GHERARDI, Evaristo
Nato a Prato l'11 nov. 1663 da Giovanni e Leonarda Galli, entrambi attori, verso il 1683 si trasferì a Parigi. Qui iniziò a recitare soltanto a ventisei anni, dopo aver terminato gli studi di filosofia presso il prestigioso collegio della Marche. Debuttò, infatti, all'hôtel de Bourgogne il 1° ott. 1689 nella pièce di Jean-François Regnard Le divorce, nei panni di Arlecchino, che da quel momento in poi sarebbe diventata la sua maschera. Il pubblico gradì moltissimo l'interpretazione del giovane italiano, preferendola di gran lunga a quella del compianto Giuseppe Domenico Biancolelli, detto Dominique, vista diciannove mesi prima, il 17 marzo 1688.
Su questo imprevisto debutto di un non professionista all'interno di una delle compagnie teatrali più prestigiose dell'epoca sono state fatte numerose e fantasiose illazioni. Ma la versione data dallo stesso G. nel secondo volume della sua opera, oltre ad apparire la più semplice, è con ogni probabilità anche la più credibile. Pare infatti che il giovane studioso di filosofia abbia iniziato a calcare le tavole del palcoscenico dietro precisa richiesta di Luigi XIV.
Negli undici anni che intercorsero dal debutto alla morte il G. ebbe modo di distinguersi non solo come attore (divenne uno dei più famosi attori del tardo Seicento francese e fu sicuramente l'ultimo Arlecchino, in ordine cronologico, dell'Ancien Théâtre-Italien), ma anche come curatore di testi teatrali. Infatti raccolse numerose commedie di vari autori, che furono pubblicate a Parigi nel 1694, in più volumi, sotto il titolo Le Théâtre Italien ou Le recueil général de toutes les scenes françoises qui ont eté joüées sur le Théâtre-Italien de l'Hostel de Bourgogne. Tale pubblicazione non gli procurò tuttavia soltanto onori e gloria, visto che sollevò le critiche e la malevolenza di numerosi attori della sua compagnia. Le polemiche furono talmente aspre che, a causa della tensione creatasi all'interno della troupe, si arrivò addirittura alla chiusura del Théâtre-Italien, il 13 maggio 1697, su ordine di Luigi XIV. Al G., che pur abitando all'estero era cittadino toscano, fu permesso di rimanere a Parigi presumibilmente perché sposato con una francese.
Dal 1697 continuò a recitare e a lavorare alle edizioni successive del Théâtre-Italien. Terminato, tre anni dopo, il suo imponente lavoro di trascrizione, il 31 ag. 1700 si recò a Versailles per donare una copia dell'opera al delfino. La stessa sera, rientrato a casa, a Parigi, il 31 ag. 1700, morì all'improvviso, probabilmente per i postumi di una brutta caduta avvenuta pochi giorni prima durante uno spettacolo privato a Saint-Maur.
Dato che non era cittadino francese ed era morto senza aver lasciato testamento, i suoi beni vennero confiscati dalla Corona ed elargiti a Louis Bontemps, valletto del re. Lasciò due figli in tenerissima età avuti da donne diverse: Florentin Hyacinte, nato il 5 febbr. 1689 dalla relazione con Marie Madeleine Poignand, e Jean-Baptiste, nato nel 1696 dalle nozze con Élisabette Danneret detta Babet la chanteuse. Pare che la morte abbia sorpreso l'attore proprio mentre teneva sulle ginocchia il suo figlioletto più piccolo, in seguito noto danzatore.
Le testimonianze dirette che ci rimangono sul G. sono di varia natura e comprendono l'unica commedia da lui scritta, Le retour de la foire de Bezons, messa in scena nel 1695, le numerose incisioni che lo ritraggono nei panni di scena e l'opuscolo intitolato La pompa funebre di Arlecchino, pubblicato in suo onore nel 1701 presso l'editore parigino Jean Musier.
La breve vita artistica del G. fu caratterizzata da rivalità, gelosie, duri scontri con i colleghi e incidenti, compreso l'ultimo, alla testa, che gli fu fatale. Il suo primo rapporto difficile fu con il padre Giovanni, conosciuto con il nome d'arte di Flautino per la sua bravura nel riprodurre con la voce i suoni degli strumenti musicali. Poi, anche nella vita professionale, ebbe spesso violenti scontri con i compagni, specialmente con i tre Costantini - Costantino, Angelo e Giovan Battista -, e con Giuseppe Giaratoni, Giuseppe Tortoriti, Michelangelo Fracanzani e Angelica Toscano. Furono infatti questi sette attori a insistere perché la prima edizione del Théâtre Italien venisse distrutta. Invece la pubblicazione venne diffusa proprio grazie all'ottusità e all'avidità dei suoi colleghi-nemici: G.B. Costantini mise infatti in vendita le novecento copie depositate presso di lui a 32 soldi ciascuna, convinto di fare un affare. La pubblicazione si diffuse così sia in Francia sia nel resto d'Europa con notevole successo, come è testimoniato dalle numerose ristampe non autorizzate. Dal 1694 al 1741 ne vennero stampate almeno diciotto edizioni (per l'elenco dettagliato si veda la voce Gherardi, Evaristo nell'Enciclopedia dello spettacolo).
Nella ristampa del 1700, l'ultima versione curata dal G., compaiono cinquantacinque commedie illustrate. Infatti ciascuna pièce si apre con un'incisione "en taille douce" e spesso si conclude con lo spartito musicale "avec leur basse-continue chiffrée". Il Théâtre Italien, che secondo il Rasi è "dopo la pubblicazione degli Scenarj di Flaminio Scala, la più importante per la storia dei nostri comici", è sostanzialmente una raccolta di commedie di vari autori francesi, da Nolant de Fautoville a Dufresny, da Le Noble al celebre Regnard, già collaudate sulle scene parigine dagli attori italiani. Dato che le linee generali di buona parte di queste pièces attingono ampiamente ai repertori delle compagnie comiche italiane è evidente che i commediografi francesi selezionati dal G. non abbiano fatto altro che sviluppare e abbellire delle tracce italiane già sperimentate con successo. Ed è grazie alla particolare natura ibrida italo-francese che si sono venuti a creare giochi di parole e lazzi di una straordinaria comicità. Si pensi, per esempio all'italiano francesizzato parlato da Arlecchino nell'Arlequin Mercure galant di Fatouville.
Né questo tipo di teatro si esauriva nella parola. Lo spettatore veniva continuamente meravigliato dalle ingegnose soluzioni scenotecniche. Siamo ormai in pieno periodo barocco, in una città splendida e quanto mai spettacolare come Parigi, alla corte di un re raffinato ed esigente come Luigi XIV. E così le danze si alternavano a visioni meravigliose, rassegne militari, cavalcate, quadri plastici, memorabili artifici scenici ed elaboratissimi travestimenti.
Ogni commedia offriva trovate sceniche diverse: in Les originaux ou L'italien di D.L.M. (forse Lamotte-Houdart) sul palcoscenico si animavano alcuni violini e le quattro parti del mondo si mettevano a ballare il minuetto; in Les aventures aux Champs-Élisées di L.C.D.V. (forse Mongin) si assisteva alle metamorfosi di Proserpina in capro, in sagittario e infine in toro, mentre Caronte trasformava Arlecchino e il Dottore rispettivamente in falco e in capro; in La fausse coquette, di Biancolelli, Arlecchino era un pittore che presentava al signor Prudenzio dei paraventi dipinti le cui figure si muovevano e prendevano vita. Una figura, che poi si rivelava essere un ladro, si staccava addirittura dalla tela e aggrediva il signor Prudenzio, sparando una pistolettata, per derubarlo della borsa; in Les féesou Le conte de ma mère l'oye, di Dufresny e Biancolelli, Arlecchino trasformava la scena in un magnifico palazzo mutando una pendola in ninfa, una chiocciola in pastore, una farfalla in vecchio e infine una lanterna in dama.
I personaggi ricorrenti erano ovviamente Arlecchino - interpretato dal G. - e Mezzettino. I due, oltre a dimostrare la loro bravura di funamboli nei salti e nelle capriole, si cimentavano anche nel canto e nelle imitazioni. Nella già citata Fausse coquette di Biancolelli, per esempio, Arlecchino riproduceva il suono del flauto, Pascariello quello del violino e Mezzettino quello della tromba, dando vita a un concerto indiavolato.
I generi affrontati erano i più diversi, dalla parodia mitologica alla satira sociale. Tra i soggetti ne comparivano alcuni, come per esempio la fedeltà delle mogli o i doveri dei mariti, che scimmiottavano spudoratamente il repertorio teatrale di Molière.
Fonti e Bibl.: L. Rasi, I comici italiani…, I, 2, Firenze 1897, pp. 1008-1013; H.C. Lancaster, A history of French dramatic literature in the seventeenth century, IV, The period of Racine, 1673-1700, II, Baltimore 1940, pp. 599-705; C. Garboli - G. Roscioni, G., E., in Enc. dello spettacolo, V, Roma 1954, coll. 1186-1189; M. Spaziani, Il Théâtre-Italien di G., Roma 1966; M.-F. Hilgar, La parodie et le théâtre italien au XVIIe siècle, in Maske und Kothurn, XXVII (1981), pp. 312-321; F. Moureau, Les comédiens italiens et la cour de France (1644-1697), in XVIIe siècle, XXXIII (1981), pp. 63-81; R.L. Erenstein, Unbekannte Illustrationen des Théâtre-Italien, in Maske und Kothurn, XXXI (1985), pp. 263-279; F. Moureau, Décor et mise en scène chez les Italiens de Paris avant 1697, ou Arlequin architecte, in L'art du théâtre en France, Edmonton 1988, pp. 257-275; R. Guardenti, Gli italiani a Parigi. La Comédie Italienne (1660-1697). Storia, pratica scenica, iconografia, I, Roma 1990, pp. 119-157; V. Scott, The Commedia dell'arte in Paris 1644-1697, Charlottesville 1990, pp. 8, 19, 187, 276-280, 318 s., 338-340, 351, 353 s., 375; D. Gambelli, Arlecchino a Parigi. Dall'inferno alla corte del Re Sole, Roma 1993, pp. 175, 219-222, 226, 230, 233-235, 238, 241-244, 255, 303 s., 323, 327, 345, 349, 370, 375, 377 s.