Scrittore e asceta cristiano (n. Ibera, nel Ponto, 346 - m. in Egitto 399). Asceta, fu seguace di Clemente e di Origene. Le sue opere, condannate dal 5º concilio ecumenico come origeniste, ci sono giunte in modo frammentario.
Ordinato lettore da Basilio di Cesarea e diacono da Gregorio di Nazianzo col quale era venuto (381) a Costantinopoli, E., dopo una sconvolgente vicenda amorosa, si diede a vita ascetica; si ritirò prima a Gerusalemme presso Rufino, e di là nel deserto egiziano di Nitria presso s. Macario (388), dove visse facendo l'amanuense fino alla morte. I contatti con Rufino prima e con l'ambiente alessandrino poi (Teofilo di Alessandria gli offrirà un vescovato) fecero di E. un seguace di Clemente e di Origene. La distinzione che E. fa tra vita pratica e vita "gnostica", dove la prima è solo introduzione ascetica alla seconda, riprende un tema essenziale dell'ascesi alessandrina: il passaggio dall'una all'altra è segnato dall'ἁπάϑεια, l'impassibilità dello gnostico, che è indifferenza verso le cose terrene e ansia del divino, mentre la gnosi culmina nella "pura orazione", muto dialogo mistico tra l'asceta e Dio, un dialogo d'illuminazione e non discorsivo. Difficile dire quali elementi E. abbia ripreso da Origene: come origenista comunque egli fu attaccato da s. Girolamo e come tale lo condannò il 5º concilio ecumenico. La condanna, ribadita dal 6º e dal 7º concilio, ha segnato la rovina di gran parte dei suoi scritti: si ha notizia di un Antirrheticus, raccolta di passi biblici contro gli otto vizi principali, di due raccolte di sentenze per semplici monaci e per "gnostici", di 600 questioni gnostiche e altri brevi scritti, pervenutici tutti però in maniera molto frammentaria, parte nell'originale, parte in versioni latine, siriache e armene.