CAMUSSI, Ezio
Nacque a Firenze il 16 genn. 1877 da Giovanni e Candida Govi. La sua formazione si svolse a Roma, dove iniziò tredicenne gli studi di pianoforte con A. Vessella, completandoli successivamente con N. Spinelli e C. Lippi, e quelli di composizione all'età di sedici anni sotto la guida di S. Falchi (non sembra documentato, invece, l'insegnamento di G. Sgambati al quale viene fatto spesso riferimento). Fu il maestro Lippi ad avviarlo giovanissimo alla carriera di concertista. Nel 1895, appena diciottenne, si esibì con successo di fronte al raffinato ed esigente pubblico romano della sala Dante, al quale presentò nel febbraio dell'anno successivo - lasciando intravvedere dopo appena due anni di studio un'attitudine sorprendente alla composizione - i suoi Cinque pezzi lirici per pianoforte; un'opera che pubblicherà diciotto anni più tardi con buon successo editoriale presso Carisch e Janichen. Nel 1896le sue qualità di esecutore vennero segnalate in una serie di concerti alla sala Filarmonica di Firenze.
Nel 1897si diplomò brillantemente in pianoforte e composizione al liceo musicale di Bologna, e nel 1898 entrò nella classe di composizione tenuta al conservatorio di Parigi da J. Massenet. Il periodo di perfezionamento a Parigi, durato due anni, ebbe un'influenza determinante sulla sua formazione. L'interesse per la composizione si precisò alla scuola di Massenet nella scelta del teatro lirico come mezzo espressivo privilegiato. Nella sua produzione, i modelli e le tendenze stilistiche della scuola operistica francese di fine secolo rimarranno tra gli elementi di maggiore e più costante riferimento.
Tornato nel 1900 in Italia si stabilì a Pisa, dove alternò l'attività di concertista, spesso in piccoli ensemble, a quella di critico per il quotidiano Il Mattaccino e per il periodico Il Saggiatore, dove nel 1901apparve un suo articolo su Le "Suites d'orchestre" di J. Massenet (I [1901], n. 1). A Pisa fu segnalato nel 1901nel concorso per il posto di maestro di cappella della chiesa metropolitana e diresse la sinfonia dell'Aroldo in una serata, data al teatro Nuovo in commemorazione di Verdi, alla quale partecipava Mascagni. Non tralasciò, peraltro, la composizione. Proprio in questo periodo iniziò a lavorare alle musiche dell'opera La Du Barry, su testo di G. Antona Traversi ed E. Golisciani, che iscrisse nel 1905, incoraggiato da Massenet, e servendosi della traduzione di P. Ferrier, al concorso bandito a Parigi dall'editore Astruc sotto il patrocinio dei principe Alberto di Monaco. L'opera verrà scelta come migliore lavoro in concorso nel 1908da una commissione composta, oltre che da G. Astruc, da X.-H. Leroux, C. Saint-Saëns e R. Gunsbourg.
L'affermazione della Du Barry diede al suo giovane autore un'improvvisa notorietà, proiettandolo alla ribalta del mondo musicale e all'attenzione del pubblico e della critica. Si apriva per il C. uno dei periodi più felici e fortunati della sua carriera. Nel 1909, tornato a Parigi per ricevere il premio, firinava, grazie all'autorevole intervento di Massenet, un contratto con la vedova di C. Mendès per la riduzione ad opera lirica del dramma Albert Glatigny. Il libretto affidato dapprima ad A. Colautti e successivamente a G. Antona Traversi e L. Orsini, non verrà però mai messo in musica dal Camussi. La Du Barry veniva intanto acquistata da Edoardo Sonzogno, al quale era raccomandata da A. Boito e da Massenet. Slittata la rappresentazione all'Opera di Montecarlo, dove secondo le norme del bando di concorso avrebbe dovuto essere rappresentata, l'opera fu inserita nel programma della stagione lirica 1911-12 dell'Adriano di Roma, ma sostituita all'ultimo momento dalla Tosca; veniva finalmente messa in scena al teatro Lirico di Milano il 7 nov. 1912, in un allestimento che si avvaleva dell'interpretazione della soprano G. Baldassarre Tedeschi e del tenore E. Garbin. La rappresentazione fu salutata da un clamoroso successo di pubblico. L'opera rimase in cartellone al Lirico per sei serate, venne ripresa nella stagione di quaresima al teatro Verdi di Pisa, nell'aprile del 1913 al Covent Garden di Londra, in giugno al Colón di Buenos Aires, quindi a Montevideo e a Montreal e nel 1914al Costanzi di Roma. Al generale successo di pubblico corrispondeva un pressoché unanime apprezzamento della critica. Se autori come Leoncavallo riconoscevano nel C. "una sicura promessa dell'arte nostra" (LaTribuna, 1° dic. 1912), parte della critica gli rimproverava la derivazione dalla scuola di Massenet di "un carattere manierato e leggero", riconoscendogli una vena "bisognosa di rinvigorire la sua fibra, perché in caso contrario potrebbe poi morire consunta per anemia" (Corriere della sera, 8 nov. 1912).
Abbandonato definitivamente il progetto dell'opera Albert Glatigny, negli anni del pieno successo della Du Barry, aderì ad un ambizioso progetto editoriale di E. Sonzogno, che nel 1912 gli proponeva la riduzione ad opera lirica di Johannisfeuer di H. Sudermann, una delle figure dominanti del teatro europeo dell'inizio secolo. I fuochi di s. Giovanni, ridotti dallo stesso Sudermann e tradotti da E. Cavacchioli, nel loro netto contrasto di caratteri e nel loro irrazionale contenuto passionale rappresentavano forse il testo meno congeniale alla sensibilità e alle qualità espressive del giovane inusicista, dotato maggiormente nell'espressione di una gamma di affetti intimi e sentimentali.
L'opera ebbe una gestazione lunga e tormentata. 1 programmi di Sonzogno, che ne prevedevano la prima rappresentazione per la primavera del 1914 al Covent Garden e contemporaneamente in un grande teatro tedesco, subirono immediatamente un primo ritardo. Nel 1914, infatti, R. Strauss ribadiva i diritti d'autore sul titolo, che aveva già avanzato all'epoca della rappresentazione del dramma di Sudermann, in base alla sua opera Feuersnot. Ne derivava uno slittamento nei tempi di programmazione, dilatati ulteriormente dallo scoppio della prima guerra mondiale. L'opera verrà messa in scena soltanto il 27 marzo 1920 al teatro Dal Verme di Milano con tiepido successo di pubblico e una contrastata accoglienza da parte della critica.
Nel 1923 il C. iniziò a lavorare a Scampolo, tratto dalla fortunata commedia di D. Niccodemi, ridotta dallo stesso autore per l'allestimento lirico. Il testo, incentrato sulla figura di una monella ribelle e irriverente, scalza e coperta di stracci, ma tratteggiata, secondo un populismo accomodante, come candido giglio della strada, offriva l'occasione per un'espressione brillante e sentimentale. Il rivestimento musicale dato dal C. coglieva questa opportunità in un uso orchestrale di sottolineatura e di colore che non si sottraeva all'impiego umoristico della citazione. Riuscirebbe difficile comprendere ad un ascoltatore di oggi la perplessità, se non lo scandalo, che l'opera suscitò in alcuni settori del pubblico alla sua apparizione (il 22 febbr. 1925 al teatro Verdi di Trieste) per quelle che furono giudicate audacie armoniche e per una certa crudezza di linguaggio.
Dopo il poco fortunato episodio della Principessa lontana, tratta ancora da un'opera di Sudermann, ridotta e tradotta da P. Buzzi, mai rappresentata, iniziò a lavorare negli anni Trenta a Il volto della Vergine, tratto dall'omonimo poemetto di G. Nigoud, ridotto ancora da P. Buzzi. Nelle sue atmosfere di candore e di tiepido misticismo, in un sentimentalismo vago e delicato, era questo forse il testo maggiormente congeniale alla sensibilità e all'ispirazione del musicista. L'opera fu rappresentata il 23 genn. 1937 con buon successo al teatro Petruzzelli di Bari e ripresa il 26 apr. 1938 alla Scala.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Milano, dove si era stabilito dal 1908, lavorando ininterrottamente alla sua ultima opera Il donzello, che incompiuta distruggerà prima di morire. Nel 1953, con la ripresa al teatro Nuovo del Volto della Vergine, riceveva orinai settantaseienne un ultimo omaggio dal pubblico milanese che ne aveva seguito passo dopo passo l'intera carriera.
Moriva a Milano tre anni più tardi, l'11 ag. 1956.
Considerata di solito, più per esigenze di classificazione che per reale appartenenza, nell'orbita del verismo, l'opera del C. difficilmente sembra poter rientrare in una linea di tendenza definita. L'adesione ai canoni e ai temi del verismo si limita in realtà ad alcuni aspetti dei Fuochi di s. Giovanni. Più coerente e stabile è l'influenza della lezione massenettiana che, evidente nella Du Barry, costruita su un abile ed elegante ordito di forme di danza del Settecento rivisitate con arte di maniera, si stempera nella produzione successiva in un ideale di eleganza e di controllato equilibrio formale. Musicista elegante e raffinato, il suo senso armonico, per certi versi contemporaneo, ècostretto entro i limiti di una fedeltà di principio al melodismo e a un uso strumentale impressionistico e di colore. È tipica della sua produzione una delicatezza psicologica che si esprime in caratteri tenui e vaghi e un'eleganza e una finezza strumentale talvolta estenuata, che trova precisa conseguenza nelle opere della maturità nella tendenza a una maggiore concisione formale. L'inclinazione verso il cesello prezioso e la miniatura, costantemente presente, è ben rappresentata da una produzione minore per lo più strumentale. Essa comprende, oltre i citati Cinque pezzi lirici per pianoforte (Milano-Leipzig 1913), Scene medioevali per violino e orchestra (Milano 1927); Suite romanesca per orchestra (ibid. 1927); Riflessi goldoniani per orchestra (ibid. 1927); Intermezzi giocosi per teatrino delle marionette (ibid. 1927); Liriche di M. A. De Carolis … messe in musica da E.C. (ibid. 1927); Pantomima romantica per piccola orchestra (ibid. 1938); l'ouverture Festival (ibid. 1938); Giocattoli, suite infantile per pianoforte (ibid. 1933); Suite breve, nenia umoresca per pianoforte e orchestra (ibid. 1935).
Fonti e Bibl.: Notizie inedite, da fonti documentarie conservate dalla signora M. G. Labia (coerede Camussi). Notizie in Il Popolo romano, 21 apr. 1895; La Gazzetta musicale di Milano, LII (1897), p. 144; La Croce pisana, 6 genn. 1901; Il Ponte di Pisa, 17 febbr. 1901; Il Corriere toscano, 15 apr. 1904; Il Telegrafo, 3 febbr. 1905, 12 ag. 1908, 4 luglio 1910; Il Mattaccino, 2-3 febbr. 1906, 8 luglio 1906, 14-15 ag. 1909, 9-10 nov. 1912, 4-5 genn. 1913; Il Piccolo, 27 luglio 1909, 23 febbr. 1925; La Tribuna, 9 dic. 1911, 1° dic. 1912; Corriere della sera, 31 giugno 1912, 8 nov. 1912, 28 marzo 1920, 23 febbr. 1925; Il Secolo, 8 nov. 1912, 10 marzo 1913, 12 apr. 1913, 16 ag. 1913, 5 sett. 1913; Orfeo, 12 ott. 1912, 26 apr. 1913, 3 maggio 1913; Il Sole, 8 nov. 1912; Il Mattino, 8-9 nov. 1912; Comedia (Paris), 12 nov. 1912, 24 nov. 1912; Patria degli Italiani (Buenos Aires), 4 dic. 1912; La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 e 24 genn. 1937; Teatro della Scala: Programma ufficiale - stagione 1937-1938, Milano 1937, pp. 65 s.; C. Mosso, Il Novecento "storico", in Storia dell'opera, 1, 2, L'opera in Italia, Torino 1977, p. 624. Si vedano inoltre: C. Schmidl, Diz. univ. dei maicisti, I, Milano 1926, p. 285; Encicl. dello spett., II, Roma 1954, coll. 1611-1612; Encicl. della nutsica Rizzoli Ricordi, I, Milano 1972, p. 458.