evidenza
Nel pensiero antico, caratteristica specifica della scienza in opposizione all’opinione. Il termine gr. ἐνάργεια («evidenza») indica chiarezza, vividezza e nella sua accezione più specificamente filosofica rimanda al modo di presentarsi di ciò che è in maniera tale da escludere ogni equivocità ed errore, e affermarsi di conseguenza come criterio di verità e certezza. In Aristotele l’e. è propria dei principi primi dell’intelletto e degli assiomi sui quali si fondano le singole scienze, indimostrabili ed evidenti per sé, il cui carattere di autoevidenza ne rende superflua ogni dimostrazione razionale. Sia tra gli epicurei sia tra gli stoici, l’e. si pone come criterio di verità, ma mentre nei primi – stando a quanto attestato in Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, X, 52) – l’e. coincide con la modificazione prodotta sugli organi di senso dal presentarsi degli oggetti nel processo conoscitivo, gli stoici intendevano con essa il manifestarsi delle cose ai sensi e all’intelligenza in modo da risultarne «comprese» (Stoicorum veterum fragmenta, [A], 59, 1-4; [B.f.] 844; [AS] 3). L’aspetto soggettivo dell’e. torna a occupare un ruolo fondamentale nella filosofia moderna con Descartes, il quale fa della regola dell’e. la prima delle quattro regole su cui si fonda la conoscenza nel Discorso sul metodo (1637, parte II). Già nelle Regole (1628, III) egli aveva posto alla base della scienza la possibilità di «intuire con chiarezza ed e., e dedurre con certezza», correlando l’e. con la facoltà dell’intuizione e individuando nella necessità razionale la certezza della deduzione. Ancora viva in Locke è l’idea che la conoscenza intuitiva con la quale si coglie l’accordo o il disaccordo tra idee in un dato momento rappresenti il grado più alto di certezza ed e. accessibile «alla debolezza dello spirito umano» (Saggio sull’intelletto umano, 1690, IV, 1), mentre nei Nuovi saggi sull’intelletto umano (1705, IV, 11, 10) Leibniz limita la chiarezza o e. a ciò che è certo immediatamente; l’e. non è altro che «una certezza luminosa nella quale, a causa della connessione che si scorge tra le idee, non sussiste dubbio»; il fondamento della conoscenza è nella possibilità che le conoscenze «chiare e confuse» possano essere, in linea di principio, analizzate fino a raggiungere verità analitiche ed eterne. L’e. dei nessi tra le nozioni ideali considerate in sé, per es. nelle scienze matematiche, è ancora sostenuta da Hume. In Kant è indubitabile il principio di non contraddizione come fondamento dei giudizi analitici e conditio sine qua non dei giudizi sintetici a priori, resi possibili da quell’unità sintetica che è soggettiva e condizione di possibilità dell’oggettività dell’esperienza (Critica della ragion pura, 1781, A 125). Il tentativo di eliminare, tanto dalla logica formale quanto da quella trascendentale (come già per altro verso in Leibniz), i riferimenti ritenuti psicologici come quello rappresentato dalla nozione di e., avrà una sua radicalizzazione in autori Peirce e Frege e in generale nella tradizione della filosofia analitica. Per altra via, il carattere oggettivo dell’e., tanto caro al pensiero antico e per lo più trascurato nella filosofia moderna, torna in primo piano nella fenomenologia di Husserl, indicando il presentarsi o il manifestarsi di un oggetto come tale, qualsiasi siano l’oggetto e i metodi con i quali si voglia attestare o garantire la sua presenza o manifestazione. Husserl definisce l’e. come un «riempimento dell’intenzione», dichiarando che essa si realizza quando il momento soggettivo dell’intenzione della coscienza viene «riempito» dalla totalità delle determinazioni che individuano l’oggetto della coscienza stessa, e in virtù delle quali l’oggetto si presenta a essa «in carne e ossa» (Ricerche logiche, 1900, II, § 39; Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica, 1913, I, § 145). Il recupero dell’e. nella sua accezione oggettiva ha avuto un ruolo centrale ed esiti diversi anche nel ripensamento dei fondamenti epistemologici delle scienze empiriche, aprendo la strada a un rinnovato dibattito sull’e. tendente a un suo ridimensionamento, quando non a una vera e propria esclusione, dal dibattito sulla conoscenza.