LEONE, Evasio
Nacque a Casale Monferrato il 16 apr. 1765, da Andrea e Teresa Mossi. Frequentate le scuole pubbliche nella città natale, proseguì gli studi nel convento carmelitano di Asti con il padre Florido Ambrosio. Il 16 nov. 1781 entrò nell'Ordine e dopo altri due anni di studi passò a Torino, dove conseguì i gradi di teologia nel 1788.
Fra 1783 e 1785 collaborò con il padre Eustachio Delfini, già cappellano nella spedizione alle Indie di P.-A. de Suffren, che gli affidò la stesura delle sue memorie (Ragguaglio della spedizione della flotta francese alle Indie Orientali seguita negli anni 1781, 1782, 1783 sotto la condotta del generale De Suffren, Torino 1785; Memorie storiche intorno alle Indie Orientali ed al ritorno dalle medesime in Europa del p. Eustachio Delfini carmelitano, Torino 1786).
Il 9 nov. 1786 il L. fu ascritto alla Patria Società letteraria, fondata nel 1782 dai conti Prospero Balbo e Felice San Martino della Motta e da altri esponenti dell'élite politica e culturale torinese; ne fu un membro assiduo e attivo sino alla chiusura nel 1796. Nelle prime riunioni a cui prese parte lesse le bozze di una traduzione italiana del Cantico dei Cantici, cui lavorava da tempo.
Dieci anni prima l'abate T. Valperga di Caluso aveva letto nell'Accademia Sampaolina (altra grande accademia letteraria di Torino) una traduzione dall'ebraico della stessa opera, mai edita, ma che aveva avuto una discreta circolazione manoscritta; V. Alfieri, grande amico del Caluso, se ne era servito per il Saul. Quella traduzione fu certamente presente al L., che tuttavia nella sua si mostrò legato al gusto metastasiano (che elogiò anche apertamente in una sessione della Società). Edita a Torino nel gennaio del 1787, l'opera divenne la sua più celebre (fu più volte ristampata sino alla fine dell'Ottocento) ed ebbe recensioni positive in diverse riviste italiane, fra cui le Novelle letterarie di Firenze (n.s., XVIII [1787], col. 214), le Effemeridi letterarie di Roma (XVI [1787], pp. 69 s.), il Nuovo Giornale dei letterati d'Italia di Modena (XL [1789], pp. 331 s.). Fu lodata anche da C. Denina.
Il successo della traduzione del Cantico fece del L. uno dei poeti più richiesti dalla nobiltà della capitale subalpina, per la quale scrisse numerosi poemi e cantate, in gran parte presentati alla Società letteraria. Nel settembre 1787 la nobiltà di Asti lo invitò a tenere un'orazione per il soggiorno in città di Vittorio Amedeo III (Gli affetti della città d'Asti nell'essere per la seconda volta onorata dalla presenza di s.s.r.m. e de' reali principi gli 11 sett. 1787, Torino 1787). Fu noto anche fuori dello Stato, come mostra l'inclusione di una sua cantata (La pace tra Pallade ed Amore) e di un suo scritto su Del dominio delle donne e della virtù di S. Bettinelli nei Componimenti per le nozze del conte Stefano Sanvitali e della principessa donna Luigia Gonzaga (Parma 1787). Alla fine del 1787 il L. era già ascritto, oltre che alla Società letteraria, all'Arcadia e all'Accademia degli Immobili di Alba. Dal 1789 affiancò all'attività di poeta quella di giornalista, prima sulla Biblioteca oltremontana - nata nel 1787 nell'ambito della Società letteraria e che aveva nei fratelli D.F. e G.B. Vasco i suoi principali animatori - e poi, quando questa assunse una linea politica più conservatrice, sul Giornale scientifico, letterario e delle arti, mensile fondato dal chimico G.A. Giobert e dal medico C. Giulio. A venticinque anni il L. era una delle figure più in vista della cultura letteraria torinese; il 5 febbr. 1790 Vittorio Amedeo III lo nominò dottore del Collegio di belle lettere. Nello stesso anno, su suggerimento del conte G.C. Corte di Bonvicino, gran cancelliere di Savoia (cui aveva dedicato l'Orazione in lode del beato Bernardo marchese di Baden detta nell'insigne colleggiata della città di Moncalieri, Torino 1789), iniziò a lavorare a un'opera storica, De' principi della real casa di Savoia.
Dedicata a Vittorio Amedeo III, essa si presentava come una serie di elogi storici dei principi sabaudi, ciascuno preceduto da un sonetto. Mostrava grande conoscenza della complessa trattatistica sulla genealogia sabauda, affrontata però con i principî critici di S. Maffei e L.A. Muratori e, soprattutto, facendo tesoro della lezione del Saggio sopra l'arte storica (Torino 1773), del conte G.F. Galeani Napione, uno dei principali esponenti della Patria Società letteraria. Il primo volume, dedicato ai conti di Savoia (da Beroldo di Sassonia, mitico fondatore della dinastia, ad Amedeo VII, il "conte rosso"), fu stampato all'inizio del 1790. La censura, tuttavia, chiese alcuni cambiamenti: la prima edizione fu distrutta (resta un esemplare nella Biblioteca reale di Torino) e ne fu approntata una seconda. Questi problemi e le novità politiche (l'opera uscì mentre lo Stato sabaudo entrava in guerra con la Francia) impedirono al L. di trarne i vantaggi sperati.
Le difficoltà del De' principi, peraltro, non sembrano aver determinato una frattura nella produzione del L., le cui opere fra 1793 e 1797 non mostrano discontinuità con quelle precedenti. Scrisse infatti tre elogi sacri (due di s. Vincenzo de' Paoli, Torino 1795 e 1797, e uno di s. Filippo Neri, Torino 1796); pubblicò in edizione "riveduta ed accresciuta" il Cantico de' Cantici (Torino 1796); continuò l'attività di panegirista (nel 1793 recitò a Novara un panegirico di s. Gaudenzio) e, su incarico del conte Rodrigo de Souza (ambasciatore portoghese a Torino, figura ben innervata nella cultura piemontese dell'epoca) scrisse una cantata per il principe ereditario del Portogallo (Le virtù del trono. Cantata per la nascita di s.a.r. don Antonio di Braganza principe di Beira, Parma 1796). Dal 1793 sino almeno al 1795 lavorò al secondo volume del De' principi (di cui recitò passi alla Patria Società).
Nel dicembre del 1798 lo Stato sabaudo cadeva, conquistato dalle truppe francesi che due anni prima avevano vinto la guerra delle Alpi (1792-96). Il L., che in quell'anno aveva pubblicato presso I. Soffietti la prima edizione della sua traduzione delle Lamentazioni di Geremia, aderì al nuovo regime.
Pochi giorni dopo la conquista francese, in occasione dell'innalzamento dell'albero della libertà nella piazza delle Erbe, di fronte al Municipio (12 dicembre), pubblicò l'inno O subalpino popolo, rompi le tue catene!, dedicato al generale Emmanuel Grouchy, comandante delle truppe francesi (Al Piemonte, il giorno dell'inaugurazione dell'albero della libertà, nella piazza del Comune di Torino, inno patriotico, al nome immortale del cittadino Grouchy, generale comandante in Piemonte, Torino 1799). L'inno fu musicato da Luigi Molino. Nella stessa occasione il L. pubblicò il sonetto L'inaugurazione dell'albero della libertà nella piazza del Comune di Torino alla municipalità (apparso anche in Il Repubblicano piemontese, diretto dall'avvocato M. Paroletti, il 16 nevoso anno VII, cioè il 5 genn. 1799). Il L. annunciò poi l'intenzione di fondare, con M. Basilio, Il Redattore subalpino, giornale politico-letterario che avrebbe avuto a modello il "Redattor di Parigi" e sarebbe dovuto apparire con i tipi della Stamperia patriottica Pane e Barberis. Ne è noto il programma, ma pare che non abbia mai visto la luce.
Nel giugno del 1799, conquistato il Piemonte dagli Austro-Russi, il L. cercò di guadagnarsi la fiducia dei nuovi occupanti e, su incarico del Consiglio della capitale, dedicò un sonetto di plauso ad A.V. Suvorov (A s.a. il conte Suwarow Rymniski, feldmaresciallo di s.m. l'imperadore apostolico e di s.m. l'imperadore di tutte le Russie… l'Italia liberata, Torino 1799). Ma, espostosi troppo in precedenza, fu arrestato e condannato al confino per sei mesi nel convento del Carmine di Asti.
Sorte più dura incontrò il fratello minore Guglielmo (nato a Casale Monferrato il 29 giugno 1767), che, fattosi domenicano e conseguito il dottorato in teologia, era divenuto docente nelle scuole pubbliche, iniziando la sua carriera ad Acqui, e aveva seguito la scelta di campo del fratello (aveva scritto la farsa democratica Casale liberata, rappresentata a Vercelli). Giudicato dai tribunali austro-piemontesi "giacobino arrabbiato", fu rinchiuso con altri religiosi "giacobini" prima nel forte di Verrua, e successivamente nel castello di Vigevano.
Non è chiaro se il L. scontasse la pena, ma all'inizio del 1800 era già a Parma, dove nel maggio recitò l'Elogio sacro di s. Maria de' Pazzi dell'Ordine carmelitano. Nella città, governata sino al 1802 dal duca Ferdinando di Borbone, poté contare sull'amicizia di G.B. Bodoni, presso il quale nello stesso 1800 ripubblicò le Lamentazioni e il Cantico. Nel frattempo, dopo Marengo il Piemonte era stato di nuovo occupato dai Francesi e il fratello, chiamato dalla Commissione esecutiva del Piemonte a insegnare teologia morale all'Università di Torino (da regia divenuta nazionale), cercò più volte di convincere il L. a tornare; egli però aveva ancora molti nemici, come l'ex scolopio Gaspare Morardo, che in un articolo sul suo Giornale per gli ecclesiastici dell'uno e dell'altro clero ne stigmatizzò il comportamento, paragonandolo a quello più coraggioso (o da lui ritenuto tale) di Guglielmo. Il 31 marzo 1801 la Commissione esecutiva del Piemonte nominò il L. direttore di una delle tre biblioteche stabilite nell'ex capitale, con stipendio di 400 franchi, ma egli restò a Parma anche dopo l'annessione del Ducato alla Cisalpina. Nel 1803 accettò invece la nomina a professore di eloquenza e poesia nell'Università di Fermo, nello Stato pontificio, dove stampò la prima edizione degli Elogi sacri (raccolta di gran parte dei componimenti del decennio precedente) e un'altra del Cantico dei Cantici. Con il Bodoni, invece, pubblicò l'Elogio funebre di mons. Andrea de' conti Minucci, arcivescovo di Fermo.
Nel 1803 anche la carriera del fratello conobbe una svolta. Nel dicembre 1802 Napoleone soppresse le cattedre di teologia. Pochi mesi dopo Guglielmo, a cui il governo francese aveva assegnata una pensione annua di 1200 franchi per risarcirlo dell'incarico perduto, fu nominato dal Consiglio comunale di Torino direttore dei collegi secondari della città; nell'aprile del 1804 divenne sorvegliante delle scuole primarie pubbliche e private e, nel novembre, direttore delle scuole cittadine. L'incarico era stato favorito anche da Prospero Balbo, con il quale Guglielmo ebbe sempre uno stretto legame. Egli divenne poi "principal" del "collège" della città. Quando nel marzo del 1808 Napoleone ricostituì la scuola di teologia, Balbo chiese che Guglielmo Leone fosse nuovamente chiamato nei ranghi accademici, ma senza esito. Come hanno mostrato M. Roggero e R. Berardi, durante il suo mandato egli ebbe un importante ruolo nell'adozione delle tecniche di insegnamento più avanzate.
Nel 1807 il L. fu chiamato a insegnare teologia morale nella Sapienza romana, e nel 1808 fu nominato teologo consultore di Viterbo. La conquista napoleonica dello Stato pontificio interruppe però la sua carriera romana; nel 1809 riprese la cattedra a Fermo, ormai annessa al Regno d'Italia, restandovi sino al 1814. Lavorò a un'edizione completa delle sue opere, pubblicata in tre volumi a Piacenza nel 1812 (dedicò il secondo, con gli Elogi sacri, a S. Berioli, arcivescovo di Urbino e senatore del Regno Italico, e il terzo al conte G. Scopoli, "consigliere di Stato della pubblica istruzione delle stampe e delle biblioteche del Regno Italico"). Nel 1813 fu a Parma a visitare l'amico Bodoni, malato e prossimo alla morte, e Guglielmo, che vi si era trasferito come censore del locale liceo. Alla caduta del Regno d'Italia, nell'aprile del 1814, il L. lasciò Fermo e, per quello che poi avrebbe definito "primo bollore di un'ardente immaginazione", si trasferì a Napoli. Qui, stando a quanto raccontò in una lettera a Guglielmo (9 nov. 1817), si fermò fin verso la fine del 1814. Trascorsi alcuni mesi in Puglia, alla metà del 1815, poco dopo la caduta di Gioacchino Murat e dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, decise di lasciare l'Italia. Dopo viaggi in Calabria e Sicilia si imbarcò per Corfù, dove giunse alla fine del 1815 (il 15 giugno 1816 scrisse all'amico P. Giordani di trovarsi nell'isola "da sei mesi").
Per Guglielmo, invece, il ritorno di Vittorio Emanuele I in Piemonte era stato meno traumatico di quanto non si fosse forse aspettato. Nonostante l'iniziale perplessità del governo sabaudo, infatti, il Consiglio di Torino ne ottenne la nomina a direttore delle scuole cittadine e del Collegio del Carmine (principale centro educativo per la nobiltà). Nel 1816 scrisse il poema La vittoria di Mosca in onore di Alessandro I (edito postumo nel 1834) e nel 1818 ne pubblicò uno sulla Visione sul sepolcro di sua altezza reale la principessa Carlotta Augusta di Galles, che nel 1819 fu tradotto e pubblicato in greco moderno.
A Corfù il L. visse come precettore di gentiluomini inglesi e di esponenti della ricca borghesia greca. Nella lettera del 9 nov. 1817 informò Guglielmo che stava studiando il greco e traduceva l'Apology for Christianity di R. Watson (1766). Nel 1818 l'antico mentore e amico P. Balbo fu richiamato dalla Spagna (dove era ambasciatore dal 1816) e nominato presidente del Magistrato della riforma (il ministero della Pubblica Istruzione), dove ritrovò come collaboratore Guglielmo, con il quale aveva lavorato a stretto contatto nell'età napoleonica. Il Balbo pensò anche di affidare una cattedra all'Università di Torino al L., che tuttavia preferì restare in Grecia e, anzi, da Corfù si trasferì a Patrasso. Scrisse al fratello che intendeva fermarsi ancora almeno due anni, ufficialmente per scrivere un Viaggio in Grecia in forma epistolare, sul modello delle Lettere familiari di Giuseppe Baretti. All'inizio del 1820 tornò a Corfù. Guglielmo lo invitò di nuovo a rientrare in patria, promettendogli una cattedra universitaria per conto del Balbo, divenuto segretario agli Affari interni. Nel 1821, però, i moti di marzo costrinsero Balbo a dimettersi, mentre un'inchiesta su Guglielmo ne sottolineò la "condotta politica e religiosa più che dubbia" e "l'ilarità dimostrata nei passati disordini, le sue compagnie, la protezione dimostrata per i figli dei giacobini".
Contemporaneamente ebbe termine la vita del Leone. Secondo quanto detto dal fratello a T. Vallauri e G. Casalis, nella primavera del 1821 egli aveva deciso di compiere un nuovo viaggio nella Grecia dei classici, ma durante il viaggio da Corfù a Smirne era scomparso in mare, per cause sconosciute.
Un tour artistico in Grecia proprio mentre vi stava iniziando la guerra d'indipendenza pare poco credibile; forse il L., visto l'esito dei moti piemontesi, aveva deciso di unirsi agli insorti greci. Una reticenza di Guglielmo sulle vere ragioni del viaggio del fratello sarebbe comprensibile, dato che le biografie del L. scritte da Vallauri e Casalis uscirono nel 1836 e nel 1837, quando il clima politico non consentiva di parlare liberamente di quegli eventi. Anche l'Ordine carmelitano, che per tutto l'Ottocento coltivò la memoria del L. pubblicando più volte le sue opere, non aveva interesse a modificare la vulgata (il padre G.B. Del Rio, che a metà Ottocento curò l'edizione delle sue opere, scrivendo anche la parte mancante del De' principi, non fece cenno ai suoi trascorsi giacobini).
In quanto a Guglielmo, durante il regno di Carlo Felice, emarginato dai pubblici impieghi, fu comunemente ritenuto ascritto ai franchi muratori; la sua partecipazione a società segrete era ritenuta certa dalle autorità, anche per la stretta amicizia con l'abate F. Bonardi. Salito al trono Carlo Alberto, fu nominato professore emerito di teologia all'Università di Torino e nel 1837 fu ascritto all'Accademia filarmonica poetico-letteraria d'Alba. Fatto testamento l'8 ag. 1838, si ritirò a Casale Monferrato, dove morì il 28 ott. 1847, alle soglie dei mutamenti tanto perseguiti nella sua lunga e tormentata esistenza.
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