RUDIO, Eustachio
– Nacque a Belluno intorno al 1548 da Giovanni Battista, giureconsulto, e da Elisabetta Bazzi.
Conseguito il dottorato in arti e medicina presso lo Studio di Padova nel 1574, si portò in Friuli, dove esercitò la professione medica per un decennio. Accolse quindi l’invito del patrizio Pietro Zani e si trasferì a Venezia.
Il soggiorno veneziano si prolungò per quattro anni e gli diede modo non solo di completare la propria formazione sotto la guida di Alessandro Massaria, ma anche di perfezionare i propri rapporti di clientela con le famiglie di maggior peso in seno alle istituzioni culturali della Repubblica, ottenendo, grazie all’appoggio del procuratore di S. Marco Giovanni Michiel, una lettura di medicina pratica nella pubblica Libreria per un biennio. A questo periodo risale l’avvio di un serrato impegno editoriale, che nel 1587 portò alla pubblicazione, a Venezia, dei tre libri di cardiopatologia De virtutibus et viciis cordis, con dedica ai rettori dello Studio patavino, in cui si tratta principalmente di palpitazioni, infiammazioni e sincopi, seguiti nel 1588 dal breve compendio di fisiologia galenica De usu totius humani corporis, dedicato a Lorenzo Massa. A Venezia partecipò anche alle riunioni dell’Accademia degli Uranici, fondata nel 1587 dal letterato friulano Fabio Paolini, e vi tenne un’apprezzata orazione sulla sede dell’anima (F. Paolini, Hebdomades, Venezia, apud Franciscum Franciscium senensem, 1589, p. 117).
All’inizio del nuovo decennio divenne titolare di una condotta a Montagnana, nel Padovano, dove accettò di spostarsi per attendere con più tranquillità alla sistemazione di alcuni scritti de arte medica che da tempo aveva in animo di rendere pubblici.
L’ambizioso progetto prevedeva la pubblicazione di un vasto compendio di pratica medica in cinque libri, dei quali i primi due dedicati alle affezioni delle singole parti, il terzo alle febbri e ai morbi non specifici, il quarto alle malattie esterne, il quinto alle infermità curate per via empirica. I primi tre videro la luce a Venezia con il titolo De humani corporis affectibus dignoscendis, praedicendis, curandis et conservandis rispettivamente nel 1590, 1595 e 1592 con dedica al Senato veneto, al granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici e ai settemviri della città di Udine; il quarto uscì ancora a Venezia nel 1606 con dedica a Leonardo Donà, mentre il quinto non venne mai pubblicato. L’intera opera fu riedita ancora a Venezia nel 1608 con il titolo complessivo di Ars medica.
Il primo frutto di tali fatiche, stando a quanto ricorda lo stesso Rudio nella dedica a Leonardo Donà premessa al trattato De divina gratia (1593) dello zio paterno Giacomo, già commendatario dell’abazia friulana di S. Gallo, fu l’incarico di supplente del vecchio Bernardino Paterno, malato e incapace di sostenere il peso dell’insegnamento, sulla cattedra padovana di medicina pratica, forse tra il 1591 e il 1592. Successivamente Rudio fu protagonista di una dura polemica con il medico marchigiano Teodoro Angelucci sulla natura delle febbri maligne, che lo spinse a pubblicare con lo pseudonimo di Ioannis Donatellus Castiglionensis la De febre maligna disputatio (Venezia, apud Robertum Meiettum, 1593).
Nel 1595 gli venne offerta una condotta presso la comunità di Udine, che accettò di buon grado. Nella dedica ai settemviri della città premessa al secondo libro De humani corporis affectibus..., Rudio, ringraziando per la fiducia accordata, ricorda il suo passato servizio nel territorio friulano e afferma di considerare ormai Udine, da cui aveva ricevuto tanti benefici, come sua novella patria; nei frontespizi delle opere successive, infatti, si sarebbe dichiarato sempre Utinensis, in luogo dell’originario Bellunensis, e saldi avrebbe conservato i legami con il folto gruppo di colleghi e intellettuali friulani attivo tra Venezia e Padova in quei decenni.
La marginalità geografica della nuova collocazione non gli impedì di continuare a coltivare progetti di affermazione culturale su ampia scala, come dimostrano l’invio, nel gennaio del 1596, all’Accademia Olimpica di Vicenza di una commedia per il carnevale imminente e la proposta della sua ascrizione al prestigioso sodalizio avanzata l’11 febbraio seguente (cfr. A. Ranzolin, L’Archivio storico dell’Accademia, Vicenza 1989, p. 39). Nel frattempo, l’accorta strategia di consolidamento dei rapporti con il patriziato veneziano, perseguita con una serrata politica dedicatoria, stava per dare i frutti attesi: venuto a morte Massaria, il 15 ottobre 1599 il Senato si risolse a chiamare Rudio sulla cattedra padovana di pratica medica ordinaria in secundo loco con lo stipendio di 600 fiorini (1000 nel 1603 con la promozione al primo luogo, commutati in 1000 scudi nel 1609).
La chiamata non mancò di suscitare perplessità e resistenze: in seno allo stesso collegio dei riformatori vi era chi riteneva che, avendo il candidato già esposto in numerose pubblicazioni ampiamente circolanti tra gli studenti gli esiti delle proprie ricerche, scarsa sarebbe stata l’affluenza alle sue lezioni. Per dimostrare che, al contrario, la sua attività di docente stava procedendo su nuove strade, Rudio si decise a pubblicare il De tumoribus praeter naturam (Venezia 1600) e il De naturali atque morbosa cordis constitutione (Venezia 1600), in cui, pur riprendendo temi già trattati in precedenza, affrontava – a suo dire – aspetti totalmente inediti.
Mentre la prima opera si sofferma sul trattamento delle infiammazioni purulente, la seconda approfondisce le ricerche avviate nel De virtutibus del 1587. L’opera non brilla certo per originalità e si dimostra sostanzialmente una sintesi, anche un po’ frettolosa, di quanto già era stato scritto decenni prima da Realdo Colombo e Andrea Cesalpino. Pur nella modestia delle sue conclusioni, tuttavia, il trattato potrebbe avere avuto un merito non secondario: come nel 1838 ebbe a rilevare Giovanni M. Zecchinelli in un celebre saggio non privo di venature campanilistiche, è verosimile pensare che il giovane William Harvey, giunto a Padova nei mesi in cui Rudio si insediava su una delle cattedre più prestigiose dello Studio, abbia potuto essere introdotto all’apprendimento di quanto era stato prodotto fino ad allora nell’ambito delle conoscenze cardiologiche dal lavoro del docente bellunese.
Consolidata la sua posizione all’interno dello Studio, nel 1601 Rudio venne interpellato dai riformatori in merito alla proposta di creare una lettura ordinaria de pulsibus. Rudio si schierò fieramente contro tale ipotesi, sostenendo che i contenuti di tale insegnamento erano già tradizionalmente trattati da tutti i docenti di pratica e che pertanto si sarebbe verificata una disdicevole sovrapposizione di competenze. È nel contesto di tale crescente interesse per le pratiche semeiotiche che si inserisce la successiva pubblicazione, i De pulsibus libri duo (Padova 1602), dedicati ad Antonio Querini, in cui vengono compendiati gli scritti galenici sul tema e si sottolinea la rilevanza diagnostica e prognostica della sfigmica. Sempre nel 1602 uscirono a Padova i tre libri De ulceribus, dedicati ad Antonio Priuli, che attestano l’interesse dell’autore per le pratiche chirurgiche, mentre nel 1604 vennero pubblicate a Venezia, per le cure dell’allievo vicentino Mondino Mondini, le sue lezioni De morbo gallico, in cui Rudio insiste sul ruolo della predisposizione individuale nel contrarre la lue e sostiene la trasmissione ereditaria del morbo.
Nel 1608 fu protagonista di un aspro conflitto di precedenza con il celebre anatomista patavino Girolamo Fabrici d’Acquapendente: avendo ottenuto dai riformatori dello Studio di mantenere nel rotulo annuale la precedenza sull’insegnamento dell’anatomia che già spettava al suo predecessore, Rudio aveva preteso che il vecchio maestro, in occasione di un fortuito incontro per le vie della città, gli cedesse la strada in virtù del maggior prestigio della cattedra occupata. Fabrici ricorse alle autorità universitarie per rintuzzare l’alterigia del collega. Dopo delicate trattative, i riformatori giunsero a ricomporre il dissidio, riconoscendo le ragioni di Fabrici e placando le resistenze di Rudio grazie alla mediazione dell’amico Cesare Cremonini.
Già nominato cavaliere di S. Marco nel 1607, Rudio fu ascritto alla nobiltà udinese il 31 luglio 1609. Venne infine investito della giurisdizione comitale dei feudi di Goricizzo, Virco e Gradiscutta il 26 aprile 1611.
Nel frattempo non era venuto meno il suo impegno professionale e scientifico: docente di vaglia, pratico di alta reputazione, ricercato e lodato per i suoi pronostici ritenuti infallibili (come ricorda anche Gabriel Naudè in Naudaeana et Patiniana, Parigi 1701, p. 29), negli anni terminali della sua vita arricchì la propria produzione con due opere di una certa rilevanza: il De morbis occultis et venenatis (Venezia 1610) e il De anima (Padova 1611).
Nella prima opera, dedicata al papa Paolo V, Rudio desidera ricondurre ai principi della medicina razionale le tradizionali conoscenze empiriche di tossicologia; in tale prospettiva è di particolare interesse il tentativo di stabilire precisi criteri di differenziazione tra i morbi ordinari e quelli causati da avvelenamento. Il De anima, dedicato all’amico e «compater» Ottavio Amalteo, si presenta come un’ardita sintesi della psicofisiologia galenica, nella quale tuttavia sembrano convergere non solo alcune istanze dell’aristotelismo tardorinascimentale, ma anche certe acquisizioni del pensiero telesiano, che portano all’identificazione di calore innato e anima materiale.
Nell’estate del 1612, durante un soggiorno udinese, cadde gravemente malato. Dettato il testamento, il 28 agosto, davanti al notaio Ambrogio de Magistris (tra i testimoni è registrata la presenza di Isidoro Santorio, fratello del celebre medico Santorio), morì il 1° settembre 1612 e venne sepolto a Udine nella chiesa di S. Pietro Martire.
Lasciò la moglie Lionetta Doglioni, e i figli Nicolò, che ereditò il titolo comitale, Ercole, frate cappuccino, una figlia sposata con il nobile udinese Pietro Brazzacco. Un altro figlio, Giacomo, era morto l’anno precedente.
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