LAMANNA, Eustachio Paolo
Nacque a Matera il 9 ag. 1885 da Angiolo e Bruna Pizzilli. Studiò all'Università di Firenze dove si laureò in lettere e in seguito in filosofia sotto la guida di F. De Sarlo. I numerosi scritti che dedicò negli anni intorno alla guerra, tra il 1914 e il 1919, ai temi etico-politici e alla religione, tra cui La religione nella vita dello spirito (Firenze 1914; 2ª ed., a cura di D. Pesce - A. Scivoletto, ibid. 1967), Il sentimento del valore e la morale criticistica (ibid. 1915), Il fondamento morale della politica secondo Kant (ibid. 1916) e i vari lavori pubblicati nella rivista La Cultura filosofica, gli valsero, nel 1921, la cattedra di filosofia morale presso l'Università di Messina. Si trasferì in seguito, nel 1925, alla cattedra di storia della filosofia nell'Università di Firenze, dove si svolse per intero la sua carriera accademica. Fu preside della facoltà di lettere e filosofia dal 1947 al 1953, quando andò a ricoprire l'incarico di rettore, che mantenne fino al 1961. Il L. fu socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, socio effettivo dell'Accademia toscana di scienze e lettere "La Colombaria" e fu onorato, tra le molte benemerenze, del titolo di commendatore della Corona d'Italia e del cavalierato di gran croce al merito della Repubblica.
La biografia intellettuale del L. si divide tra i primi scritti di impianto teoretico, dedicati in particolare all'etica e alla religione, e i lavori successivi che, a partire dalla metà degli anni Venti, egli dedicò alla storia della filosofia, con la preparazione, tra l'altro, di numerosi manuali per le scuole che lo resero noto e apprezzato presso il pubblico più vasto.
L'impegno teoretico del L. si situa all'interno di un nucleo di temi e problematiche che erano stati esplorati dal suo maestro e che avevano ispirato, in modi diversi, il gruppo di studiosi raccolto intorno alla rivista di De Sarlo, La Cultura filosofica, nel decennio di pubblicazioni che corre dal 1907 al 1917 (tra gli altri L. Limentani, A. Levi, R. Mondolfo). De Sarlo aveva insistito sulla necessità di rispondere al doppio fronte, idealistico e positivistico, che dominava la cultura filosofica del tempo, con l'elaborazione di una filosofia che interrogasse la psicologia per rendere conto delle nozioni trascendentali in modo tale da liberarle dal loro aspetto astratto e intellettualistico, concedendo loro la concretezza della vita spirituale delle singole persone. Si mescolava qui un'attenzione per le scienze tipica del positivismo con ambizioni caratteristiche delle filosofie speculative. Il L. ereditò questo quadro di problemi e con esso una spiccata sensibilità verso la varietà di approcci, non solo filosofici, cui era approdata la cultura europea e nordamericana.
Nel suo volume La religione nella vita dello spirito, il L. elabora la propria posizione attraverso un confronto con le prospettive più consolidate, da W. Wundt a W. James a É. Durkheim, oltre agli autori filosofici, e non trascurando un'attenzione per la letteratura (L. Tolstoj).
Il L. è guidato nella sua indagine sulla natura della religione da almeno due esigenze di conciliazione. Da una parte ha interesse a difendere il carattere coscienziale e personale della religione, conciliando un piano oggettivo e platonista dei valori, che pure rivendica, con la concretezza propria della persona umana. Dall'altra vuole offrire un'analisi della religione in cui si trovino ricapitolate e conciliate tutte le forme dell'attività spirituale, quella etica, estetica e conoscitiva, senza che nessuna prevalga. Per quanto riguarda la prima esigenza, il L. si contrappone tanto all'apriorismo teologico, incapace di rendere conto del fenomeno religioso nella sua natura sia razionale sia storica, come all'apriorismo razionalistico, che aveva identificato le religioni rivelate con quella naturale disconoscendo l'elemento storico. Il L. torna a I. Kant, che sarà il suo autore di riferimento lungo l'intera biografia, ma di Kant vede il limite, costituito dal suo formalismo trascendentale che sottovaluta la coscienza individuale. Un'altra preoccupazione del L. è quella di respingere ogni riduzione della religione a una sfera diversa da sé. Quindi, da una parte critica l'intellettualismo hegeliano, che vede nella religiosità il prodotto dell'attività teoretica dello spirito. Ma il L. è egualmente critico verso chi ha voluto ricondurre la religione alla morale, come ha fatto Kant, o al sentimento estetico (F. Schleiermacher). La religione garantisce, invece, la sintesi di queste sfere spirituali ma introduce anche un ulteriore elemento, cui il L. tiene molto: l'oggettività delle stesse sfere spirituali.
La funzione conoscitiva presuppone che le forme di cui riveste la realtà colgano ciò che è universale ed eterno nella mutevolezza dell'esperienza. Ma tale razionalità del cosmo è garantita dal fatto che essa è il prodotto della mente di Dio, e la nostra mente non fa altro che ricalcare frammentariamente ciò che è già ab aeterno nella mente divina. Così la funzione pratica presuppone che l'ordinamento morale che si rivela alla coscienza umana abbia una oggettiva obbligatorietà; in questo caso, la realtà dei valori morali non è propria della natura ma è propria invece di Dio che è anche Autore della natura. Infine, il sentimento estetico ci introduce a una bellezza che è un'universalità che si rivela di volta in volta nel particolare. Ma tale rivelarsi dell'assoluto nel sensibile presuppone un'unità armonica che il sentimento estetico intuisce immediatamente. Perciò il L. conclude: "Riguardare la presenza in noi dei supremi ideali di verità, bontà e bellezza come dono di quella Superiore Realtà, vedere nel dinamismo perenne che stimola la nostra vita spirituale un incitamento e un invito che ci viene da quella Realtà e che ci attrae verso di essa, sentire di esserne partecipi ogni volta che volgiamo la nostra attività in quelle direzioni che sappiamo essere le direzioni normali del nostro spirito, aver la consapevolezza che per questa via noi ci trasformiamo sempre più e sempre meglio da creature terrestri in figli di Dio, questa è la vita religiosa" (La religione nella vita dello spirito, p. 515).
Le conseguenze di tale concezione conciliativa della filosofia si scorgono chiaramente negli scritti etico-politici. Qui il L. è impegnato a difendere la priorità dell'etica sulla politica e sul diritto, sebbene, nel far questo, sia spinto a sottovalutare le distinzioni che vi sono tra morale, diritto e politica.
Nel saggio L'amoralismo politico (in La Cultura filosofica, X [1916], 6; poi in Il bene per il bene, con introd. di P. Piovani, Firenze 1967, pp. 27-67), il L. respinge la dottrina machiavelliana circa l'indipendenza della politica dalla morale e rivendica invece il fondamento etico universale della politica. Non si trovano nel L. gli strumenti - squisitamente liberali - per distinguere tra una sfera morale personale e una morale pubblica (come si trovano invece in un autore con cui pure il L. si confrontò quale E. Juvalta); tuttavia in questo scritto vi è l'eco - frutto di un ripensamento di istanze giusnaturalistiche (cfr. Piovani, Introduzione, p. XVII) - della salvaguardia dell'individuo rispetto alla moralità fatta propria dagli Stati. Così il L. può scrivere: "Posta la correlazione da noi sopra illustrata tra il concetto di patria e nazione e quello di umanità - intesa come totalità della specie -, non può certo presentarsi alcun caso, che imponga il sacrificio dell'esistenza della patria all'umanità: ma in ogni modo non può alla patria essere sacrificata l'umanità, quando questa sia intesa come il complesso dei valori etici più universali" (L'amoralismo politico, p. 65). Un'ispirazione analoga troviamo nel saggio L'eticità del diritto: l'esperienza giuridica (Firenze 1919, poi in Il bene per il bene, pp. 71-114), in cui il L. argomenta, contro il formalismo di H. Kelsen, l'origine morale del diritto: il diritto va concepito come la tecnica per l'ordinamento morale.
Tuttavia, la rivendicazione della centralità della vita morale, compiuta attraverso un procedimento di conciliazione con le esigenze distinte delle altre sfere, lascia il programma del L. vulnerabile nei confronti di usi incompatibili con quella "essenza e dignità della vita spirituale umana", che pure il L. sostiene non possa mai essere sacrificata dall'individuo a chicchessia (L'amoralismo politico, p. 65). Troviamo perciò lo stesso L., in un didascalico volumetto manualistico dal titolo La vita dello Stato nell'Italia fascista (Firenze 1934), usare la propria concezione conciliativa nell'esporre la dottrina fascista dello Stato. L'essenza spirituale di ogni individuo richiede una elevazione verso la morale universale che è vista qui nel suo costituirsi "traverso la storia e quindi nella vita del proprio paese": "Bisogna sapersi elevare all'altezza del momento storico attuale e poter dare del perenne ideale umano la determinazione nuova che a quel momento storico è più appropriata". Ma questa concezione morale è anche fede - religiosa - in un ordine oggettivo delle cose. Perciò il L. concludeva: "La concezione spiritualistica della vita propria del fascismo non può dunque non avere un tale coronamento religioso" (ibid., p. 118). In questo modo la dottrina della conciliazione sintetica delle sfere spirituali nella religione è usata dal L. come giustificazione della concezione fascista dello Stato. Il L. pubblicò anche La dottrina del fascismo di B. Mussolini con un suo commento (Firenze 1938).
Tornando sulle proprie posizioni filosofiche in un bilancio steso nel 1950 (La mia prospettiva filosofica, Padova 1950, poi in Il bene per il bene, Appendice), il L. ribadisce la propria concezione, affermando l'unità delle sfere spirituali nella religione, garanzia della realtà di ogni ideale cui mira lo spirito umano.
Il L., già dalla metà degli anni Venti, era venuto però concentrandosi su lavori di carattere storico, in cui emergono le scelte teoretiche e in particolare la centralità dei problemi proposti da Kant. A Kant il L. aveva dedicato già nel 1916 il volume Il fondamento morale della politica secondo Kant e l'anno successivo curava la prima edizione italiana degli scritti storico-politici kantiani (Scritti politici, Lanciano). Nel 1925 pubblicava Kant. Un profilo (Milano; 2ª ed., con introd. di D. Pesce, Firenze 1965; si vedano anche gli scritti raccolti in Studi sul pensiero morale e politico di Kant, a cura di D. Pesce, ibid. 1968). Seguivano quindi numerosi studi storici, tra cui spicca la Storia della filosofia (I-II, ibid. 1939-41; quindi accr., I-IV, ibid. 1960-62) integrata da La filosofia del Novecento (I-II, ibid. 1963-65), e inoltre i numerosi manuali e antologie di testi filosofici per le scuole (che ebbero innumerevoli edizioni e ristampe), tra cui: Manuale di storia della filosofia (Firenze 1927-30); Antologia filosofica (ibid. 1941); Sommario di filosofia (ibid. 1942); Letture filosofiche (ibid. 1952-54).
Il L. morì a Firenze il 12 giugno 1967.
Fonti e Bibl.: A. Gazzolo, Morale e religione in due saggi recenti, II, L., "La religione nella vita dello spirito", in Riv. rosminiana di filosofia e cultura, IX (1914-15), pp. 431-437; D. Lanna, Per lo studio del problema religioso, in Riv. di filosofia neoscolastica, VII (1915), pp. 85-91; M.F. Sciacca, Il secolo XX, Roma-Milano 1947, pp. 62-65; Univ. degli Studi di Firenze, Annuario 1959-1960, Firenze 1961, p. 74; P. Piovani, Sulla prospettiva filosofica di E.P. L., Torino 1962; Univ. degli studi di Firenze, Annuario 1962-1964, Firenze 1965, p. 433; P. Piovani, E.P. L. tra etica e storia, Napoli 1967; Id., Introduzione, in E.P. Lamanna, Il bene per il bene, cit., pp. VII-XXI; G. Martano, L'esperienza speculativa di E.P. L., in Filosofia, XIX (1968), pp. 11-26; G. Calò, P.E. L.: discorso commemorativo…, Roma 1969; Il pensiero di E.P. L., Napoli 1971; E.P. L. nel suo primo centenario della nascita: 1885-1985. Studi e testimonianze, a cura di D. Carbone, Matera s.d.; N. Abbagnano, Storia della filosofia, X, La filosofia contemporanea, 4, a cura di G. Fornero - F. Restaino, Torino 1994, pp. 192 s., 218; M. Ciliberto, La filosofia tra Pisa e Firenze, in Riv. di filosofia, XCII (2001), pp. 269-309; Chi è?, 1931, s.v.; Enc. filosofica, IV, s.v.; F. Abba Luzzato, Diz. generale degli autori italiani, I, sub voce.