EVANDRO (Εὔανδρος, Evander)
Eroe greco, figlio di Erme e di una ninfa arcadica, Carmenta (o anche Themis, Nikostrata, e Tyburtis); duce di una colonia di Arcadi che, proveniente da Pallantio, si sarebbe fissata sul Palatino dove allora regnava Fauno; quivi egli avrebbe introdotto la festa dei Lupercali, avrebbe ricevuto Ercole (che qui avrebbe ucciso il gigante Caco rapitore delle vacche di Gerione) e in suo onore avrebbe dedicato l'Ara massima destinandovi il sacerdozio gentilizio delle famiglie dei Potizî e dei Pinarî (Liv., I, 7; Ov., Fast., I, 576; Virg., Aen., VIII, 271; Dion. Halic., I, 140); a lui rimonterebbe anche il culto di Poseidone e le Consuali. Evandro avrebbe anche insegnato ai rozzi abitatori del colle l'alfabeto e l'uso degli strumenti musicali (lira, triangolo e flauto). Giunto Enea in Italia, E. lo ricevette onorevolmente sul Palatino, stringendo con lui una lega per la guerra contro i Latini nella quale cadde suo figlio Pallante (Virg., Aen., VIII). Egli ebbe in Roma onori divini come eroe indigete ed un altare presso la Porta Trigemina sull'Aventino.
La leggenda di E., appare dovuta a un erudito greco il quale, desideroso di dare a Roma origini illustri, ha ravvicinato il nome di E. ("il buono") a quello di Fauno (Favinus "il favorevole"), la città di Pallantio al colle Palatino, il culto pastorale di Pan Liceo a quello dei Lupercali.
Bibl.: Escher, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, coll. 839-42; Weizsäcker, in Roscher Lexikon, I, coll. 1393-95; Schwegler, Röm. Geschichte, I, Tubinga 1853, p. 354 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 191 segg.; Fr. Münzer, Cacus der Rinderdieb, Basilea 1911, p. 88 segg.; A. Ferrabino, Kalypso, Torino 1914, pp. 179 segg., 397 segg.