperse ed egli fu di nuovo ferito e catturato presso Blancanuga: portato a Soncino, moriva quattro giorni dopo, senza riconciliarsi con la chiesa e rifiutando ogni soccorso medico.
Dalle tre mogli che aveva sposato, Zilia di Sambonifacio (1223), Selvaggia, figlia di Federico II (1238), e Beatrice di Bontraverso di Castelnuovo di Padova (1249) non ebbe figli: anzi qualcuno gli attribuì tendenze contro natura, di cui non vi è alcuna seria prova.
E. fu certo uomo audace e valoroso, abile nell'intrigo politico, e non privo anche di cortesia e d'arguzia: non fu il tiranno frenetico e pauroso della leggenda, ma una natura spietata capace freddamente delle crudeltà più orribili per rimediare col terrore alla debolezza delle sue forze, ai pericoli continui che lo circondavano. Fu il primo signore italiano che riuscì a mantenersi a lungo al potere (1236-59); ma la sua signoria ha carattere diverso dalle altre, perché sorta e durata per mezzo di forze e circostanze esterne che gli permisero di sottrarsi all'alternativa delle lotte dei partiti, anzi di rendersi indipendente dalle fazioni che l'avevano prima sostenuto. Senza l'aiuto imperiale e le necessità della lotta con i comuni, la sua signoria non avrebbe potuto formarsi, né l'imperatore l'avrebbe tollerata: ed è notevole segno delle sue attitudini politiche l'aver saputo così abilmente sfruttare le condizioni favorevoli.
In materia religiosa più che eretico si deve crederlo indifferente e ostile alla chiesa per ragioni politiche; nella sua città il culto religioso non fu turbato, anche se molti acclesiastici sospetti furono carcerati.
Fonti Cronache di Padova, Vicenza e Verona, e in particolare la Cronica Marchie Triviscane di Rolandino, in Rer. It. Script., VIII, n. ed., e Mon. Germ. Hist., XIX; la Historìa di Gerardo Maurisio, in Rer. Ital. Script., VIII, nuova ed., e Vita e gesta di Epzzelino III da Romano, di Pietro Gerardo, edita da A. Bonardi, Venezia 1894.
Bibl.: G. B. Verci, Storia degli Ecelini, Bassano 1779, voll. 2 (il 3° comprende il Codice Eceliniano); J. M. Gitterann, Ezzelin III. von Romano, I, Stoccarda 1890; G. Mitis, Storia di Ezzelino IV da Romano, Maddaloni 1896; L. Cesarini Sforza, Ezelino da Romano e il principato di Trento, in Arch. Trent., IX (1893); F. Schürmann, Die Politik Ezelins III. von Romano bis zu seinem Anschluss an Friedrich II., Düren 1886; A. Mazzi, Investigazioni sul luogo dove Ezelino da Romano fu ferito e fatto prigioniero, Bergamo 1892, in Atti Accad. Bergamo; Fr. Stieve, Ezzelino von Romano, Lipsia 1909; L. Simeoni, Nuovi documenti sull'ultimo periodo della Signoria di Ezzelino, in Rend. Acc. Scienze Bologna, 1930. Sulle leggende, vedi O. Brentari, E. da R. nella mente del popolo e nella poesia, Padova 1889; A. Bonardi, Leggende e storielle su Ezzelino da Romano, Verona 1892, e la tragedia Ecerinis di Albertino Mussato (v.).