VANONI, Ezio
VANONI, Ezio. – Nacque a Morbegno (Sondrio), in Valtellina, il 3 agosto 1903, da Teobaldo, segretario comunale e geometra, e da Luigia Samaden, diplomata maestra e collaboratrice del marito nelle attività della libera professione.
Primo di quattro figli, ricevette un’educazione tradizionale con una forte impronta religiosa della madre. A Morbegno frequentò le scuole elementari dove incontrò e strinse amicizia con Pasquale Saraceno, destinato a diventare suo cognato e amico fraterno. Con l’ausilio di una borsa di studio frequentò il ginnasio-liceo Piazzi di Sondrio e dopo la licenza liceale, ancora grazie a una borsa di studio, fu ammesso al prestigioso collegio Ghislieri di Pavia per iscriversi alla facoltà di giurisprudenza. Qui divenne uno degli allievi prediletti di Benvenuto Griziotti, fondatore di una scuola di scienza delle finanze e studioso di ideali socialisti. Negli anni universitari anche Vanoni aderì al socialismo democratico e divenne «il capo degli studenti socialisti dell’Ateneo pavese [...] procurandosi la fama di “sovversivo” e una schedatura presso la polizia, che lo seguì sino al termine della dittatura» (Ferrari Aggradi, 1956, p. 36).
Laureatosi il 25 luglio 1925 in giurisprudenza con il massimo dei voti e la lode, discutendo con Griziotti una tesi sull’interpretazione delle leggi tributarie, intraprese una tormentata carriera accademica. Subito divenne assistente volontario di Griziotti iniziando, contemporaneamente, il servizio militare negli alpini (battaglione Morbegno). E subito arrivò la prima delusione accademica. Nel concorso al posto di assistente alla cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario dell’Università di Pavia risultò vincitore ma fu costretto a ritirarsi, non è chiaro se per una incompatibilità con il servizio militare o per una sospetta infedeltà al regime (pp. 50 s.). Decise allora di partecipare al concorso per la borsa di perfezionamento Lorenzo Ellero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e il 25 ottobre 1926 lo stesso padre Agostino Gemelli gli comunicava, con una missiva, che era risultato vincitore. Tra gli scritti presentati figurava la memoria Note sul problema della lira, che nel 1927 divenne il suo primo lavoro scientifico, con il titolo La rivalutazione della lira e l’equilibrio economico, nel volume collettaneo di Griziotti et al., Politica monetaria e finanziaria internazionale (Milano 1927, pp. 317-407).
Il saggio di Vanoni si inseriva nel dibattito di politica monetaria che aveva diviso gli economisti italiani nel dopoguerra. Tutti erano favorevoli alla restaurazione di un sistema monetario a base aurea. La disputa si accese sull’opportunità (e necessità) di rivalutare la lira, riportandola a un rapporto di scambio con le principali valute di riferimento (dollaro e sterlina) prossimo a quello di anteguerra oppure di stabilizzarla al valore di mercato. Seguendo il maestro Griziotti si schierò tra i fautori della rivalutazione ma con argomentazioni proprie e originali. Da un lato contestò la tesi degli stabilizzatori sostenendo che le condizioni di squilibrio macroeconomico dell’Italia non permettevano di determinare un corrente, stabile, tasso di cambio e, dall’altro, contestò la tesi dei rivalutatori che proponevano la deflazione monetaria come premessa indispensabile della rivalutazione. Per Vanoni, al contrario, la riduzione dei prezzi interni avrebbe dovuto seguire (e non precedere) un organico programma di rilancio della produzione coordinato dal governo e finanziato con prestiti esteri.
Prima ancora che fosse terminata la Ellero ottenne la borsa di studio biennale della Fondazione Rockefeller per perfezionare gli studi in Germania e soggiornò presso le Università di Francoforte, Bonn e Berlino. L’esperienza tedesca fu particolarmente formativa. Rientrato in Italia, nel 1931 ottenne l’incarico triennale di scienza delle finanze e diritto finanziario presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Cagliari e, insieme a un amico, aprì a Milano uno studio di avvocato civilista avviando così una parallela attività professionale.
Il 1932 fu un anno denso di avvenimenti. Si sposò, a Morbegno, con Felicita dell’Oro, conseguì la libera docenza e finalmente pubblicò la monografia, che era stata oggetto della tesi di laurea, con il titolo Natura e interpretazione delle leggi tributarie (Padova 1932). Lo stesso anno perse un altro concorso a cattedra, questa volta presso l’Università di Messina. Le delusioni accademiche furono compensate dalle gioie familiari: nel 1933 nacque la prima figlia, Marina, e l’anno dopo la seconda, Lucia.
Nel 1933 ebbe l’incarico, per un triennio, di scienza delle finanze presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma. Tornò così a frequentare Saraceno, che intanto era diventato suo cognato, e incontrò Sergio Paronetto, un altro valtellinese, anch’egli nato a Morbegno, che lo presentò all’allora segretario della Biblioteca Vaticana, Alcide De Gasperi, e al redattore dell’Osservatore Romano, Guido Gonella.
Intanto proseguiva il suo travagliato percorso accademico. Nel 1935 perse un altro concorso a cattedra, presso l’Università di Camerino, e nel 1937 ottenne un altro incarico, presso l’Università di Padova. A partire dal 1938 cominciò a interessarsi maggiormente di questioni pratiche e iniziò a collaborare con il ministro delle Finanze Paolo Thaon di Revel, il quale era impegnato in un’opera di ammodernamento e riforma del sistema tributario italiano. Nel 1939 decise infine di prendere la tessera del Partito nazionale fascista e lo stesso anno risultò vincitore del sospirato concorso a cattedra nella prestigiosa Università Cà Foscari di Venezia: «probabilmente non avrebbe avuto la cattedra nel 1939 se il ministro non si fosse adoperato per smorzare le ostilità politiche di qualche commissario» (Steve, 1997, p. 755).
Nel 1939 era ormai un affermato studioso di scienza delle finanze pienamente inserito nel dibattito scientifico del tempo e pronto a collaborare all’interno dell’Istituto nazionale di finanza corporativa, costituito proprio in quell’anno, al progetto di riforma del sistema tributario italiano fortemente voluto da Thaon di Revel.
Il dibattito scientifico era allora dominato da due contrapposte scuole di pensiero finanziario. La prima, detta economica, considerava l’imposta il prezzo di uno scambio volontario tra l’individuo che domandava il soddisfacimento di bisogni collettivi e lo Stato che appagava quei bisogni con la prestazione di servizi pubblici. La seconda, detta sociologica, concepiva l’imposta come il prezzo politico che lo Stato, in forza del suo potere d’imperio, esigeva dai cittadini per il finanziamento della spesa pubblica. Vanoni aderì a una terza scuola, detta politica, capeggiata da Griziotti. Nei Principi di economia e politica finanziaria, apparsi in prima edizione a Padova nel 1937, ridisegnò le relazioni tra Stato e mercato sulla base di un principio di reciprocità intra e intergenerazionale diverso sia dal principio dello scambio di equivalenti della scuola economica sia dal principio di supremazia dello Stato sui cittadini della scuola sociologica. Vanoni applicava uno schema di classificazione delle entrate pubbliche elaborato da Griziotti, il quale aveva distinto le entrate a seconda che provenissero dalle generazioni passate (i proventi del patrimonio), dalle generazioni presenti (i tributi) e dalle generazioni future (l’inflazione e il debito pubblico). Per Vanoni, le generazioni presenti avrebbero dovuto pagare i tributi sia per il dovere (politico) di concorrere al finanziamento della spesa pubblica sia per il beneficio (economico) che i contribuenti traevano dai servizi pubblici erogati dallo Stato. Ma il sacrificio privato dell’imposta non avrebbe mai potuto essere commisurato, come sostenevano gli esponenti della scuola economica, all’utilità del servizio pubblico secondo una logica, tipicamente marginalista, di scambio di equivalenti. Un ricco contribuente, per esempio, avrebbe dovuto sostenere un onere superiore all’utilità percepita. Eppure, senza lo Stato o con uno Stato meno presente, i suoi diritti di libertà e proprietà sarebbero risultati meno tutelati e il suo stesso benessere materiale sarebbe stato pregiudicato. In questo senso, si poteva parlare di un principio di reciprocità intragenerazionale distinto da un puro scambio di equivalenti. I contribuenti delle generazioni presenti, secondo Vanoni, avrebbero dovuto pagare i tributi in base alla loro capacità contributiva dedotta sia da fattori oggettivi (reddito e patrimonio) sia da fattori soggettivi (discriminando tra redditi da lavoro e da capitale e tenendo conto delle condizioni familiari). Le generazioni presenti avevano il potere di trasferire alle generazioni future una parte dell’onere del finanziamento della spesa pubblica ricorrendo a politiche inflazionistiche e/o di deficit spending.
Vanoni avversò apertamente le politiche inflazionistiche ritenendo che, mentre il maggior gettito fiscale derivante dall’innalzamento dei redditi nominali andava a esclusivo vantaggio delle generazioni presenti, l’onere maggiore degli squilibri provocati dall’inflazione ricadeva sulle generazioni future. L’inflazione costituiva cioè una palese violazione di un principio di reciprocità intergenerazionale. Il ricorso a politiche di deficit spending poteva essere invece giustificato per finanziare investimenti produttivi che, generando un maggior reddito futuro, avrebbero trasferito alle nuove generazioni sia un onere sia un beneficio. Solo in questo caso il disavanzo pubblico sarebbe risultato conforme a un principio di reciprocità intergenerazionale.
Il 15 gennaio 1942 il ministro delle Finanze Thaon di Ravel affidò all’Istituto nazionale di finanza corporativa il compito di studiare un progetto di riforma del sistema tributario italiano e Vanoni fu invitato da Griziotti a collaborare con il comitato tecnico incaricato di predisporre i materiali preparatori. All’inizio della seconda guerra mondiale il sistema tributario italiano si caratterizzava per un’imposizione prevalentemente reale. Il gettito maggiore proveniva da tre imposte reali (sui redditi dei terreni, dei fabbricati e mobiliari) mentre gli unici elementi di personalità erano costituiti dalla discriminazione a favore dei redditi da lavoro prevista nell’imposta di ricchezza mobile e, soprattutto, dall’imposta complementare, così definita proprio perché svolgeva una funzione integrativa rispetto alla prevalente imposizione reale. Vanoni presentò un originale e innovativo progetto di riforma che prevedeva il rapido e strutturale passaggio a un sistema tributario a base prevalentemente diretta e personale con imposte progressive che colpivano le manifestazioni immediate della capacità contributiva (reddito e patrimonio) tutelando, con deduzioni e detrazioni, le condizioni personali dei contribuenti. Il progetto ricevette il plauso del comitato tecnico ma non fu accolto. Prevalse la tesi, autorevolmente sostenuta da Cesare Cosciani, secondo cui l’imposizione personale avrebbe dovuto restare ancora complementare a quella reale.
Il 1943 fu un anno di svolta. Vanoni si trasferì a Roma con la famiglia e riprese i contatti con Paronetto e Saraceno. Nella clandestinità e durante la Liberazione partecipò all’elaborazione di importanti scritti che orientarono le scelte politiche dei cattolici. In quell’anno comparve, sulla rivista Studium, il saggio La finanza e la giustizia sociale, tra il settembre del 1943 e il maggio del 1944 contribuì alla stesura del cosiddetto Codice di Camaldoli e nel 1947 pubblicò a Roma il saggio La nostra via. Criteri politici dell’organizzazione economica, in cui era compiutamente delineato un modello che potremmo definire di economia sociale di mercato che prevedeva un intervento pubblico interno al mercato, anche con il ricorso a imprese a partecipazione statale, per orientare l’economia verso obiettivi di giustizia sociale.
Nel giugno del 1946 fu eletto all’Assemblea costituente e nominato nella Commissione dei 75. Indirettamente, con parole e scritti, influì sull’impianto generale della costituzione economica. Direttamente, con il concorso di Luigi Einaudi, partecipò alla stesura di quell’articolo 81 che, imponendo al legislatore di indicare la copertura finanziaria per ogni legge che importasse nuove o maggiori spese, introdusse nell’ordinamento costituzionale il principio dell’equilibrio del bilancio pubblico. Per Vanoni si trattava di un principio di reciprocità intergenerazionale.
Il 1° gennaio 1948 entrò in vigore la Costituzione repubblicana e il 23 maggio, con la formazione del V governo di Alcide De Gasperi, iniziò la stagione del centrismo. Vanoni, che per pochi mesi era stato ministro del Commercio estero nel III governo De Gasperi insediatosi il 2 febbraio 1947, divenne un protagonista di quella fase politica. Ministro delle Finanze ininterrottamente per cinque anni, fu anche ministro del Bilancio e ad interim del Tesoro. Predispose la riforma doganale e tributaria, collaborò alla fondazione della Cassa per il Mezzogiorno, firmò la legge istitutiva dell’Ente nazionale idrocarburi (ENI).
Nel dicembre del 1954 il Consiglio dei ministri presieduto da Mario Scelba approvò, su proposta di Vanoni, un corposo documento di oltre cento pagine intitolato Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-64 e noto come Schema o Piano Vanoni. Il Piano mirava a conseguire, in un decennio, tre obiettivi macroeconomici: la piena occupazione, con la creazione di 3,2 milioni di nuovi posti di lavoro, la riduzione degli squilibri tra Nord e Sud e l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Per conseguire il triplice obiettivo si riteneva che il reddito nazionale dovesse continuare a crescere, come nel precedente quinquennio, a un tasso medio annuo del 5%. E per continuare a crescere a quel tasso si considerava necessario un aumento degli investimenti pubblici finalizzato ad accrescere sia la produttività del lavoro sia il numero degli occupati. I maggiori investimenti avrebbero dovuto essere finanziati con prestiti esteri e risparmi nazionali. Il Piano non fu attuato anche per la prematura scomparsa del suo ideatore.
Morì il 16 febbraio 1956 al termine di un drammatico discorso pronunciato nel Senato della Repubblica.
Opere. Le principali antologie degli scritti e discorsi di Vanoni sono: Discorsi sul programma di sviluppo economico, Roma 1956; Opere giuridiche, a cura di F. Forte - C. Longobardi, I, Natura e interpretazione delle leggi tributarie. Altri studi di diritto finanziario, Milano 1961, II, Elementi di diritto tributario. Altri saggi di diritto finanziario, Milano 1962; Scritti di finanza pubblica e di politica economica, a cura di A. Tramontana, Padova 1976; La politica economica degli anni degasperiani. Scritti e discorsi politici ed economici, a cura di P. Barucci, Firenze 1977; Discorsi parlamentari, a cura di A. Tramontana, I-II, Roma 1978; Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, a cura di A. Magliulo, Roma 1991, pubblicato poi con il titolo Il pensiero dei padri costituenti: Ezio Vanoni, Milano 2013.
Fonti e Bibl.: M. Ferrari Aggradi, E. V. Vita, pensiero, azione, Roma 1956; P. Malcovati - G. Spini - P. Saraceno, E. V., Torino 1958; La politica economica degli anni degasperiani. Scritti e discorsi politici ed economici, a cura di P. Barucci, Firenze 1977, pp. V-LVII; S. Steve et al., Atti della Riunione scientifica in onore di E. V., in Economia internazionale, 1986, n. 2-4, pp. 13-79; A. Tramontana, Il contributo di E. V. alla formazione della carta costituzionale, in Economia pubblica, 1987, n. 7-8, pp. 319-334; E. V. La giustizia sociale nell’economia di mercato, a cura di A. Magliulo, Roma 1991 (pubblicato poi con il titolo Il pensiero dei padri costituenti: E. V., Milano 2013); G. Vigna, E. V. Il sogno della giustizia fiscale, Milano 1992; A. Quadrio Curzio - C. Rotondi, Disavanzo pubblico e impresa pubblica nel pensiero di E. V., in Economia pubblica, 1993, n. 9-10, pp. 407-417; S. Steve, Commemorazione di E. V., letta in Ca’ Foscari il 12 maggio 1956, in Id., Scritti vari, Milano 1997, pp. 761-774; A. Magliulo, La politica economica di E. V. negli anni del centrismo, in Studi e note di economia, 2007, n. 1, pp. 77-114; E. V. tra economia, politica, cultura e finanza, a cura di D. Ivone, Napoli 2008; F. Forte, E. V. economista pubblico, a cura di S. Beretta - L. Bernardi, Soveria Mannelli 2009; P. Roggi, E. V. e la Democrazia cristiana, in Id., Amintore Fanfani imprenditore della politica, Firenze 2011, pp. 213-225; G. Marongiu, E. V. Ministro delle Finanze, Torino 2016; P. Del Debbio, L’etica fiscale ed economica di E. V., Milano 2019.