extraprofitto
Eccedenza sul profitto normale del profitto effettivamente conseguito dalle imprese non marginali (nel linguaggio finanziario è anche definito sopraprofitto). Si tratta di un guadagno differenziale derivante dal fatto che il prezzo dello stesso prodotto sul mercato è unico, mentre i costi unitari medi delle singole imprese differiscono tra loro in conseguenza delle diverse capacità tecniche e organizzative degli imprenditori, di particolari situazioni di ubicazione, di disponibilità di brevetti e materie prime, di casuali circostanze di congiuntura.
L’e. (che è detto anche semplicemente profitto da chi vede nel profitto normale la somma del salario di direzione, dell’interesse del capitale investito dall’imprenditore e della remunerazione a lui spettante) deriva quindi spesso da situazioni di mercato più che da meriti dell’imprenditore e può considerarsi in tal caso un fenomeno di quasi rendita (➔). Nelle forme di mercato dove non vi sono barriere all’entrata (➔ barriera), l’esistenza di e. attira nuove imprese nei settori dove essi si verificano, determinando, attraverso l’espansione delle quantità offerte, la diminuzione dei prezzi dei beni prodotti e la conseguente progressiva riduzione degli e. stessi, fino alla realizzazione dei soli profitti normali di lungo periodo.
Nella visione degli economisti classici, l’e. è il frutto di un abuso di potere di mercato da parte delle imprese dominanti. Per la scuola di Chicago (➔ Chicago, scuola di) un e. può riflettere efficienza produttiva e/o vantaggi di costo da parte di alcune imprese, in grado di conseguire una posizione di monopolio abbassando i prezzi e costringendo i concorrenti ad abbandonare il mercato. L’e. in quest’ottica non ha una valenza negativa. Tale risultato sussiste anche per J.A. Schumpeter e gli esponenti della scuola austriaca (➔ austriaca, scuola), ma per ragioni diverse. Secondo questa scuola di pensiero, il monopolio può garantire una crescita economica più rapida rispetto alla configurazione di perfetta concorrenza, grazie all’investimento degli e. in ricerca e sviluppo (autofinanziamento). Il finanziamento di investimenti in ricerca e sviluppo è infatti molto costoso e spesso gli intermediari finanziari esitano a sostenere progetti il cui rendimento è molto incerto. La presenza di e. in un monopolio è dunque ciò che spingerebbe le imprese a fare ricerca. Al contrario, K.J. Arrow ritiene che i monopoli ostacolino la diffusione e l’adozione delle innovazioni, poiché chi gode delle rendite in un settore non avrebbe alcun incentivo a investire in ricerca e sviluppo e, inoltre, la presenza dei brevetti ostacolerebbe la diffusione delle conoscenze tecnologiche, che sono il motore della crescita. Se l’inefficienza del monopolio in senso allocativo (statico) è un risultato acquisito, il dibattito sull’inefficienza di monopolio in senso dinamico è una questione ancora aperta.