Export Oriented Industrialization (EOI)
Export Oriented Industrialization (EOI) Strategia di sviluppo industriale basata sulla promozione delle esportazioni di beni manufatti. Si realizza principalmente attraverso sussidi alle esportazioni, incentivi fiscali e apertura dell’economia al commercio estero.
A partire dagli anni 1970 la strategia EOI (anche detta Export Led Industrialization, ELI) fu vista come alternativa all’Import Substitution Industrialization (ISI), che aveva registrato scarsi successi nei Paesi che l’avevano adottata. Alle critiche teoriche dell’ISI e alle evidenze empiriche sulla crescita dei Paesi che ne avevano fatto uso, si aggiunse il crollo dell’Unione Sovietica, interpretato dall’Occidente come una chiara conferma del fallimento delle economie pianificate e come legittimazione di un totale cambiamento di approccio. Il dibattito accademico si spostò presto sulla relazione fra ISI ed EOI. Era opinione condivisa che le due strategie non si escludessero a vicenda, ma tuttavia non era chiaro se l’ISI dovesse essere considerata come condizione necessaria allo sviluppo di una base manifatturiera per l’export. Alcuni suggerivano di concentrare l’attenzione sul tempo della transizione fra ISI ed EOI poiché, quanto meno si era legati all’ISI, tanto più facile era poi aprire l’economia.
Dal punto di vista teorico, le strategie EOI erano giustificate sulla base del principio dei vantaggi comparati (➔ vantaggio). L’apertura al commercio estero avrebbe permesso alle economie precedentemente protette di specializzarsi nei settori in cui le dotazioni iniziali di fattori risultavano vantaggiose (tipicamente settori ad alta intensità di lavoro), garantendo un’allocazione efficiente delle risorse (➔ allocazione). La teoria dei vantaggi comparati poneva quindi le basi per giustificare le aperture unilaterali delle economie, fortemente sostenute dalle istituzioni internazionali degli anni 1980 e che hanno interessato diversi Paesi, a partire dall’America Latina, precedentemente protetti da strategie ISI. Dal punto di vista delle evidenze empiriche, le esperienze di successo delle politiche EOI erano solitamente associate alla crescita economica di quel periodo dei Paesi che per primi avevano sperimentato l’apertura dei mercati e il modello export-oriented: le 4 tigri asiatiche (Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong) e a seguire le cosiddette economie di nuova industrializzazione (➔ NIEs), ovvero Malaysia, Filippine, Indonesia e Thailandia.
Una parte dominante della letteratura leggeva l’esperienza di queste economie come conforme alle previsioni della teoria neoclassica: il confronto su mercati aperti internazionali attraverso un meccanismo di mercato non distorto (o poco distorto) aveva prodotto la crescita economica. Questa lettura crebbe fino a diventare parte di un consensus ampiamente rappresentato da importanti istituzioni internazionali, tra cui il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, e pertanto denominato Washington consensus. Per contro, una restante parte della letteratura insisteva nel sottolineare come in realtà il meccanismo di mercato fosse ampiamente e volutamente distorto nell’esperienza di queste economie e quindi come il successo delle politiche EOI non fosse tanto da attribuire all’apertura unilaterale dei commerci, quanto al sistema di istituzioni e politiche industriali specifiche che avevano guidato quell’apertura.