Everardo Alemanno
Poeta e retore (sec. XIII), così soprannominato per distinguerlo da E. di Béthune autore del Graecismus, col quale fu a lungo confuso; è noto come autore di un'arte poetica intitolata Laborintus e composta verso la metà del secolo XIII.
Egli stesso ci dice di aver studiato a Parigi e a Orléans, mentre le poche notizie offerte dai manoscritti della sua opera alludono all'insegnamento svolto da lui a Parigi, a Brema, a Colonia. Il titolo, che risale certo al " Labyrintus " degli antichi, è da ricollegarsi con l'etimologia medievale " labor habens intus ", e quindi allude alla miseria e alla fatica dell'opera didattica. Scritta perciò in metro elegiaco, questa Ars s'inizia appunto con l'esortazione, rivolta al poeta da Elegia, a esporre " quid sit onus cathedrae ", e contiene ai vv. 835-990 la descrizione delle sventure cui va incontro chi si dedica allo studio e all'insegnamento. Per il resto l'opera ricalca, nella parte relativa all'elocutio (vv. 269 ss.), le grandi " Arti " di Matteo di Vendôme, di Goffredo di Vinsauf e di Gervasio di Melkley, che l'autore stesso cita fra i maestri da seguire, ma si distingue innanzi tutto per lo schema stesso dell'esposizione, che intende seguire le fasi dell'educazione, secondo l'esempio dei grandi poemi didattici, attraverso le personificazioni della Natura madre, della Filosofia, delle arti, ecc., che via via hanno cura del maestro. Inoltre il Laborintus contiene un interessante elenco di autori, disposti in modo che alle prime letture necessarie alla formazione morale consistente in semplici insegnamenti e favole (i Distica Catonis, il Theodolus, Aviano, Esopo, ecc.) seguono i poeti dell'antichità (Claudiano, Stazio, Ovidio, Orazio satiro, Persio, Virgilio - addotto ad esempio dei tre stili fondamentali - Lucano, Omero), poi quelli che han trattato argomenti cristiani (Pietro Riga, Sedulio, Aratore, Prudenzio), e infine gli autori di poemi dottrinali, quale l'Anticlaudianus di Alano di Lilla, ecc. L'elenco si conclude con le opere miste di prosa e poesia, fra cui spiccano quelle di Matteo di Vendôme, di Boezio, di Marziano Capella, di Bernardo Silvestre.
Ma il Laborintus si distingue soprattutto per la trattazione della metrica, intesa come compito proprio della poesia, la quale aggiunge alla grammatica, di cui è al seguito, questo ufficio particolare (" Grammaticae famulans subit ingeniosa poesis: / Officii confert ulterioris onus ", vv. 253-254). La poesia, però, è concepita non solo come lo studio dei metri e la scelta di essi in rapporto al contenuto (vv. 261-262), ma come l'arte che abbraccia ogni cosa ed è perfino signora della sapienza (" Est mihi materia quicquid capit ambitus orbis; / Ludit in obsequio Philosophia meo ", vv. 367-368). La trattazione della metrica riguarda soprattutto l'esametro, il metro proprio dell'epica (" Historias habet hexametrum ", v. 263), di cui sono elencate un gran numero di varietà, compresa quella dell'esametro rimato. Particolare importanza acquista la trattazione dei ritmi, tutta quasi risolta in una serie di esempi, catalogati, secondo l'uso francese, in base alla terminologia ‛ metrica ' (ritmi spondaici, giambici), in base al numero delle sillabe e alla fondamentale distinzione, già presente in Giovanni di Garlandia, di ritmi " semplici " e " composti ". Precede la definizione del ritmo, costituito da tre elementi fondamentali: membrum, sillaba, finis.
Il nucleo centrale dell'insegnamento retorico, riguardante l'ornatus, si articola attraverso la distinzione dello stile " difficilis " (" semita difficilis "), che corrisponde al genere più alto ed è caratterizzato dal linguaggio figurato, e della via plana, distinta a sua volta nel linguaggio " quotidiano " corrispondente al genere umile e nella " planities picta " corrispondente al genere medio della tradizione classica. Sicché la bipartizione propria della teoria dell'ornato (" ornatus facilis " e " difficilis ", " trobar leu " e " trobar clus ") viene adattata alla tripartizione propria della teoria degli stili.
È difficile dire se e in qual misura il Laborintus sia stato presente a D., il quale conobbe le " Arti " alle quali E. attingeva. Tuttavia, se per la parte riguardante l'arte ritmica non esistono se non vaghe corrispondenze (D. usa, fra l'altro, tutt'altra terminologia), la preliminare distinzione dantesca della constructio in congrua e incongrua (VE II VI 3) s'incontra con i comandamenti della grammatica nel Laborintus, che attinge all'insegnamento di Prisciano (" Quae sit festiva, quae non, constructio vocum: / Et quot sint species illius inde bibit; / Quae sit congruitas sensus et vocis, utramque / quae teneat, quae non, synthesis, inde bibit ", vv. 187-190); la lista degli autori di cui si consiglia la lettura diretta presenta qualche occasionale affinità relativamente agli autori antichi, ma il carattere di propedeuticità attribuito ai poemi classici nei confronti delle opere dottrinali moderne e la concezione della poesia comprendente la sapienza filosofica corrispondono in sostanza alla prospettiva dantesca. Si aggiunga che anche in D. all'originaria distinzione fra il plebescere e la suprema constructio (VE II VI 7) si sovrappone l'altra dei tre gradi positivi della constructio (nel Laborintus la distinzione riguardava infatti, inizialmente, l'opposizione fra il " modus egregius " e la " trita... via ", il " sermo communis ", vv. 343 ss.).
Ma soprattutto è interessante, se non come indice di una precisa imitazione, almeno come segno di una comune terminologia grammaticale, l'incontro fra le parole pronunciate da D. in Pg XXIV 53-54 per designare la semplice trascrizione grammaticale, che egli compie, dell'ispirazione di Amore, e i versi nei quali E. enuncia l'ufficio della grammatica, la quale apprende la funzione specifica delle parti del discorso, le loro particolarità e il limite del loro compito espressivo: " Sugit quid proprium sit cuique, quid accidat illi, / Et quid simpliciter significando notet " (vv. 181-182).
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