VIGORELLI, Ezio
– Figlio di Pietro e di Ester Molina, nacque a Lecco il 17 agosto 1892, in una famiglia di estrazione borghese.
Sin da giovane si interessò alle vicende politiche e militari italiane. Partecipò, come ufficiale di complemento, alla guerra in Libia e al primo conflitto mondiale, dove si distinse per il suo valore sul Carso. Mutilato di guerra, venne decorato e tornò volontario a combattere dopo la disfatta di Caporetto; nello stesso periodo fu attivo anche nel Comitato d’azione tra mutilati, invalidi e feriti di guerra, che aveva contribuito a fondare.
Conclusasi la vicenda bellica e laureatosi in legge, si trasferì a Milano per esercitare l’attività di avvocato, senza però tralasciare la passione per la politica e la gestione della cosa pubblica. Divenne segretario della Federazione nazionale forense, sindacato di avvocati e procuratori. Rivestì un ruolo di primo piano durante i concitati mesi del ‘biennio rosso’, tra l’altro difendendo, per incarico della FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici), gli operai processati per le occupazioni delle fabbriche milanesi dell’agosto-settembre del 1920.
Nel 1921 aderì al Partito socialista italiano (PSI), rompendo non solo i rigidi schemi di classe della predestinazione di una nascita borghese, ma compiendo anche una scelta che avrebbe segnato tutto il resto della sua esistenza. Profondamente legato al mondo dei lavoratori, ma avverso alle posizioni rivoluzionarie di tipo leninista, a suo giudizio assolutamente prive di prospettive che non fossero l’isolamento e la sconfitta del movimento dei lavoratori, si collocò all’interno della componente riformista del PSI, rappresentata a livello nazionale da Filippo Turati, Giuseppe Emanuele Modigliani, Giacomo Matteotti e Claudio Treves. Nel 1922 venne eletto consigliere comunale a Milano nelle liste del PSI; ricoprì questa carica sino al 1926.
Sposato con Diana Fugazza, ebbe due figli, Bruno e Adolfo (detto Fofi), nati rispettivamente nel 1920 e nel 1921. Il fratello Aldo, di quattro anni più anziano, era impiegato presso il Comune di Milano e iscritto al Partito nazionale fascista (PNF), nonché un ufficiale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Vigorelli non ebbe vita facile durante gli anni della dittatura. Tra i fondatori e dirigenti dei gruppi di combattenti Italia libera – costituitisi in opposizione al fascismo nel giugno del 1923 –, venne arrestato e detenuto per un breve periodo nel carcere milanese di San Vittore. Diffidato dalla polizia, fu sottoposto più volte a un regime di vigilanza personale. Frequenti furono le perquisizioni e i controlli polizieschi, che lo costrinsero a ‘ritirarsi’ nel suo studio, dedicandosi alla professione di avvocato civilista.
All’inizio del 1943 decise di prendere parte all’azione clandestina contro il regime fascista. Ricercato dalla polizia, nel mese di settembre riparò insieme alla famiglia in Svizzera e di lì, con segrete autorizzazioni dello Stato elvetico, in Val d’Ossola, dove prese contatti con le formazioni partigiane e progettò l’insurrezione della regione. Nel giugno del 1944 dovette purtroppo subire il colpo più doloroso della sua vita, con l’uccisione dei due figli, poco più che ventenni, durante la guerra di Liberazione.
Con Ettore Tibaldi, Cipriano Facchinetti e altri fu tra gli organizzatori della cosiddetta Repubblica dell’Ossola (settembre-ottobre 1944), contribuendo a scrivere una delle pagine più significative della lotta partigiana nazionale. In quell’area del Piemonte settentrionale ricoprì le cariche di vicecomandante della divisione Val d’Ossola e soprattutto di giudice straordinario della Repubblica. Nel pieno della violenza che contraddistinse il secondo conflitto bellico, Vigorelli riuscì a mantenere il necessario equilibrio nell’esercizio delle funzioni di giudice, risparmiando la vita a numerosi fascisti condannati a morte. Sempre in Val d’Ossola contribuì alla promozione di un piano assistenziale che assicurava la distribuzione di viveri e medicinali alla popolazione locale.
La Liberazione aprì per Vigorelli una nuova fase, quella dell’amministratore e dell’uomo politico. Nel maggio del 1945 fu incaricato del commissariamento dell’Ente comunale di assistenza di Milano, di cui rimase presidente sino al giugno del 1957. Malgrado non avesse una precisa esperienza nel settore, Vigorelli quasi identificò, per oltre un decennio, il proprio nome con quello dell’istituzione lombarda, facendo della stessa l’ideale trampolino di lancio per una brillante carriera politica. Nel 1945 venne insignito anche della carica di presidente dell’ANEA (Associazione Nazionale fra gli Enti di Assistenza), che riuniva tali enti comunali, e fu nominato commissario straordinario dell’Opera nazionale invalidi di guerra.
Da quel momento Vigorelli intraprese una lotta senza quartiere nei confronti della miseria, nel tentativo di raggiungere quello che divenne il fine ultimo e fondamentale della sua azione politica: la realizzazione in Italia di un moderno sistema di sicurezza sociale, in linea con le esperienze dei principali Paesi europei (tale impegno gli valse l’appellativo di ‘Beveridge italiano’, coniato nel settembre del 1962 da Giorgio La Pira). Per Vigorelli fu preliminare il superamento delle ormai vecchie concezioni di natura filantropica della beneficenza pubblica e una profonda revisione della l. n. 6972 del 17 luglio 1890 (la cosiddetta legge Crispi), che continuava a regolare il settore assistenziale. L’obiettivo da raggiungere fu quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte al bisogno, con l’obbligo per lo Stato di intervenire nei confronti dei membri della collettività più svantaggiati. L’avvocato milanese considerò di assoluta necessità il coordinamento in un unico organismo centrale degli istituti operanti nel campo della previdenza e dell’assistenza, al fine di superare le sovrapposizioni di competenze fra una molteplicità di servizi, a livello centrale e periferico, che generavano soltanto uno spreco di risorse economiche e materiali. In alternativa al ministero dell’Interno, considerato una soluzione errata perché vedeva nell’assistenza uno strumento di lotta contro la mendicità e di difesa dell’ordine pubblico, propose l’istituzione di un ministero dell’Assistenza sociale, nel quale sarebbero dovuti rientrare i servizi di assistenza sociale in senso stretto, a esclusione dell’Alto commissariato per l’igiene e la sanità pubblica.
Nella battaglia per l’instaurazione di un moderno sistema di welfare, Vigorelli cercò di sfruttare al massimo i ruoli ricoperti in ambito politico. All’indomani del conflitto, infatti, egli tornò a assumere, nelle file del PSI, la carica di consigliere comunale di Milano. Nel 1946 venne candidato alla Costituente, dove fu eletto con 10.046 voti. In aula prese la parola soprattutto per difendere gli enti di assistenza e beneficienza, compresi quelli comunali, dall’applicazione dell’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio, contenuta nel d. legisl. del 29 marzo 1947, n. 143.
Sul piano politico, Vigorelli mal tollerò sempre l’eccessiva dipendenza del PSI nei confronti del Partito comunista italiano (PCI). Nel febbraio del 1947, quindi, decise di seguire Giuseppe Saragat nella cosiddetta scissione di Palazzo Barberini, che portò alla nascita del Partito socialista dei lavoratori italiano (PSLI), attraverso il quale trovò la via del Parlamento l’anno successivo, venendo eletto nel collegio IV di Milano della Camera con 14.020 preferenze. A Montecitorio continuò la sua azione a sostegno delle categorie più bisognose, presentando numerose proposte di legge, quasi tutte ascrivibili al campo della previdenza e dell’assistenza. Dal 27 maggio 1948 al 5 aprile 1949 ricoprì la carica di sottosegretario di Stato al Tesoro, con delega alle pensioni di guerra, nel quinto governo De Gasperi.
Ben presto, però, Vigorelli manifestò una forte insofferenza anche nei confronti di una formula centrista che chiudeva in un angolo troppo stretto il PSLI e ne soffocava le spinte più riformatrici. Nel partito si registrarono dissonanze circa gli indirizzi politici da seguire, specialmente nei rapporti con la Democrazia cristiana (DC). Se da un lato vi fu chi voleva salvaguardare l’alleanza con i cattolici, dall’altro vi fu la parte più riformista e chi, come Vigorelli, subordinò la partecipazione al governo al varo di un programma sociale di ampio respiro. Lo scontro tra le due anime culminò con la fuoriuscita dal partito dell’ala di sinistra e la fondazione del Partito socialista unitario (PSU), di cui Vigorelli assunse il ruolo di capogruppo alla Camera.
Ma l’incarico più prestigioso, nel corso della prima legislatura repubblicana, Vigorelli lo ottenne diventando presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla, attiva dal 12 maggio 1952 al 24 giugno 1953. Insieme al democristiano Ludovico Montini, con il quale intraprese un interessante e stretto rapporto di collaborazione in campo assistenziale, effettuò un lungo lavoro di ricerca, che lo condusse ad accertare i bilanci delle famiglie italiane, la loro alimentazione e le condizioni abitative, registrando dati piuttosto allarmanti, specialmente nella parte meridionale del Paese, dove, non di rado, riscontrò condizioni di vita oltre i limiti della semplice sussistenza, con gravi ripercussioni sul fronte della salute pubblica. Uno dei meriti di Vigorelli fu quello di riuscire, dopo un paziente e faticoso lavoro di mediazione politica, a concludere i lavori con una relazione generale firmata da tutti i commissari, nella quale cercò di avanzare una serie di proposte volte al miglioramento del settore assistenziale italiano, di cui tracciò pure un moderato disegno di riforma.
Dopo la ricomposizione, nel 1952, delle varie organizzazioni riformiste nel Partito socialdemocratico italiano (PSDI), Vigorelli fu suo capogruppo alla Camera sino al 31 dicembre 1954. Nel corso della seconda e terza legislatura raggiunse il massimo traguardo politico con la nomina a ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel primo governo Scelba, dal 10 febbraio 1954 al 6 luglio 1955, nel primo governo Segni, dal 6 luglio 1955 al 19 maggio 1957, e nel secondo governo Fanfani, dal 1° luglio 1958 al 15 febbraio 1959.
Nel periodo in cui diresse il ministero del Lavoro fu arbitro di diversi conflitti sociali e si batté con vigore per l’approvazione della l. n. 741 del 14 luglio 1959 che, seppure in forma transitoria ed eccezionale, estese erga omnes i contratti collettivi di diritto comune, vincolando i datori di lavoro ad applicare i minimi di retribuzione e ponendo così termine, dopo numerose critiche provenienti da diverse parti politiche, a un periodo in cui si erano eluse certe garanzie costituzionali della classe operaia.
Nel frattempo, tornarono a farsi sentire tutte le perplessità e le riluttanze verso una coalizione di governo che, a suo giudizio, aveva ormai esaurito ogni spinta riformista. Con l’intento di stimolare nuove prospettive per il PSI, allontanandolo definitivamente dal PCI e spingendolo verso una convergenza con il cattolicesimo progressista, Vigorelli decise di abbandonare nel 1959 il PSDI, confluendo con il neonato Movimento unitario di iniziativa socialista nel PSI, dove entrò a far parte del Comitato centrale. L’annuncio venne dato durante una seduta della Camera, in occasione della discussione sulla formazione del secondo governo Segni. Già nell’aprile del 1961, tuttavia, Vigorelli rassegnò le dimissioni dal Comitato centrale, in disaccordo con la linea politica uscita dal 34° Congresso nazionale del PSI, che aveva portato alla costituzione di una direzione comprendente l’ala sinistra del partito.
Con il PSI Vigorelli affrontò l’ultima vera battaglia politica della sua vita, le elezioni del 1963. Come nelle precedenti circostanze, venne candidato nel collegio IV di Milano, trovando la via per Montecitorio con 6586 preferenze. Nel corso della quarta legislatura fu componente della XIII Commissione (Lavoro e Previdenza sociale).
Fra gli incarichi ricoperti nel secondo dopoguerra, da segnalare anche quello di presidente della metropolitana milanese.
Morì nel capoluogo lombardo il 24 ottobre 1964, a pochi giorni dall’inaugurazione della linea 1 della metropolitana. Una lapide in suo onore è posta nel mezzanino della stazione Duomo.
Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato (ACS), Ministero degli Interni (MI), Pubblica sicurezza (PS), Affari generali e riservati, Ufficio confino di polizia, fascicoli personali 1926-1943, Vigorelli Ezio, b. 1066; ACS, MI, PS, Affari riservati, Categoria permanenti, Categoria Z, Vigorelli, Ezio, b. 605; ACS, MI, PS, Divisione polizia politica, ff. personali 1926-1944, Vigorelli, b. 1435; Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla, 15 voll. in 16 tomi, s.l. [Roma] 1953-1958; Atti parlamentari dell’Assemblea costituente e della Camera dei deputati (dalla I alla IV legislatura).
Non si risparmiò sino alla fine, in Solidarietà umana, 1° novembre 1964 (necrologio di Vigorelli sulla rivista dell’ANEA); G. Averardi, I socialisti democratici: da Palazzo Barberini alla scissione del 4 luglio 1969, Roma 1971; Storia del socialismo italiano, V, Il secondo dopoguerra (1943-1955), Roma 1981; I. Riboli, L’Ente comunale di assistenza e l’amministrazione delle II.PP.A.B. ex Eca (1937-1990), in Milano con i poveri. Dalla Congregazione di carità ad oggi (catal., Milano 1990-1991), Rimini 1990, pp. 75-103 (in partic. pp. 95-102); Z. Ciuffoletti - M. Degl’Innocenti - G. Sabbatucci, Storia del PSI, III, Dal dopoguerra ad oggi, Roma-Bari 1993; M. Granata, Politiche e imprese assistenziali nel dopoguerra: E. V. e l’Ente comunale di assistenza di Milano (1945-1957), in Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, 2003, 38, 2, pp. 166-216; G. Fiocco, L’Italia prima del miracolo economico: l’inchiesta parlamentare sulla miseria, 1951-1954, Manduria-Bari-Roma 2004; M. Granata, Riformismo e welfare. A proposito di E. V. e di un «piano Beveridge italiano», in Italianieuropei, 2004, 2, https://www.italianieuropei.it/it/tablet/item/726-riformismo-e-welfare-a-proposito-di-ezio-vigorelli-e-di-un-piano-beveridge-italiano.html (17 giugno 2020); P. Mattera, Storia del PSI: 1892-1994, Roma 2010; M. Paniga, E. V., gli ECA e la battaglia per una riforma dell’assistenza nell’Italia repubblicana, in Società e storia, 2011, 132, 2, pp. 331-358; M. Paniga, Welfare ambrosiano: storia, cultura e politiche dell’ECA di Milano (1937-1978), Milano 2012.