TORRICELLI, Evangelista
Nacque a Roma ai Prati di Castello il 15 ottobre 1608 da Giacoma Torricelli, della famiglia proprietaria del podere agricolo la Torricella, nei pressi di Faenza, e da Gaspare Roberti, originario di Bertinoro, borgo tra Forlì e Cesena. Evangelista, come Francesco, uno dei suoi fratelli, scelse di adottare il cognome della madre.
Fu battezzato il 18 ottobre presso la basilica di S. Pietro. È probabile che suo padre, di mestiere muratore, si fosse trasferito nell’Urbe attirato dalle possibilità di lavoro offerte dal cantiere della nuova fabbrica di S. Pietro, voluta da papa Paolo V e progettata da Carlo Maderno, e avviato solo qualche mese prima della nascita di Evangelista.
Ingegno precoce e promettente, il giovane Evangelista fu mandato dai genitori a Faenza per esservi avviato agli studi dallo zio materno, Jacopo (Gian Francesco al secolo), monaco della Congregazione dei benedettini camaldolesi e, nei primi anni Dieci del Seicento, parroco della chiesa di S. Ippolito di quella città. In un periodo che è ragionevole collocare tra il 1623 e il 1625, per interessamento dello zio egli aveva potuto frequentare, sebbene solo da esterno, il collegio dei gesuiti, che proprio nel 1623 era stato aperto in città.
Diciottenne, con una irregolare carriera accademica alle spalle ma con una forte attitudine alla matematica, era quindi tornato a Roma (dopo il 25 giugno 1625). La malleveria dello zio sarà stata forse utile per entrare in contatto con il benedettino cassinese Benedetto Castelli, primo discepolo di Galileo Galilei e dal 1626 lettore di matematiche in Sapienza, il quale risiedeva allora nel convento del suo ordine presso la chiesa di S. Callisto in Trastevere, non lontano da dove i fratelli di Evangelista, Francesco e Carlo, avevano la loro manifattura di tessuti. Per sei anni Torricelli ebbe modo di frequentare il cubiculum a S. Callisto dove Castelli teneva una accademia di matematica frequentata dai suoi studenti universitari, ma anche da matematici dilettanti (come Raffaello Magiotti e Antonio Nardi), confratelli, matematici appartenenti ad altri ordini religiosi (come lo scolopio Famiano Michelini).
È lo stesso Torricelli a informarci sul contenuto del suo apprendistato, nella sua prima lettera diretta a Galileo, datata 11 settembre 1632: geometria, verosimilmente Giovanni Sacrobosco ed Euclide, letti allora da Castelli in Sapienza, quindi Teodosio, Archimede, Apollonio di Perga; astronomia (Tolomeo, Longomontano, Tycho Brahe, Johannes Kepler, Copernico), cui altri documenti permettono di aggiungere l’algebra e la scienza delle acque. Si trattava di un apprendistato informale ma qualificante, tale per cui egli poteva presentarsi in quella stessa lettera a Galileo come «di professione matematico». Attento lettore del Dialogo sopra i massimi sistemi, che proprio allora era sotto esame da una commissione di teologi appositamente nominata, Torricelli vi si dichiarava anche «di professione e di setta galileista» (Le opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale, a cura di A. Favaro, XIV, Firenze 1907, pp. 387-388).
Durante i suoi soggiorni romani fu particolarmente vicino a Castelli, che servì anche come segretario e assistente all’insegnamento, tanto da fare ipotizzare una sua mansione all’interno del convento, fatto che spiegherebbe il silenzio che circonda i suoi anni giovanili e la sua mancanza di contatti con l’Accademia dei Lincei. Dalla stessa lettera, del resto, apprendiamo che egli intratteneva stretti rapporti anche con i matematici del Collegio romano, come Christoph Grienberger e Christopher Scheiner, dei quali aveva raccolto le reazioni alla lettura del Dialogo.
Nel 1632 Torricelli lasciava Roma con il modesto incarico di segretario al seguito di monsignor Giovanni Battista Ciampoli, ex segretario dei brevi di Urbano VIII esiliato da Roma, accusato di ripetuti attentati alla reputazione del papa, non da ultimo nell’iter per l’imprimatur al Dialogo sopra i massimi sistemi di Galilei. Dal 1632 al 1641 Torricelli seguì Ciampoli nei suoi diversi incarichi di governo: a Montalto Marche (da nov. 1632), Norcia (da febbr. 1636), Sanseverino Marche (da ag. 1636), Fabriano (da febbr. 1640).
Le testimonianze relative a questo periodo sono particolarmente esigue. Sappiamo che a Fabriano discuteva di questioni matematiche col gesuita Raffaello Prodanelli (Baldini, 1980). Degli scambi intellettuali con Ciampoli restano tracce nella Lezione in lode della matematica (Raimondi, 2009) e nella soluzione di alcuni problemi di idraulica (Favino, 2015, p. 298n.).
Nel febbraio 1641 Torricelli tornò a Roma, probabilmente a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute della madre, Giacoma, che sarebbe morta nell’agosto del 1641. Vi ritrovava gli altri componenti del «triumvirato galileiano» (la definizione era di Galileo stesso), Magiotti e l’aretino Antonio Nardi, nonché il comune maestro Castelli, che Evangelista sostituì nell’insegnamento privato al figlio del conte di Castel Villano nelle settimane in cui Castelli fu lontano da Roma per attendere al capitolo generale dell’ordine. Entusiasta del trattato sul moto dei proiettili composto da Torricelli nelle Marche, che approfondiva la dottrina esposta nella terza giornata dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze... (Leiden 1638), Castelli lo sottopose a Galileo, il quale invitò Torricelli ad Arcetri, dove stava scontando la condanna, per svolgere la funzione di segretario.
Torricelli arrivò al Gioiello il 10 ottobre 1641, dove già risiedeva Vincenzo Viviani. Nei mesi successivi coadiuvò Galileo nella stesura delle riflessioni su alcuni aspetti della teoria euclidea delle proporzioni geometriche, che avrebbero dovuto costituire l’aggiuntiva quinta giornata dei Discorsi e dimostrazioni (Le opere di Galileo Galilei, VIII, 1933, pp. 31-33). L’agognato soggiorno al Gioiello ebbe tuttavia breve durata, a causa della morte di Galileo (8 gennaio 1642). Pronto a tornare a Roma, Torricelli ricevette invece l’offerta del granduca – su segnalazione di Andrea Arrighetti – di succedere a Galileo nella carica di «matematico di sua Altezza» – significativamente, non in quella di filosofo – e di assumere la cattedra di matematica presso lo Studio fiorentino, con lo stipendio di 200 scudi annui e il diritto di alloggiare gratuitamente a Firenze in un’ala di palazzo Medici (poi Riccardi). All’inizio del 1644, soppresso lo Studio, l’insegnamento migrava presso l’Accademia del disegno di Firenze.
Il prestigio della nuova carica lo proiettò nella società colta fiorentina. Egli è infatti menzionato tra i frequentatori abituali degli esclusivi conviti a casa del pittore, poeta e musicista Salvator Rosa, insieme a Carlo Dati, Piero Salvetti, Lorenzo Lippi, Francesco Rovai e altri, con i quali diede vita all’Accademia dei Percossi, per i cui intrattenimenti Torricelli compose delle commedie, oggi perdute. L’11 giugno 1642 era ascritto all’Accademia della Crusca, dove tenne otto lezioni tra il 1642 e il 1643, ispirate da questioni di fisica, svolte alla luce degli insegnamenti del maestro Galileo. Tali conferenze furono pubblicate nel 1715 con il titolo di Lezioni accademiche (in Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per Jacopo Guiducci e Santi Franchi), insieme ad altre quattro prolusioni tenute da Torricelli all’Università di Firenze (tra cui la Prefazione in lode delle matematiche), all’Accademia del disegno (Dell’Architettura militare) e all’Accademia dei Percossi (Encomio del secol d’oro).
Le prime tre lezioni accademiche (pronunciate rispettivamente il 27 agosto 1642, il 10 settembre 1642 e il 24 settembre 1643) riguardavano la «forza della percossa», ossia l’effetto prodotto dall’urto di un corpo in caduta su un corpo immobile. Vi si esponeva una suggestiva concezione della gravità come di «fontana» continua di impulsi interna ai corpi, e l’accelerazione del moto di caduta libera dei corpi come una sua conseguenza diretta. In un secondo gruppo di tre lezioni lette il 15 aprile 1643, il 23 aprile 1643 e il 21 maggio 1643, esponeva in forma allegorica la teoria galileiana sulla vera natura della presunta «leggerezza positiva» sostenuta dagli aristotelici. La successiva dissertazione, Del vento, ancora una volta contro Aristotele, spiegava il fenomeno in base al principio della condensazione e rarefazione dell’aria. Il 13 agosto pronunciava la lezione «paradossica della fama contro al parer d'Aristotile» (così secondo i Diari della Crusca, http://www.accademicidellacrusca.org/scheda?IDN=813, 17 mag. 2021).
A Firenze, già da 1641 Torricelli era stato indirizzato da Galileo alla fabbricazione delle lenti per telescopi. Nel 1644, raffinata la tecnica, era arrivato a produrre telescopi che rivaleggiavano in qualità con quelli di Francesco Fontana a Napoli, presentandoli come fabbricati a partire dai fondamenti teorici della scienza ottica. Dal 1644 ne produsse in quantità sia a fini di guadagno, sia per sollecitazione del granduca, il quale gli impose il silenzio circa le tecniche costruttive. Secondo una testimonianza postuma di Vincenzo Viviani, sappiamo che il ‘segreto’ non consisteva tanto in innovazioni teoriche, quanto nell’attenzione alla qualità dei vetri, nell’evitare l’uso di materiali a fuoco per attaccare i vetri da lavorarsi, nel lustrare le lenti con una lamina sottile di piombo o stagno. Torricelli fu perito anche nella fabbricazione dei microscopi ‘a perlina’, formati da una lente sferica collocata all’estremità di un tubo ottico.
Solo quattro lenti lavorate da Torricelli sopravvivono: due lenti obiettive e una oculare presso il Museo Galileo di Firenze (inv. n. 2571, 2572, 2584) e una quarta presso il Museo di fisica dell’Università Federico II di Napoli.
Nel 1644 Torricelli dava alle stampe a Firenze, grazie al patrocinio del granduca, l’unico dei suoi lavori a vedere la luce durante la sua vita, l’Opera geometrica. Tramite Jean-François Niceron, il testo circolò ancora manoscritto per le mani di autorevoli matematici transalpini come Marin Mersenne, Gilles Personne de Roberval, Pierre de Fermat e gli garantì immediatamente fama europea. Nell’opera impiegava con notevole maestria la nuova geometria degli indivisibili ideata da Bonaventura Cavalieri, come ‘strumento euristico’ per la scoperta di nuove proposizioni, che Torricelli successivamente dimostrava anche con il metodo di esaustione classico della geometria greca (o eliminazione progressiva). Grazie alla sua chiarezza espositiva, l’Opera contribuì a diffondere il nuovo metodo di Cavalieri – di difficile comprensione dato lo stile complesso e a volte oscuro del gesuato – di cui Torricelli estese le potenzialità.
L’opera, in latino, con dedica al granduca e al principe Leopoldo de’ Medici, consta di 6 libri: i primi due De sphaera et solidis sphaeralibus, compilati intorno al 1641, attengono allo studio delle figure (già menzionate da Archimede) generate dalla rotazione di un poligono regolare inscritto o circoscritto ad un cerchio, compiuta intorno a uno dei suoi assi di simmetria. Nell’appendice (De dimensione cycloidis) era contenuta una rigorosa dimostrazione matematica (già comunicata a Cavalieri nell’aprile del 1643) dell’intuizione di Galileo sulla quadratura della curva cicloidale (lo spazio cicloidale è pari al triplo dell’area del cerchio generatore).Il terzo e il quarto libro (De motu gravium naturaliter descendentium e De motu proiectorum) arricchivano e perfezionavano i lavori giovanili sul moto. In questa sezione, Torricelli generalizzava e organizzava secondo una struttura più rigorosa la dottrina galileiana del moto. Continuava lo studio del moto parabolico dei proiettili per dimostrare il principio di Galileo riguardante le velocità di discesa lungo piani inclinati di eguale altezza. Egli basava la sua dimostrazione su di un altro principio, ora chiamato ‘principio di Torricelli’, ma già noto a Galileo, secondo cui due corpi pesanti collegati tra loro non possono cominciare a muoversi spontaneamente a meno che il loro comune centro di gravità non si abbassi. Tra i molti teoremi di balistica esterna, inoltre, Torricelli mostrava che le parabole corrispondenti a una velocità iniziale data e a differenti inclinazioni sono tutte tangenti alla stessa parabola (detta ‘parabola di sicurezza’ o di Torricelli), il primo esempio di una curva di inviluppo di una famiglia di curve. Il trattato si concludeva con cinque tavole numeriche ad uso degli artiglieri. In un’appendice a questo libro (De motu aquarum), Torricelli formulava una legge che porta ancor oggi il suo nome, secondo cui la velocità di fuoriuscita di un liquido da un foro posto sul fondo di un serbatoio è proporzionale alla radice quadrata dell'altezza che separa la superficie libera del liquido dal fondo. Gli ultimi due libri, infine, De dimensione parabolae solidique hyperbolici, attengono agli sviluppi applicativi della geometria degli indivisibili di Cavalieri. È in questa sezione che compaiono tra l’altro: ben 21 diversi modi inediti di quadrare la parabola, oltre alla stupefacente scoperta (risalente al dic. 1641) del volume di un particolare solido geometrico – il ‘solido acuto iperbolico’, generato dalla rotazione di un’iperbole equilatera attorno a un suo asintoto – avente allo stesso tempo lunghezza illimitata e volume finito, come se si fosse trattato di una figura ovunque rinchiusa tra facce, ottenuto introducendo, accanto agli indivisibili lineari di Cavalieri, anche indivisibili curvi.
Ad Arcetri, Torricelli aveva probabilmente colto gli echi delle discussioni intercorse negli anni Trenta tra Galileo e l’ingegnere genovese Giovan Battista Baliani sul funzionamento delle pompe aspiranti: l'impossibilità di sollevare una colonna d'acqua a un'altezza superiore a 18 braccia (circa 11 m) e le cause che la determinavano (la ‘forza del vuoto’ secondo Galileo, la pressione dell’aria secondo Baliani, come già ipotizzato dal medico olandese Isaac Beeckman). Torricelli era inoltre a conoscenza degli esperimenti pubblici allestiti a Roma verso la fine del 1641 dal matematico Gasparo Berti per testare le previsioni di Galileo a proposito dell’altezza massima che l’acqua poteva raggiungere nei sifoni, così come delle discussioni scaturitene tra i matematici romani (Athanasius Kircher, Raffaello Magiotti, Emmanuel Maignan) a proposito dello spazio del tubo al di sopra della colonna di liquido, che appariva vuoto. Per circa sei mesi, a partire dalla fine del 1643, Torricelli, con la collaborazione di Vincenzo Viviani, replicò a Firenze l’esperienza con il mercurio piuttosto che l’acqua e, in conseguenza della maggiore densità del liquido, con un tubo più corto e maneggevole.
Il celeberrimo esperimento dell'argento vivo – concepito «non per far semplicemente il vacuo, ma per far uno strumento che mostrasse le mutuazioni dell'aria, hora più grave e grossa, et hor più leggiera e sottile» (lettera di Torricelli a Michelangelo Ricci, [Firenze], 11 giugno 1644, in Le opere dei discepoli di Galileo Galilei, 1975, pp. 122 s.) – consistette nel riempire di mercurio un tubo di vetro aperto a una delle estremità. Poi, tenendo chiusa con un dito l'estremità aperta, rovesciò il tubo in una bacinella contenente mercurio. Osservò allora che la colonna di mercurio scendeva – solo parzialmente, fermandosi ad un'altezza di circa 76 cm. Torricelli attribuì correttamente il fenomeno agli effetti della pressione atmosferica. L’esito dell’esperienza ebbe subito vasta risonanza tra i filosofi naturali d’Oltralpe, soprattutto in Polonia e in Francia, dove fu intensa l’attività di sperimentazione e vivace il dibattito sull’esistenza del vuoto e sugli effetti della pressione atmosferica. La celebre esperienza che Blaise Pascal compì nel settembre 1648 assieme al cognato Florin Périer sulla montagna del Puy-de-Dôme fornì poi la conferma definitiva del fatto che l’altezza della colonna di mercurio nel tubo variava al variare della pressione atmosferica. Ciò consentì di mettere a punto un nuovo strumento, poi denominato barometro (Edme Mariotte, 1676), che fu presto impiegato per le previsioni meteorologiche. Al di là di alcune lettere a Michelangelo Ricci, tuttavia, Torricelli non partecipò in alcun modo alla riflessione filosofica sull’esistenza del vuoto e sulla sua natura, forse per paura di sanzioni da parte della Chiesa, contro di sé o contro i suoi protettori, o per preoccupazioni riguardo l’ortodossia dottrinale.
Frammenti documentari – accenni contenuti nel suo epistolario, la testimonianza postuma della sua governante Dianora – testimoniano che egli continuò per tutta la vita a coltivare i suoi interessi astronomici. Malgrado ciò, e pur essendo egli un convinto copernicano (come aveva scritto a Galileo già nel 1632 e come testimoniava il medico, magistrato e diplomatico francese Balthasar de Monconys che lo aveva incontrato a Firenze, nel novembre 1646), per ragioni analoghe, per non incorrere nella censura, egli evitò di pronunciarsi pubblicamente sul sistema dell’universo.
Risale al 1645 un suo parere sulla bonifica della Val di Chiana, che lo mise in urto con il matematico scolopio Famiano Michelini.
Nel 1640 era stata avanzata una proposta per eliminare le acque stagnanti che invadevano la valle, che prevedeva la demolizione della pescaia dei Frati di S. Flora e Lucilla (a nord di Arezzo, la Chiusa dei Monaci) e il prolungamento del canale maestro delle Chiane per aumentarne la capacità di deflusso. Tale progetto, rimasto dapprima ignorato, fu riproposto nel 1645 dal maresciallo di campo Alessandro del Borro, impegnato in quelle zone nella guerriglia del granduca contro i Barberini a margine della guerra di Castro. Interpellato dal granduca, Evangelista Torricelli aveva espresso parere decisamente contrario a questa soluzione, giudicandola, d’accordo in questo con Andrea Arrighetti, impossibile e dispendiosa. Suggeriva, al contrario, di innalzare per alluvione il livello dei terreni paludosi al fine di permettere loro di raggiungere la pendenza necessaria a far defluire le acque verso l’Arno (il 'sistema delle colmate'). Contro Torricelli e Arrighetti, la proposta di Borro fu al contrario fermamente sostenuta da Michelini, allora lettore di matematiche all’Università di Pisa, secondo il quale, per rendere sicuri gli argini dell’Arno, sarebbe stato sufficiente prosciugare il fiume Chiana per un terzo del suo corso, da Montepulciano alla Chiusa dei Monaci, presso Ponte Buriano.
La questione suscitò tra i protagonisti una accesa polemica condotta per mezzo di memorie a stampa (poi raccolte nelle Scritture, e relazioni sopra la bonificazione della Chiana, nella seconda edizione della Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque, 9 voll., Firenze, 1765-1774; IV, 1768, pp. 99-166), e paralizzò a lungo i lavori di bonifica, che sarebbero stati avviati solo dal 1789 (con il sistema suggerito da Torricelli).
A partire dal 1646, i rapporti fino ad allora ottimi con i matematici francesi cominciarono ad incrinarsi a causa di diverse dispute. Nel 1646, Gilles Personne de Roberval – la cui dimostrazione di un decennio prima («l'espace cycloidal est 3πr2») avrebbe circolato tra i matematici tramite Marin Mersenne – rivendicò la priorità della scoperta della quadratura della cicloide, accusando Torricelli di plagio. Nello stesso torno di tempo, Roberval e Cartesio, per bocca di Mersenne, misero in dubbio la validità delle leggi del moto naturale stabilite da Galileo, denunciando incongruenze tra i risultati degli esperimenti e la legge della proporzionalità degli spazi al quadrato dei tempi nel moto di caduta libera dei gravi, come anche la traiettoria parabolica dei proiettili. Dopo un primo inefficace scambio di lettere, in cui Torricelli ribadì la bontà delle leggi galileiane e la rispondenza tra previsioni matematiche e i fenomeni fisici, al netto degli impedimenti esterni, egli troncò la discussione. Fermamente convinto della bontà delle leggi galileiane del moto (come ebbe a ribadire ancora nell’estate 1647 nello scambio epistolare che intrattenne con l’artigliere genovese Giovan Battista Renieri), ma incapace di replicare in maniera conclusiva ai suoi oppositori, Torricelli respinse gli addebiti. Sostenne che la non concordanza tra i principi della dottrina de motu e i fatti osservati non inficiava il valore dei principi stessi in quanto rappresentazione geometrica della realtà.
Per difendere la sua reputazione, Torricelli concepì il progetto di pubblicare tutta la sua corrispondenza con i matematici francesi. Nel 1646 egli iniziò pertanto a comporre il Racconto d’alcuni problemi proposti e passati tra gli matematici di Francia et il Torricelli ne i quattro anni prossimamente passati (Opere, III, 1919, pp. 1-32).
Tuttavia, mentre era impegnato in questo lavoro, nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1647 morì a Firenze di una malattia fulminante (forse febbre tifoide).
Secondo le sue ultime volontà, fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo, in un sepolcro comune (non nella cappella dei canonici, come avrebbe desiderato) e i suoi resti sarebbero andati col tempo perduti.
Il testamento (rogato il 14 ott.),nominava l’amico Lodovico Serenai suo erede testamentario. Lasciava pochi denari (destinati ai fratelli e famigli), una modesta biblioteca (circa 100 volumi), costituita prevalentemente da libri di architettura e scienza militare (Torrini, 2001), e precise disposizioni sulla sua tecnica di lavorazione delle lenti così come sul destino dei suoi lavori scientifici rimasti manoscritti, che avrebbe voluto editi a cura di Bonaventura Cavalieri e di Michelangelo Ricci. Morto il primo (30 nov. 1647), reticente il secondo, dopo un tentativo infruttuoso con Magiotti, Serenai affidò i manoscritti a Viviani, che morì però (1703) senza avere compiuto l’edizione.
Oltre alle opere citate nel testo, si vedano: E. Torricelli, Opere, a cura di G. Loria - G. Vassura, 4 voll., Faenza 1919-44, e in partic. IV, Faenza 1944 (che comprende i Ricordi dettati da Torricelli a Serenai e le Notizie di Viviani); Id., Opere scelte, a cura di L. Belloni, Torino 1975; Scienziati del Seicento, a cura di M.L. Altieri Biagi - B. Basile, Milano-Napoli 1980, pp. 275-329 (antologia); Il dibattito sul vuoto nel XVII secolo: antologia di testi, a cura di S. Ricciardo, Roma 2017, ad ind. Per il carteggio, cfr.: Lettere fin qui inedite di Evangelista Torricelli, precedute dalla vita di lui scritta da Giovanni Ghinassi […], Faenza 1864; Le opere di Galileo Galilei. Ristampa dell'edizione nazionale, a cura di A. Favaro, 21 voll., Firenze 1929-39, ad ind.; Lettere e documenti riguardanti Evangelista Torricelli, a cura di G. Rossini, Faenza 1956; Le opere dei discepoli di Galileo Galilei. Carteggio, a cura di P. Galluzzi - M. Torrini, I, 1642-1648, Firenze 1975, ad ind.
Per un profilo biografico si vedano: M. Gliozzi, E. T., in Dictionary of scientific biography, a cura di Ch. Gillispie, XIII, New York 1977, s.v.; F. Toscano, L’erede di Galileo. Vita breve e mirabile di E. T., Milano 2008; C.R. Palmerino, E. T., in Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, VIII Appendice. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Scienze, a cura di A. Clericuzio - S. Ricci, Roma 2013, s.v. La bibliografia su Torricelli è imponente. Dal 1947 esiste anche una Società Torricelliana di scienze e lettere di Faenza, che pubblica un omonimo bollettino annuale con contributi monografici, di cui si raccomanda lo spoglio. Si rimanda per completezza al catalogo della Biblioteca del Museo Galileo (https://www.museogalileo.it/it/biblioteca-e-istituto-di-ricerca/biblioteca-e-archivi/catalogo-biblioteca.html, 20 apr. 2021) e al repository Isis Bibliography of history of science (https://isiscb.org/, 20 apr. 2021), limitandoci qui a segnalare alcuni significativi contributi degli ultimi decenni, da cui mutuare i precedenti riferimenti bibliografici: P. Galluzzi, E. T.: concezione della matematica e segreto degli occhiali, in Annali dell'Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze, I (1976), pp. 71-95; U. Baldini, Una lettera inedita del T. ed altre dei Gesuiti R. Prodanelli, J. C. della Faille, A. Tacquet, P. Bourdin e M. Grimaldi, ibid., V (1980), pp. 15-37; F.D. Prager, Berti's devices and T.'s barometer from 1641 to 1643, ibid., pp. 35-53; M. Segre, T.'s correspondence on ballistics, in Annals of science, XL (1983), pp. 489-499; F. de Gandt, Naissance et métamorphose d'une théorie mathématique. La géométrie des indivisibles en Italie (Galilée, Cavalieri, T.), in Sciences et techniques en perspective, IX (1984-85), pp. 179-229; L'oeuvre de T. Science galiléenne et nouvelle géométrie, a cura di F. de Gandt, Paris 1987; P. Mancosu - E. Vailati, Torricelli's infinitely long solid and its philosophical reception in the 17th century, in Isis, LXXXII (1991), pp. 50-70; F. de Gandt, L'évolution de la théorie des indivisibles et l'apport de T., in Geometria e atomismo nella scuola galileiana, a cura di M. Bucciantini - M. Torrini, Firenze 1992, pp. 103-118; E. Giusti, Euclides reformatus: la teoria delle proporzioni nella scuola galileiana, Torino 1993; G. Medolla, Alcuni documenti inediti relativi alla vita di E. T., in Bollettino di storia delle scienze matematiche, XIII (1993), 2, p. 287-296; P. Souffrin, Galilée, T. et la «loi fondamentale de la dynamique scolastique». La proportionnalité velocitas-momentum revisitée, in Sciences et techniques en perspective, XXV (1993), pp. 122-134; M.J. Gorman, Jesuit explorations of the Torricellian space: Carp-bladders and sulphurous fumes, in Mélanges de l'École Française de Rome: Italie et Méditerranée, CVI (1994), 1, pp. 7-32; C. Maffioli, Out of Galileo: the science of waters 1628-1718, Rotterdam 1994, ad ind.; G. Paternoster - R. Rinzivillo - E. Schettino, Studio di una lente per cannocchiale di grandi dimensioni lavorata da E. T., in Nuncius, XI (1996), pp. 123-134; Horror vacui? La scoperta del peso dell'aria ovvero l'esistenza del vuoto: omaggio a E. T. (Catal., Firenze), Milano 1999 (anche on line: http://www.imss.fi.it/vuoto/indice.html, 27 apr. 2021); A. Drago - R. Vella, Il primo caso di equazione differenziale: l'equazione di T., in Atti della Fondazione Giorgio Ronchi, LVIII (2003), 2, pp. 263-279; D. Capecchi - R. Pisano, La teoria dei baricentri di T. come fondamento della statica, in Physis, n.s., XLIV (2007), 1, pp. 1-29; W.R. Shea - T. Bascelli, How T. improved on Galileo's laws of free fall and projectile motion, in Aurora Torealis: studies in the history of science and ideas in honor of Tore Frängsmyr, a cura di M. Beretta - K. Grandin- S. Lindqvist, Sagamore Beach 2008, pp. 31-50; T. e la nuova scienza, Letture galileiane, Faenza 2008, sez. monografica di Galilaeana, VI (2009), pp. 1-71 (in partic.: E. Raimondi, I silenzi di Torricelli, pp. 3-17; S. Mazauric, Torricelli et Pascal, pp. 18-38; F. Favino, In urbe mathematicus: Torricelli a Roma, 39-70); P. Palmieri, Radical mathematical Thomism: beings of reason and divine decrees in T.'sphilosophy of mathematics. Studies in history and philosophy of science, XL (2009), pp.131-142; G. 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