EXCISIONE
L'e. è una tecnica decorativa ceramica assai caratteristica, che crea i motivi ornamentali ritagliando, od anche semplicemente incavando, la superficie del vaso quando l'argilla è ancora fresca. Le cavità così ottenute sono poi generalmente riempite di materia colorante con conseguente notevole accrescimento dell'effetto decorativo. Alcuni vedono nell'e. l'imitazione dell'intaglio in legno ed in realtà qualche volta, come ad esempio nel caso dei cosiddetti vasi a tegame della civiltà cicladica, la stessa forma del fittile trae ispirazione da modelli lignei. Comunque, questo rapporto è bene espresso dalla terminologia tedesca, che usa appunto per questo tipo di decorazione la parola Kerbschnitt. Lo stesso termine è adoperato per quell'analoga tecnica nell'oreficeria barbarica, che viene comunemente detta incisione a cuneo. L'e. appare per la prima volta in Europa durante il Neo-Eneolitico, affermandosi in modo particolare nella civiltà di Vučedol (onde il nome di "stile di Vučedol" sotto cui è anche nota), mentre nella successiva Età del Bronzo è impiegata soprattutto dalle genti della Hügelgräberkultur. In Italia, dopo essere comparsa nelle civiltà di Chiozza e del Pescale, diventa una delle tecniche più tipiche della civiltà appenninica. L'e. continua, poi, ad essere in uso nella Civiltà del Ferro (Hallstatt, Villanova ecc.). La tecnica dell' intaglio (asportazione di larghe zone superficiali della pasta) usata nell'e., può condurre anche ad una concezione opposta (figurazione depressa) come in esemplarî di Capena (Lazio) o di Pitino (Marche), in cui, abbandonati i vieti motivi geometrici, si prediligono le rappresentazioni figurate, nelle quali a volte si può scorgere un certo valore artistico.
Bibl.: Reall. der Vorg., s. v. Kerbschnittverzierung; V. G. Childe, The Danube in Prehistory, Oxford 1929; P. Laviosa Zambotti, Le più antiche culture agricole europee, Milano 1943; V. G. Childe, The Dawn of European Civilization, 6 ed., Londra 1957; R. Paribeni, Necropoli del territorio capenate, in Mon. Ant. Lincei, XVI, 1906.