Eusebio biografo
I bioi di Eusebio nel quadro del discorso agiografico tardoantico
Se si pensa a Eusebio di Cesarea, viene in mente certamente l’Eusebio storico, l’Eusebio apologista, l’Eusebio teologo ed esegeta: tutti aspetti su cui negli ultimi decenni la critica ha molto investigato arrivando, diversamente da quanto avveniva in una fase precedente, a metterne in luce l’originalità e il valore1. Molto più raramente si è riflettuto sul fatto che Eusebio è il primo scrittore cristiano a essersi cimentato anche con il genere delle Vite (bioi). Non mancano studi dedicati a singoli scritti di carattere biografico – il sesto libro della Storia Ecclesiastica e la Vita di Costantino2 –, tuttavia non si è ancora tentato di delineare il quadro complessivo del contributo eusebiano cercando di enuclearne le linee di fondo, le motivazioni ideologiche e il dialogo intenso intrattenuto con modelli e filosofie presenti nel suo ambiente.
La difficoltà di individuare con chiarezza la rilevanza di questo aspetto nell’insieme della produzione eusebiana deriva, innanzitutto, dalle difficoltà intrinseche al dossier di testi. Alcuni di questi, in effetti, esclusivamente o in parte dedicati in modo esplicito a raccontare il bios di un personaggio, sono perduti, altri sono nascosti in opere che trattano programmaticamente di altri argomenti: è necessario, dunque, delimitare il campo della ricerca. Il testo databile con maggior sicurezza è l’Apologia per Origene3; l’originale greco di quest’opera redatta in sei libri è perduto: abbiamo soltanto una traduzione latina del primo libro eseguita da Rufino, che ha un carattere eminentemente dottrinale. Nella Storia ecclesiastica Eusebio vi fa riferimento più di una volta: in h.e. VI 23,4 afferma che nel secondo libro dell’Apologia si racconta dei provvedimenti presi contro Origene a seguito della sua ordinazione sacerdotale a Cesarea di Palestina; in h.e. VI 33,4 egli rimanda ancora all’Apologia per sapere su Origene tutto quanto è necessario e afferma di averla scritta lavorando insieme a Panfilo «a causa di coloro che amano le dispute»; in h.e. VI 36,4 sostiene di aver scritto da solo il sesto libro, in cui veniva citata una lettera di Origene a Fabiano. Fozio, nel IX secolo, lesse la sua opera per intero e ci consente di datarla con una certa approssimazione: egli infatti aggiunge che i primi cinque libri furono composti da Panfilo assieme a Eusebio mentre il primo era in prigione, cioè fra il 307/308-308/310, mentre il sesto dal solo Eusebio dopo la morte di Panfilo. Anche dal resoconto sommario di Fozio si evince che l’Apologia conteneva una narrazione della vita di Origene più dettagliata di quella presente, come vedremo fra breve, nell’h.e.4 Il fatto che in h.e. si trovino riferimenti all’Apologia non significa che questa sia stata scritta prima, in quanto Eusebio ha più volte rivisto e ritoccato l’h.e.5
Le Memorie su Panfilo. Dopo il 310, cioè dopo il martirio del suo maestro, Eusebio compose tre libri su Panfilo; accenna a quest’opera ancora l’h.e. come al luogo in cui il lettore avrebbe potuto trovare l’elenco delle opere di Origene: «Noi l’abbiamo riportato nella trattazione della vita di Panfilo, il santo martire dei nostri tempi [ἐπὶ τῆς τοῦ παμϕίλου βίου τοῦ καθ᾽ ἡμᾶς ἱεροῦ μάρτυρος ἀναγραϕῆς]»6.
In h.e. VII 32,25 offre una breve descrizione del contenuto dell’opera:
Quale uomo egli [scil. Panfilo] fosse e da dove provenisse, non sarebbe argomento da poco mostrarlo, ma ogni particolare della sua vita e della scuola che egli fondò, le lotte che sostenne durante la persecuzione in diverse confessioni e la corona del martirio che infine cinse, li abbiamo narrati in dettaglio in un’opera particolare su di lui «ἐν ἰδίᾳ τῇ περὶ αὐτοῦ διειλήφαμεν ὑποθέσει».
Leggiamo un altro riferimento nella versione breve dei Martiri della Palestina (m.P. 11,3): «Le altre sue [scil. di Panfilo] azioni virtuose richiedono un racconto troppo lungo; le abbiamo già riportate in uno scritto di memorie in tre libri, il cui argomento specifico è la vita di costui»7.
Più tardi Girolamo lesse l’opera, citandola con il titolo De vita Pamphili libri tres nella notizia dedicata a Eusebio nel De viris illustribus8; allo stesso Girolamo dobbiamo l’unico frammento superstite dello scritto eusebiano, tratto dal terzo libro:
Chi tra coloro che si dedicano agli studi non è stato amico di Panfilo? Se vedeva che costoro mancavano del necessario per il sostentamento, offriva largamente ciò che poteva. Dava con la massima sollecitudine anche le Sacre Scritture non soltanto in lettura, ma anche da conservare, e non solo agli uomini, ma anche alle donne che aveva visto dedite alla Scrittura. E quindi preparava anche molti codici, per farne dono, quando la necessità l’avesse richiesto, a chi li desiderasse. E certo egli stesso non ha scritto niente di suo pugno, eccetto alcune lettere che spediva occasionalmente ad amici: a tanto si era abbassato per la sua umiltà. Poi leggeva con grande interesse i trattati degli scrittori antichi e trascorreva tutto il suo tempo a meditare su di essi9.
La Storia Ecclesiastica. Fin dalle prime righe l’autore dell’h.e. si rivela fortemente interessato a porre in piena luce individui significativi, cioè «quanti hanno guidato e presieduto le diocesi più illustri sì da meritarne lode e quanti, in ogni generazione, sono stati messaggeri della parola divina oralmente e con i loro scritti»10. Discepolo di Panfilo, che aveva fatto di Cesarea un centro di custodia e raccolta di memorie origeniane, Eusebio possiede sul maestro alessandrino un’ampia documentazione che gli consente – a differenza degli altri «messaggeri della parola divina» – di dedicargli ventidue capitoli del sesto libro, cui aggiunge un rapido cenno alla sua morte all’inizio del settimo libro:
Molte cose avrebbe dunque da dire chi si accingesse a scrivere con agio la vita di quest’uomo [scil. Origene] [τὸν βίον τοῦ ἀνδρὸς ἐν σχολῇ παραδοῦναι διὰ γραϕῆς πειρώμενος] e l’esposizione su di lui [ἡ περὶ αὐτοῦ σύνταξις] richiederebbe un’opera a parte [ἰδίας ὑποθέσεως]. Tuttavia nell’attuale circostanza riassumeremo per quanto è possibile in breve la maggior parte dei fatti, e il poco che diremo su di lui lo esporremo a partire da alcune lettere e dai racconti dei suoi discepoli mantenutisi in vita fino a noi11.
Queste parole costituiscono il breve proemio al bios di Origene; ne riconosciamo i topoi caratteristici: l’allusione alla grandezza del soggetto da trattare, la menzione delle fonti. Eusebio inoltre dimostra la consapevolezza di rompere la convenzione che voleva il bios altra cosa dalla ἱστορία, ma, come Polibio a proposito di Filopemene12, pensa che, a certe condizioni, il racconto biografico possa avere un ‘diritto di cittadinanza’ all’interno della storia. Tuttavia, il bios di Origene rimane in un certo senso così celato all’interno di un’opera già di per sé di difficile classificazione nel panorama letterario della tarda antichità che molti studiosi non ne hanno riconosciuto l’importanza e l’originalità. Ad esempio, Momigliano riteneva che i cristiani avessero continuato, sia pure innovandola, la divaricazione tradizionale fra storia e biografia dando origine, per un verso, alla Storia ecclesiastica, e per l’altro, con la Vita di Antonio di Atanasio, alla biografia/agiografia13: impostazione ripresa in tempi recenti da Dieter Timpe14.
I Martiri della Palestina. Dopo l’emanazione dell’Editto di Galerio, fra il 311 e il 313 o poco dopo, negli stessi anni in cui redige e rivede l’h.e, Eusebio compone i Martiri della Palestina che possediamo in due recensioni che la critica riconduce entrambe a Eusebio. La versione più breve (m.P. b.) è in greco15, mentre la versione più lunga (m.P. l. syr.) è tramandata intera in una traduzione siriaca da un codice miscellaneo databile al 41116 e, in parti significative, anche in greco (m.P. l. gr.)17. Non esclusivamente, ma in special modo in m.P. l. syr., Eusebio delinea alcuni medaglioni biografici di martiri.
La Preparazione Evangelica. Eusebio redige questo lunghissimo trattato tra il 313 e il 31718. Composto in quindici libri, è costituito prevalentemente di citazioni ed è la prima parte di un progetto apologetico più ampio che comprenderà anche la Dimostrazione evangelica. Il settimo libro, che contiene i bioi degli uomini pii ebrei, dall’inizio a Mosè, fa da cerniera fra la prima parte, che ha come tema principale la confutazione del paganesimo, e la seconda parte, dedicata alla presentazione delle dottrine ebraiche.
La Vita di Costantino19. La divisione in quattro libri e i titoli dei capitoli non risalgono a Eusebio; è tuttavia utile accennare brevemente a tale ripartizione degli argomenti. Nel primo libro, dopo la prefazione (I 1-11), Eusebio percorre i temi topici della nascita, la famiglia, l’educazione, la designazione a imperatore, la sconfitta di Massenzio, i crimini di Licinio; il secondo libro è centrato sulla sconfitta di Licinio, i provvedimenti a favore del cristianesimo e contro il paganesimo, l’inizio della questione ariana. Il terzo libro è dedicato al concilio di Nicea, alla costruzione di chiese a Gerusalemme e altrove, alla distruzione dei templi pagani e alla politica contro gli eretici; il quarto libro, il più composito, narra della politica di Costantino riguardo ai goti e ai sarmati e alla Persia, delle virtù personali di Costantino e del suo sostegno alle Chiese cristiane, e infine del suo battesimo in punto di morte e dei suoi funerali.
Su v.C. la presente opera ospita altri contributi20; ci si limiterà qui pertanto a fornire le informazioni necessarie a chiarire la questione del se e come essa possa considerarsi su una linea di continuità con gli altri bioi eusebiani. Mentre sembrano abbandonate quelle posizioni che dubitavano dell’autenticità eusebiana di v.C.21 e ne respingevano risolutamente l’affidabilità storica, persiste un certo dibattito riguardante la sua forma letteraria. È opinione comune che si tratti di un testo poco unitario. Secondo Giorgio Pasquali22, v.C. sarebbe il risultato di differenti stesure contenenti due diverse rappresentazioni della figura costantiniana: la prima sarebbe stata un panegirico composto subito dopo la notizia della morte di Costantino il 22 maggio 337; la seconda, di carattere più polemico, scritta un anno dopo, sarebbe stata rimaneggiata a seguito della decisione di far tornare il vescovo di Alessandria, Atanasio, dall’esilio. Per Timothy D. Barnes, intervenuto più volte sull’argomento23, v.C. sarebbe «a conflation of a panegyric and a documentary history of hagiographical nature»24; quest’ultima stesura, a carattere più storico, sarebbe la prima delle due, concepita come continuazione della redazione finale di h.e., che terminava con il 325. Per sostenere la sua tesi, che comprende anche la precisa individuazione, all’interno di v.C., delle sezioni che sarebbero appartenute all’una o all’altra stesura, Barnes si appoggia anche su considerazioni riguardanti distinzioni fra generi letterari. Egli osserva che v.C. non è una biografia in quanto i due titoli, uno che precede la lista dei capitoli, l’altro che precede il testo, non risalgono a Eusebio, ma all’anonimo (il suo successore nell’episcopato, Acacio?) che prese l’iniziativa di pubblicare l’opera non finita. Nella prima titolazione – Capitoli della vita secondo Dio del santo imperatore Costantino – l’espressione «ὁ βίος κατὰ θεόν» manifesterebbe l’intenzione di trattare soltanto le azioni care a Dio25; nella seconda – Sulla vita del beato imperatore Costantino di Eusebio di Panfilo – l’espressione «ἐς τὸν βίον» ricorda «τὰ ἐς τὸν τυανέα ᾽απολλώνιον» di Filostrato26, opera che Eusebio conosceva bene. Tuttavia – continua Barnes27 –, mentre Filostrato si riferisce a una propria opera come a un bios28, Eusebio non adotta mai questo termine, ma definisce il suo scritto come istoria29. Dal punto di vista dell’analisi letteraria, ritiene che i tratti biografici, che pur le sono stati riconosciuti30, derivino piuttosto dall’elemento panegiristico e, in particolare, dalla forma letteraria del basilikos logos, cioè dei discorsi pronunciati in onore di figure regali.
C’è chi sottolinea, invece, il carattere biografico, sia pure sui generis, di v.C. senza poter ricondurre l’opera sicuramente a un modello precedente. La specificità di v.C, come anche di altre opere di Eusebio, è vista nella fusione di forme letterarie piegate a esprimere la novità dei tempi. Su questa strada dopo Tartaglia31 si è messa Averil Cameron, che è tornata più volte sull’argomento e che propone di trattare v.C. come un testo prima di considerarla come fonte di informazioni su Costantino32 e, pur non negando la disomogeneità dello scritto, osserva che questo dato non porta necessariamente alla teoria delle due stesure; anche l’h.e., più volte rivista, è stata lasciata «in a similarly inharmonious state»33. La studiosa respinge l’osservazione di Barnes a proposito dell’elemento panegiristico, che, a suo dire, indebolirebbe la sua appartenenza al bios, facendo notare che encomio e biografia non sono affatto distinguibili, soprattutto in una prospettiva cristiana, già agiografica, che mira a presentare modelli di perfezione; d’altro canto anche la panegiristica pagana non era aliena dal presentare materiali storici34.
L’interesse di Eusebio per i bioi è collegato a quello più generale verso la biografia che si ritrova anche fra gli intellettuali pagani tra II e III secolo, i quali la considerano un discorso efficace, più di altri, per veicolare la propaganda e la difesa di dottrine filosofiche o modelli di vita e per mostrare con esempi viventi la legittimità della propria supremazia culturale35. Tale interesse non è ravvisabile solo nei bioi, ma invade altre forme letterarie che prima ne erano esenti36. Nell’apologetica cristiana, ad esempio, la necessità di controbattere le critiche pagane su molti aspetti della vita di Gesù porta al centro del dibattito proprio la questione della Vita Christi. Alla metà del II secolo Celso, nel suo Discorso vero, trattava, a partire dal Vangelo di Matteo, i punti salienti della vita di Gesù percorrendo tutti i luoghi tradizionali di un bios – nascita, patria, famiglia, educazione, azioni – per far risaltare l’indegnità di questa figura assimilata a quella di un mago e l’assurdità della pretesa avanzata dai cristiani di vedere in lui un dio, mentre negavano lo stesso privilegio a figure veramente divine, quali Pitagora, Eracle, Orfeo, Asclepio37.
A questo attacco risponde vigorosamente Origene circa settanta anni dopo nel Contro Celso. Da una parte egli difende la realtà storica dei miracoli narrati dai Vangeli, dall’altra è consapevole che questo non può bastare per sostenere la divinità di Gesù in un contesto in cui anche altri compiono miracoli e in cui vi è un reciproco scambio di accuse di magia. Sceglie un terreno di confronto diverso, spostando il baricentro dell’attenzione sul valore della persona che compie il miracolo e sull’ampiezza dei benefici che gli uomini hanno ricavato dalla sua predicazione. Se la figura di Gesù – sostiene Origene – per famiglia, patria, educazione può suscitare repulsione e disorientamento nelle persone colte abituate a ritenere degni di racconto e di considerazione solo i migliori del genere umano, proprio l’umiltà della sua condizione diventa la prova più convincente del fatto che Gesù sia stato un essere divino e degno di essere proclamato Figlio di Dio, dal momento che egli «ha potuto sconvolgere tutta la terra abitata non solo più di Temistocle, ma anche più di Pitagora, di Platone e di tutti gli altri saggi, re e generali di tutto il mondo»38. L’origine divina – e non diabolica come nel caso dei maghi – dei suoi miracoli è testimoniata non dalle guarigioni in sé, ma dal fatto che egli era puro e santo e che i suoi miracoli operavano la conversione e un genere di vita migliore in chi ne era il beneficiario39.
Origene rielabora e risemantizza in senso cristiano l’evemerismo ellenistico secondo cui la divinizzazione di alcuni mortali – all’inizio eroi o re, poi anche filosofi – era il premio dei benefici recati all’intera umanità. In tal senso Origene può sostenere anche per questa via la divinità di Gesù, in quanto i benefici procurati all’umanità dalla fede in lui sono stati più duraturi e diffusi40. Scavando a fondo nella logica pagana dell’uomo divino, Origene arriva a sostenere che in realtà soltanto Gesù Cristo può essere considerato l’unico uomo-Dio41.
Eusebio, grande ammiratore di Origene e attento lettore del Contro Celso, fa più volte riferimento all’evemerismo e a Evemero42, all’interno di una teoria generale sullo sviluppo del politeismo pagano, citando un lungo frammento di Diodoro Siculo su Evemero di Messina43. Con questo quadro di riferimento decide di rispondere all’Amico della verità di Sossiano Ierocle, che metteva ancora al centro delle sue critiche la figura di Gesù paragonandola a quella di Apollonio di Tiana44 per sostenere, da una parte, la superiorità di quest’ultimo sul primo per aver compiuto miracoli più grandi, dall’altra per esaltare la saggezza dei greci che, nonostante questo, non l’avevano considerato un dio.
La tradizione a favore o contro Apollonio è lunghissima – dal II al IX secolo45 –, ma i dati storici sono molto scarsi: possiamo affermare che fu un filosofo retore del I secolo seguace della filosofia pitagorica e autore di una Vita di Pitagora. Il suo nome è accostato a quello di Gesù nell’Historia Augusta, nel passo famoso in cui si fa cenno alla presenza, nel larario dell’imperatore Alessandro Severo, delle immagini di Apollonio, Cristo, Abramo e Orfeo46, ma il paragone esplicito fra i due risale alle accuse di Porfirio contro i cristiani47 che Eusebio conosceva bene48. Il Contro Ierocle (Hierocl.) di Eusebio, pubblicato nel 312 o forse qualche anno prima, all’inizio della persecuzione, è dedicato a un anonimo che era rimasto molto colpito dal paragone fra Gesù e Apollonio49. È un cristiano colto che probabilmente aveva già letto anche la Vita di Apollonio (VA) di Filostrato e al quale viene rivolto il consiglio di procurarsi e leggere il Contro Celso di Origene per i punti del trattato di Ierocle che non riguardavano il paragone Gesù-Apollonio. Eusebio si concentra soltanto su questo tema, lasciando però subito da parte l’Amico della verità, che viene trattato come un plagio dell’opera di Filostrato, per confutare soltanto questa punto per punto.
A una lettura superficiale o interessata – come quella dello stesso Eusebio – VA pare definire la figura dell’uomo divino50: la nascita accompagnata da segni prodigiosi e sogni; bellezza fisica non soggetta al decadimento; il regime di vita ascetico; l’abito particolare; i miracoli di guarigione; le folle che riconoscono in Apollonio un dio e che lo trattano di conseguenza. Sotto traccia, la VA si propone anche come godibilissima metafora del potere divinizzante della filosofia se trova lettori avvertiti e disposti a dare un giusto peso alle parole con cui Apollonio, durante il processo davanti al tiranno Domiziano, risponde alla domanda: «Perché gli uomini ti chiamano dio?», «Perché ogni uomo che è ritenuto buono ottiene il titolo di dio»51.
Eusebio, invece, accusa Filostrato di non aver saputo condurre uno studio rigoroso sulla storia di Apollonio, di ricorrere a «favole», di voler presentare il Tianeo «come un essere divino superiore a un filosofo, in una parola come un essere di natura sovrumana»52, come un «uomo divino»53. Anche se il filosofo pitagorico avesse compiuto qualche miracolo – afferma ancora Eusebio –, egli non potrebbe essere considerato divino come lo è Cristo, perché la dimostrazione della sua divinità non si fonda sui miracoli o per lo meno non soltanto su di essi. Il capitolo quarto è dedicato a illustrare i motivi per cui Cristo è superiore ad Apollonio: la sua venuta è stata annunciata da profeti ispirati dallo Spirito; ha convertito moltissimi attraverso il suo insegnamento e si è circondato di discepoli sinceri pronti a morire per lui; ha istituito un didaskaleion di vita temperante; ha salvato il mondo intero e ancora oggi conduce migliaia di uomini alla sua dottrina; grazie al suo potere divino e misterioso ha sconfitto i suoi nemici e persecutori, che in tempi diversi si sono levati contro di lui, facendo in modo che quanto insegnava prevalesse infine in tutto il mondo abitato; ancora oggi il suo nome scaccia i demoni che assalgono le anime e i corpi degli uomini54.
In Hierocl. 6, Eusebio chiarisce il fondamento teologico della sua critica alla concezione pagana del theios anher. L’universo – afferma Eusebio – è governato saggiamente dalla provvidenza con «leggi indissolubili e legami indistruttibili» che non possono essere trasgrediti da nessuno. È contro natura per un pesce vivere sulla terra o per un animale terrestre vivere nell’acqua o pretendere di volare; viceversa gli esseri che hanno le ali possono invece abbassarsi al suolo:
L’uomo sarà dunque saggio se muoverà il suo corpo sulla terra con i piedi che sono fatti a questo scopo e sosterrà invece la sua anima con l’educazione filosofica; egli potrebbe poi pregare affinché qualcuno gli venga in aiuto dall’alto, dalle dimore celesti, e gli si manifesti come un maestro di quella salvezza che viene di là [τῆς ἐκεῖσε διδάσκαλον αὐτῷ ϕανῆναι σωτηρίας]55.
Nella sua bontà, il «pilota dell’universo», che ha creato le anime immortali e dotate di libero arbitrio, elargirà in abbondanza i raggi di luce che emanano da lui:
Egli invierà i più vicini tra coloro che gli stanno intorno per salvare e sostenere gli uomini di quaggiù; e se uno di questi riuscisse bene, dopo aver purificato la sua mente e dissipato la nube della sua mortalità, costui potrà essere considerato veramente divino [θεῖος ἀληθῶς], recante nell’anima l’immagine di un grande dio. Certamente un tal personaggio stimolerà il genere umano e illuminerà più di un sole il genere umano, permettendo di vedere anche alle generazioni future l’opera della divinità eterna, offrendo un esempio della natura ispirata da Dio non inferiore alle sculture tratte dalla materia senza vita. In questo modo la natura umana può entrare in comunione con quella divina, ma altrimenti non le è possibile oltrepassare i suoi limiti, né con un corpo praticare l’arte degli uccelli, né, quando si è uomini, mescolarsi con le cose degli dèi56.
Manfred Kertsch57, che ha commentato dettagliatamente questo capitolo, ha dimostrato come Eusebio, nel linguaggio e nei contenuti, si muova lungo linee già tracciate da autori precedenti, pagani, ebrei, cristiani di tendenza platonica, non dicendo nulla di originale. Alla ricca messe dei riferimenti di Kertsch si può aggiungere di significativo solo il modo in cui Giamblico, un contemporaneo di Eusebio, nel De vita pythagorica raffigura Pitagora: rifiutando di accettare le tradizioni che lo ritenevano figlio del dio Apollo, afferma che la sua anima è stata inviata agli uomini per rivelare loro la filosofia e educare l’umanità58. Non si vuole qui stabilire un rapporto diretto fra i due testi, bensì soltanto sottolineare che essi, verosimilmente scritti nello stesso torno di tempo, rivelano una circolazione di idee e mezzi polemici che attraversano i diversi schieramenti, occupati dalle stesse questioni chiaramente connesse: chi può essere definito «divino» e come lo si può diventare. In Hierocl. 6 interessa in particolare sottolineare che gli uomini «veramente divini» non sono taumaturghi e operatori di prodigi, ma – in linea con l’ideale alessandrino della perfezione – sono individuati da cultura filosofica, ascesi, ispirazione divina, insegnamento. Eusebio, vedendo in questi uomini altrettanti διδάσκαλοι σωτηρίας59, sottolinea come loro caratteristica precipua la capacità di illuminare e beneficare l’umanità anche oltre il tempo della loro vita terrena. Sotto questo aspetto gli uomini «veramente» divini riproducono un tratto caratteristico di Cristo, come l’aveva descritto in Hierocl. 4. L’apologetica pagana e cristiana sugli uomini divini, l’interpretazione evemeristica di Gesù, l’ideale di perfezione colta e filosofica caratteristico della scuola alessandrina sono tutti elementi che Eusebio riceve dalla tradizione precedente; sua è l’impresa di tradurli in esempi viventi, in bioi appunto.
I capitoli dedicati a Origene nel sesto libro dell’h.e. sono stati molto studiati per la ricostruzione della figura storica di Origene, che Eusebio racconta sulla base di un’ampia documentazione, come già accennato, costituita dalle opere stesse di Origene, da un archivio di lettere scritte o ricevute da lui e da documenti di contemporanei del maestro alessandrino. Eusebio, tuttavia, stabilisce collegamenti fra gli eventi, li sceglie e li miscela in modo molto abile per disegnare un profilo di Origene che può essere studiato come espressione di un particolare momento dello sviluppo della biografia cristiana60.
Eusebio sapeva con certezza che Origene non era morto martire61 e tuttavia, con vari espedienti, pone il tema del martirio al centro della sua ricostruzione biografica. Come è stato notato62, il racconto comincia con la persecuzione di Settimio Severo e si conclude di fatto con quella di Decio, dal momento che la morte di Origene viene menzionata molto più avanti quasi di passaggio63. H.e. VI 1 si apre con la persecuzione di Settimio Severo e le vittime di essa, fra cui il padre di Origene; nel paragrafo successivo comincia il bios di Origene, che, però, entra in scena già adolescente, fra i diciassette e i diciotto anni, presentato come un giovane eroe ardente di desiderio di martirio, impaziente di gettarsi nella battaglia64; soltanto in un secondo tempo Eusebio tratta della sua educazione nelle scienze profane e nello studio della Scrittura65. Eusebio comprime nello stesso anno (202 d.C.) troppi avvenimenti: la morte del padre, la protezione di una ricca dama alessandrina che accoglie Origene orfano; l’apertura di una scuola di grammatica, la guida della scuola di catechesi, il successo di questa attività attestato dal numero degli allievi che subiscono il martirio66; tutto questo senza distinguere in modo chiaro tra i fatti avvenuti rispettivamente sotto i governatori Leto (200-203) e Aquila (206-211). Sul tema degli allievi martiri Eusebio ritorna ancora più avanti per sottolineare la premura e l’ardente desiderio di martirio dell’Alessandrino67. Nella stessa sezione vengono descritte le pratiche ascetiche di Origene. Un montaggio così compresso di eventi genera nei lettori l’idea che martirio, paideia, ascesi, studio della Scrittura, insegnamento, fossero in Origene realtà solidali, che si implicavano vicendevolmente costituendo un trascinante esempio di «vita filosofica»68.
In lui albergava fin dall’infanzia uno spirito divino69 e godeva di una particolare protezione da parte della provvidenza in vista dell’«utilità di un grandissimo numero di persone»70, come è dimostrato «dalla moltitudine di persone» che seguivano il suo insegnamento71; dalle «migliaia» che convertiva72, tra cui pagani che venivano « dalla cultura e dalla filosofia» e che ricevevano «nel profondo dell’anima la fede nella parola divina»73. Nei capitoli successivi Eusebio menziona numerosi casi specifici: il ricchissimo Ambrogio, distolto dall’eresia gnostica, che ne sostenne finanziariamente l’attività letteraria74; il legato d’Arabia Sesto Furnio Giuliano, che lo mandò a chiamare con tutti gli onori75; la madre dell’imperatore Mamea, che «considerò importante essere degnata di una sua visita»76; Giulio Africano, storico e letterato famoso, anch’egli legato alla corte77.
L’opheleia di Origene non si limitava al successo del suo insegnamento: i suoi scritti ne prolungavano l’effetto benefico per le generazioni future. Questo, bisogna precisarlo, non è affermato esplicitamente in h.e., ma è testimoniato dall’operato di Panfilo e dello stesso Eusebio, che ne era allievo e collaboratore; Panfilo, allievo a sua volta di un altro maestro della scuola alessandrina, Pierio, e presbitero della Chiesa di Cesarea, che si era dedicato a recuperare, ricopiare, catalogare l’immensa opera di Origene, che costituiva il nucleo più significativo della biblioteca di Cesarea78. Nell’h.e. Eusebio dà molto spazio agli scritti di Origene: gli Esapla e lo straordinario contributo dato alla filologia biblica, i Commenti alla Scrittura, l’Esortazione al martirio. Riserva invece soltanto un breve cenno al trattato Sui principi79, che conteneva le sue tesi più speculative e che era già al tempo di Eusebio l’opera sua più discussa e contestata80. Dalle parti del sesto libro dell’h.e. più chiaramente riconducibili alla lettera di autodifesa scritta dallo stesso Origene81 emerge la critica relativa al connubio troppo stretto fra cristianesimo e filosofia greca, e alla sua insubordinazione al vescovo. Eusebio fa sua l’autodifesa di Origene, l’arricchisce di altre testimonianze e, lasciando da parte gli aspetti dottrinali, sottolinea l’enorme contributo filologico dell’Alessandrino alla comprensione del testo scritturistico, e valorizza la cultura biblica come preponderante rispetto alla filosofia negli scritti e nella vita stessa di Origene; presenta sotto una luce sfavorevole il vescovo di Alessandria Demetrio, ‘nemico’ di Origene, e nello stesso tempo dà il massimo rilievo a tutti gli altri vescovi, che hanno mostrato di considerare Origene un maestro. Al di là del contesto immediato in cui maturano il sesto libro dell’h.e. e l’Apologia per Origene, interessa sottolineare come il maestro alessandrino emerga dalla pagina eusebiana quale vero «maestro di salvezza», benefattore dell’umanità che interpreta al meglio il modello del filosofo, che godeva di un enorme prestigio sociale nella società tardoantica82, e quello del martire, su cui si fonda il prestigio e l’invincibilità della Chiesa. In un certo senso, il martirio legittima il bios di Origene in un momento in cui proprio questo è oggetto di forti contestazioni, ma il suo pieno sviluppo letterario, accanto al racconto delle sofferenze subite, suggerisce che proprio quel bios è in grado di preparare l’individuo a realizzare l’ideale supremo.
Dall’elenco dei titoli dei capitoli del libro settimo della Praeparatio evangelica, titoli risalenti allo stesso Eusebio83, emerge fin da subito la distinzione fra il bios, come maniera di vivere84, e i bioi, gli scritti in cui Mosè ha lasciato come un «monumento indelebile» il ricordo dei progenitori. Aggiunge che Mosè ha voluto che nei suoi libri i bioi precedessero le «leggi divine», per dimostrare che una vita virtuosa fosse possibile: «Egli consegnò a coloro che si istruivano nelle cose divine i ritratti [εἰκόνας] di costoro; descrivendone le vite, egli raffigurava la virtù specifica di ciascuno come in un quadro [ἐν εἰκόνι]»85.
È già stata analizzata la densità di topoi e convenzioni presente in quest’affermazione: il racconto biografico come memoriale più duraturo della pietra è tema tradizionale utilizzato più volte anche da Eusebio; la rivalità fra immagine e scrittura nel restituire il ritratto di una persona è un altro topos86. Si è osservato inoltre che, se p.e. può essere considerata una biblioteca virtuale, questi ritratti potrebbero essere intesi come un sottile rimando all’uso classico e poi anche cristiano di esporre nelle biblioteche i ritratti dei grandi87. In questa sede interessa porre in luce due aspetti: sottolineando che i bioi dei saggi ebrei sono il degno proemio delle sacre Leggi, Eusebio rivela la stessa sensibilità che osserviamo nella tradizione platonica fra II e III secolo, che vuole un legame intimo fra vita e dottrina, un sodalizio fra bios e logos che, proprio in quella tradizione, si traduce letterariamente in opere come il De Platone et eius dogmate (che premette all’esposizione dei consulta platonici una Vita di Platone) e, contemporanee a Eusebio e certamente da lui conosciute88, le plotiniane Enneadi, pubblicate da Porfirio (che premette una Vita Plotini alla sua sistemazione dell’insegnamento del maestro). Eusebio fa un passo ulteriore: pone nella Scrittura il fondamento di questa prassi; lui, che a sua volta scrive bioi, vede in Mosè un modello illustre cui ispirarsi e da cui essere legittimato.
Il libro settimo percorre sinteticamente alcune figure bibliche, da Enos (Gen 4,26) fino a Giuseppe. Si tratta di una lettura molto selettiva, che intreccia al dato biblico la sua interpretazione – soprattutto filoniana, sebbene ricordata in modo parziale89. Si pensi soltanto ad alcuni esempi: di Enos, i LXX affermano «sperò di invocare il nome del Signore»; questo è sufficiente a portare Eusebio alla conclusione che Enos sia il primo uomo ad aver anteposto l’invocazione di Dio alla ricchezza, all’onore, al profitto; il primo uomo ad aver raggiunto con la ragione la conoscenza di Dio e ad averne iniziato il culto90. Enoch (Gen 5,22-24) era esaltato come profeta visionario dall’apocalittica giudaica e godeva di una particolare considerazione perché di lui, a differenza degli altri patriarchi, non viene menzionata la morte, ma soltanto il fatto che fu «preso» da Dio. Secondo il testo dei LXX, Enoch non fu trovato perché Dio l’aveva trasferito, ma per Eusebio, sulla scorta ancora di Filone, Enoch è figura del saggio che si sottrae alle occupazioni del mondo e alle frequentazioni rimanendo invisibile, introvabile per gli uomini ma non per Dio91. In questo senso il suo bios può essere proposto come esempio. Isacco è un esempio di sophrosyne perché ebbe soltanto una sposa e solo due figli92. Unicamente la vicenda di Giuseppe è ricordata in modo più ampio, perché consente a Eusebio – attraverso la storia della moglie di Potifar – di esaltare la continenza e le virtù, la pietà, la temperanza, la forza d’animo e la giustizia93. L’unico tratto di interesse in questi profili è che la ricostruzione di Eusebio, come al solito, ignora e mette in ombra gli elementi prodigiosi e miracolistici per sottolineare le virtù dell’anima di questi grandi personaggi dell’Antico Testamento.
Nel proemio di m.P., che possediamo soltanto nella traduzione siriaca, i martiri sono definiti come coloro che hanno amato il Salvatore più di se stessi e della propria vita; Eusebio intende descriverne le vittorie contro il peccato, celebrarne le lodi, non con un memoriale di pietra, ma attraverso il memoriale imperituro94 della parola veritiera di testimone oculare dei fatti, che i fedeli potranno tenere costantemente sotto gli occhi.
In una Chiesa in cui la minaccia della persecuzione appare definitivamente allontanata, porre l’accento sulle virtù e sul valore paradigmatico del martirio porta inevitabilmente a considerare la vita del martire in funzione del suo martirio: Procopio, il martire che apre la raccolta, «era un uomo veramente divino»95, perché fin dall’infanzia aveva esercitato un così stretto controllo sul corpo che la sua anima sembrava abitare in un corpo morto, ancor prima della morte. Pratiche ascetiche severissime, lo studio continuo della Scrittura, la mansuetudine, la pietà completano il medaglione biografico di questo lettore della Chiesa di Gerusalemme che subì il martirio a Cesarea Marittima96.
Il tema del martirio che coincide con una forma di vita che anticipa e prepara il martirio vero e proprio è pienamente sviluppato a proposito di Affiano e Panfilo, su cui possediamo, nella versione lunga, anche la tradizione greca. Per il primo, l’esposizione segue il modello, per così dire, di vita et passio. Il breve bios percorre i luoghi convenzionali97: la famiglia ricca di Gagae98 in Licia; gli studi a Berito; i suoi mores giovanili secondo il topos del puer/senex: il giovane – ricorda Eusebio – non aveva partecipato alle dissipatezze della vita studentesca e aveva coltivato la castità, la gravità, la pietà. La versione lunga, facendo riferimento alla filosofia innata su cui Affiano regolava la sua vita, è più ambigua di quella breve nell’affermare che la famiglia di Affiano era pagana e che lui non si avvicinò al cristianesimo prima di giungere a Cesarea. Dopo aver compiuto i suoi studi a Berito ritornò a casa, ma rifiutò una carriera secolare e la vita comune con il padre e la parentela e, guidato dallo spirito divino, di nascosto dai suoi, si diresse «verso la città di Cesarea, ove era stata preparata per lui la corona del martirio»99.
A Cesarea, Affiano vive con Panfilo ed Eusebio e «esercitandosi nelle parole divine con Panfilo»100, «si preparò con tutto il cuore al martirio attraverso gli opportuni esercizi»101. Affiano poi con un gesto clamoroso si fece catturare e patì coraggiosamente un lungo martirio descritto fin nei più atroci dettagli da Eusebio102. Un breve profilo di Panfilo si trova più avanti:
Costui era Panfilo, uomo realmente amato da Dio e, facendo onore al suo nome, veramente amico e cordiale con tutti. Era l’ornamento della Chiesa di Cesarea, perché, essendo sacerdote, celebrò la cattedra dei sacerdoti. Ornava il ministero di quella città e, nello stesso tempo, ne era ornato. Nel resto era veramente divino e partecipava a un’ispirazione divina, perché in tutta la sua vita si distinse in ogni virtù, essendosi accomiatato dalle mollezze e dalle ricchezze superflue consacrandosi al verbo di Dio con tutto se stesso. Respingendo le ricchezze che gli provenivano dalla famiglia distribuì tutto agli ignudi, agli storpi e ai poveri, condusse una vita in povertà, perseguendo la divina filosofia attraverso un’ascesi durissima. Proveniva dalla città di Berito nelle cui scuole fu allevato nella sua prima età; quando la ragione raggiunse in lui una completa maturazione, si allontanò dai suoi studi per dedicarsi alla scienza delle parole divine e adottò un modo di vita profetico e divino: si presentava come un vero martire di Dio, prima della fine estrema della vita103.
In questo passo, in estrema sintesi, troviamo tutti i tratti essenziali del modello di santità eusebiano: possesso della paideia, ascesi, rapporto con lo spirito, studio intensivo della Scrittura, martirio.
Sostenendo che già un particolare genere di bios poteva considerarsi un martirio, Eusebio non dice qualche cosa di assolutamente nuovo: già Clemente Alessandrino nel secolo precedente aveva sostenuto che «ogni anima che abbia esercitato la propria condotta di vita in purezza e con conoscenza di Dio, e abbia ubbidito ai comandamenti, è martire con la vita e con la parola in qualunque modo si allontani dalla vita, versando quale sangue la fede per tutta la vita e soprattutto nella morte»104; nuovo è l’aver utilizzato quest’idea come chiave interpretativa di un bios: in questo modo il martire che Panfilo era stato puntellava e valorizzava il Panfilo uomo di cultura, esegeta e teologo che nell’Apologia per Origene ci appare invece in difficoltà nella sua stessa Chiesa.
Eusebio, mezzo secolo prima di Atanasio, getta le basi per l’allargamento del modello martiriale all’ideale ascetico, che sta alla base di tanta scrittura agiografica a partire dalla seconda metà del IV secolo105.
Nell’espressione «veramente divino» sopravvive forse una traccia della polemica con gli uomini divini del paganesimo; diversamente da questi e, del resto come nel caso di Origene e dei bioi dei Patriarchi, Panfilo non è un taumaturgo né in vita né in morte: Eusebio riflette un particolare momento dello sviluppo del culto dei martiri in cui il corpo come reliquia non ha quasi nessun ruolo; questo non significa che i suoi uomini divini non abbiano un rapporto particolare con il sacro: come Origene e Affiano, anche Panfilo «partecipava ad un’ispirazione divina»106 ed era «diretto dalla potenza divina» durante il martirio107; Porfirio, anch’egli presentato come discepolo di Panfilo all’interno di un medaglione biografico, affronta il martirio «riempito dallo Spirito divino»108. Se la passio è descritta distesamente con la solita panoplia di torture efferate, i cenni alla vita ci fanno capire in che modo Eusebio riesca a modellare con pochi tratti su questo schiavo appena adolescente, esperto di tachigrafia, la maschera del filosofo martire: «Rivestito alla foggia di un filosofo soltanto con un mantello che lo avvolgeva a mo’ di tunica, ragionando con calma dava disposizioni a gesti a quelli che lo conoscevano bene e, fino sul tavolato del rogo, manteneva un aspetto radioso»109.
Eusebio, abile nel trarre vantaggio dall’ambiguità implicita nel fatto che il mantello corto poteva essere nello stesso tempo l’abito povero dello schiavo e l’abito volutamente sobrio del filosofo, poteva ben dire che Porfirio portava un abito da filosofo. Il fatto di indossarlo senza la tunica era indice di povertà, ma poteva anche alludere a uno stile di vita severo e ricordare il precedente illustre di Socrate110. Con la luminosità del volto111, anche questo un tratto topico del filosofo tardoantico, Eusebio accenna alla presenza del divino in lui112. Il giovanetto poi, come novello Socrate, affronta la morte con distacco attorniato dai suoi amici cui, nell’ora estrema, impartisce le sue ultime disposizioni.
Averil Cameron concludeva il suo saggio113 affermando che la v.C. è principalmente apologetica e deve essere letta nel contesto della situazione creatasi all’indomani della morte di Costantino: mentre si sta riaprendo il caso di Marcello e di Atanasio, con questo scritto Eusebio tenta di presentare la teologia ariana come un insegnamento accettato dalla Chiesa e di sottolineare il cambio di opinione dell’ultimo Costantino (che era stato battezzato dall’ariano Eusebio di Nicomedia114), esortando gli eredi a proseguire sulla stessa strada. Costantino è presentato come «holy man» oggetto di un particolare favore da parte di Dio; destinatario di segni divini, supera con successo una serie di prove e infine viene accolto in cielo e protegge le future generazioni. In ambedue i contributi Cameron stabilisce una lunga serie di corrispondenze fra v.C. e la Vita di Antonio di Atanasio, «usually seen as the first real saint’s life», proprio per rafforzare la sua tesi, secondo cui in v.C. Eusebio tratteggia «a prototypical saint’s life»115, impresa che a suo avviso, sulla scorta dei lavori di Patricia Cox, trova un precedente nel bios di Origene nel sesto libro di h.e., dove il maestro alessandrino sarebbe stato presentato «as a Hellenistic divine man and sage»116. La mia tesi è, invece, che il bios di Origene esprime una consapevole reazione all’uomo divino ellenistico come lo stesso Eusebio lo conosceva e definiva a partire dalla Vita di Apollonio di Tiana, distaccandosene sotto due aspetti essenziali: l’esaltazione del martirio e il rifiuto del taumaturgico, e questo alla luce di una visione complessiva di che cosa significhi essere «veramente divini» in senso cristiano, visione che in modo coerente si manifesta nei bioi eusebiani fin qui analizzati e che ora occorre dimostrare essere presente anche in v.C.117
Fin dalla prefazione della v.C., Eusebio definisce Costantino e la propria opera in modo da fornire sia il principio ordinatore del suo racconto, sia i suoi ‘precedenti’ letterari. A differenza di coloro che non hanno nessuna speranza di altri beni oltre la vita mortale – egli afferma – e che per questo si illudono di conseguire l’immortalità dedicando ai defunti immagini, statue ed epigrafi, Dio riserva τοῖς εὐσεβείας ἐρασταῖς beni terreni che costituiscono un’anticipazione dei beni immortali futuri:
Questo attestano le vite di uomini cari a Dio [βίοι θεοϕιλῶν ἀνδρῶν] che molto tempo fa rifulsero di ogni virtù e di cui ancora oggi i posteri hanno ricordo; anche la nostra epoca – nella quale Costantino, unico fra quanti mai ebbero il supremo potere dell’Impero romano, fu amico di Dio sovrano dell’universo [θεῷ τῷ παμβασιλεῖ [...] γεγονὼς ϕίλος] e fu per tutti gli uomini un luminoso esempio di vita religiosa e pia [ἐναργὲς ἅπασιν ἀνθρώποις παράδειγμα θεοσεβοῦς κατέστη βίου] – dimostra che questa è la verità118.
Così Eusebio riconnette Costantino e l’opera che ne racconta la vita con i bioi dei pii ebrei da Enos a Mosè (nel duplice senso di vita e Vitae) cui ha dedicato il settimo libro della p.e. Coerentemente con tale impostazione, v.C. sviluppa in modo approfondito il parallelismo fra Costantino e Mosè119. Nello stesso tempo, però, Eusebio prende le distanze da quegli scrittori che, spinti dall’adulazione e dall’odio, si dedicarono a scrivere «vite e opere» di uomini ignobili come i tiranni, fra cui Eusebio ricorda Nerone, in una «quantità enorme di libri di storia», rendendosi maestri di azioni non virtuose e degne, invece, di essere taciute120. Per questo Eusebio, per cui l’istoria deve avere un carattere edificante, dice di avere come unico scopo quello di narrare «gli eventi che sono attinenti alla vita religiosa [τὰ πρὸς τὸν θεοϕιλῆ συντείνοντα βίον]» ed essendo questi ancora troppo numerosi intende scegliere «i più adatti e i più degni di rimanere vivi nel ricordo dei posteri [τὰ καιριώτατα καὶ τοῖς μεθ᾽ ἡμᾶς ἀξιομνημόνευτα τῶν εἰς ἡμᾶς ἐλθόντων ἀναλεξάμενος]»121. Senza soluzione di continuità, dunque, Eusebio inserisce Costantino nella successione degli uomini εὐσεβεῖς e amici di Dio, presentando Costantino come novello Mosè, ma arricchendolo anche di altri tratti dell’uomo – secondo lui – «veramente divino».
Già negli ultimi libri dell’h.e., l’imperatore appare sulla scena accompagnato dall’epiteto εὐσεβέστατος122; il tema dell’eusebeia di Costantino è centrale anche nel Discorso per il trentennale123. Nel linguaggio eusebiano i termini εὐσεβής, εὐσέβεια sono quasi sempre accompagnati da espressioni che ne fanno specificamente una qualità cristiana: l’εὐσέβεια nei confronti del Dio dell’universo124 o dell’unico Dio125, in contesti spesso martirologici, per cui i martiri sono «atleti» dell’εὐσέβεια126 o combattenti per l’εὐσέβεια127; un’εὐσέβεια che si esprime con παρρεσία, la libertà di linguaggio cristiana, attraverso la confessione di fede128. In quanto combatte per la sua fede e confessa l’unico Dio, il martire è εὐσεβής129 e, per questo, anche «amico di Dio»130: lo ama ed è da lui riamato. Questo amore di Dio è il fondamento della vittoria dei martiri sui loro nemici131. Sullo sfondo della complementarietà dei concetti di amore per Dio, amico di Dio, martire, ci sono sicuramente le parole evangeliche di Gv 15,13-14, tuttavia vale la pena di ricordare che è la tradizione alessandrina ad aver valorizzato di più – anche in senso martirologico – il titolo di ‘amico di Dio’ come punto di arrivo di un processo di perfezione132.
Nel linguaggio eusebiano, εὐσεβής ha dunque una coloritura pugnace, esprime la qualità del cristiano militante il quale ne dà prova in un contesto di lotta e di affermazione contro i nemici della sua fede e che, per questo, stabilisce un rapporto particolare con Dio. Lo stesso termine applicato così frequentemente a Costantino riverbera sulla figura imperiale una stilizzazione martirologica, come appare particolarmente evidente nella prefazione: Costantino è «un luminoso esempio di vita religiosa e pia»133; è «maestro esemplare di pietà religiosa»134; ha annientato i tiranni:
Perché Dio, che è uno e solo, munì di armi divine il suo servo, unico contro molti, liberò per mezzo suo la vita umana e fece di Costantino un maestro della fede verso di Lui, un maestro che a gran voce testimoniò agli orecchi di tutti di conoscere il vero Dio [εὐσεβείας εἰς αὐτὸν διδάσκαλον πᾶσιν ἔθνεσι κατεστήσατο, μεγάλῃ βοῇ ταῖς πάντων ἀκοαῖς μαρτυρόμενον τὸν ὄντα θεὸν εἰδέναι] e di detestare l’errore delle false divinità135.
Il valore martiriale delle imprese di Costantino è sottolineato anche più avanti, ove si descrive l’iscrizione che Costantino fece incidere sul vessillo cruciforme accanto alla sua statua collocata nel foro: dopo averla riportata, Eusebio commenta: «Questo fu il modo in cui l’imperatore caro a Dio [ὁ θεοϕιλὴς βασιλεύς] illuminato dalla confessione [ὁμολογίᾳ] nella croce vittoriosa faceva conoscere con piena libertà [παρρησίᾳ] il figlio di Dio ai Romani»136.
Μαρτυρέω, ὁμολογία, παρρεσία, μεγάλη βοή sono tutte espressioni evocative del ruolo apostolico, profetico e ‘martiriale’ in senso lato dell’imperatore di cui è fortemente sottolineato anche il ruolo didascalico nei confronti dei popoli: «Ed egli con voce imperiale “annunziò il proprio Dio in piena libertà” [At 4,29; 28,31] anche a queste genti lontane»137. Costantino come διδάσκαλος τῆς εὐσεβείας era un tema già sfruttato nel discorso per il trentennale138 per esaltare il carattere universale dei benefici del suo operato a favore della fede.
Eusebio, insomma, vede in Costantino uno di quei διδάσκαλοι di salvezza descritti nel Contro Ierocle, che Dio di tanto in tanto invia agli uomini per la loro salvezza; come costoro si distinguevano per il fatto di ripetere – a un grado diverso di intensità – alcuni tratti caratteristici che individuano la divinità di Cristo, così avviene per Costantino. Il tema era affrontato esplicitamente nel Discorso per il Trentennale139: come il Salvatore ‘buon pastore’ tiene lontane le fiere dal suo gregge e doma le potenze ribelli, così il sovrano soggioga con il sostegno divino gli oppositori manifesti della verità; come il Logos rende razionali i suoi seguaci, così il sovrano «a lui amico» chiama tutto il genere umano alla conoscenza di Dio «gridando a gran voce alle orecchie di tutti e proclamando le leggi della vera pietà [εὐσέβεια] a ognuno sulla terra». In v.C. questa rimane una chiave importante per rappresentare l’intero operato di Costantino e il suo ruolo di maestro di salvezza nei confronti degli uomini: attraverso la retorica della sua lotta contro i «i tiranni» o gli altri nemici della fede o i demoni stessi – tratto adombrato dai suoi provvedimenti contro i culti pagani –, come araldo della fede presso gli altri popoli o come «sole» che, a similitudine di Cristo sol iustitiae, illumina e feconda il mondo: «Come il sole che sorge sulla terra e dona copiosamente a tutti gli uomini lo splendore della sua luce, così anche Costantino, quasi levandosi in perfetta sincronia con l’astro celeste, al sorgere del sole appariva davanti al palazzo imperiale e illuminava con i raggi splendenti della sua virtù e probità tutti coloro che si presentavano al suo cospetto»140.
Costantino non manca, inoltre, delle altre qualità che caratterizzano – nella visione eusebiana – gli uomini veramente divini. Egli possedeva un’approfondita cultura retorica141, che si manifestava in un’intensa attività di composizione di lettere e di discorsi di argomento teologico che venivano letti in pubblico142. Eusebio insiste molto sulla sua conoscenza approfondita della Scrittura143. Tema specifico, che meriterebbe forse un approfondimento a parte, è il tema del sovrano in preghiera144, poco rilevato negli altri bioi eusebiani.
Sempre in linea con il rifiuto eusebiano dell’‘uomo divino’ pagano segnalato dalla capacità di compiere miracoli, neppure Costantino ne compie, sebbene Eusebio sostenga che i θαύματα che lo riguardano siano più grandi di quelli di Mosè che «molti», cioè i pagani, ritengono μῦθοι. Tuttavia, i θαύματα cui Eusebio si riferisce riguardano gli avvenimenti che in un breve volgere di anni avevano cambiato la situazione dei cristiani, avvenimenti interpretati alla luce dell’intervento provvidenzialistico divino145. Analizzando più in dettaglio quali ‘miracoli’ riguardino Costantino, essi consistono soltanto nell’amplificazione o variazione del tema dello specialissimo rapporto con lo Spirito. Già nella prima fanciullezza un’ispirazione divina gli suggerisce un comportamento cristiano ancor prima che abbia abbracciato questa religione; un’altra ispirazione lo salva da una congiura di palazzo; a ciò si aggiunge la famosa visione del «segno luminoso della croce» accompagnato dall’iscrizione «Con questo vinci». In generale tutta la vita di Costantino è costellata da rivelazioni e visioni che lo sostengono in momenti decisivi per l’Impero e la Chiesa146.
Sebbene non immediatamente visibile per le caratteristiche intrinseche al dossier di testi, il contributo di Eusebio allo sviluppo della biografia cristiana è stato notevole; il vescovo di Cesarea è stato il primo a cogliere tutte le potenzialità di un bios cristiano nell’arena del confronto con il paganesimo colto di impronta platonica, un ambiente da cui provenivano le critiche più documentate e pericolose per il cristianesimo, e che puntava molto sulle Vitae philosophorum per attirare interesse e consenso riguardo alle loro dottrine. Ad un theios aner di grande successo quale era Apollonio di Tiana, Eusebio contrappone l’uomo «veramente» divino cristiano: uomo colto, studioso della Scrittura, asceta e martire. Vede in lui un inviato della provvidenza divina per educare, illuminare, convertire e quindi salvare il genere umano; imitatore di Cristo relativamente a quell’aspetto che nell’apologetica, di impronta origeniana era molto valorizzato, per distinguerlo dagli altri uomini divini che gli venivano contrapposti. La ricerca ha messo in luce anche la continuità con cui questo modello è stato applicato per raccontare i diversi personaggi storici: da Origene fino – non senza qualche forzatura – all’imperatore Costantino. In effetti, l’interesse di Eusebio per i bioi degli uomini pii è radicato nel suo impegno costante per l’apologetica traendo dalla grande apologetica alessandrina le proprie idee guida: l’interpretazione evemeristica di Gesù, da Eusebio estesa anche agli uomini divini; il rifiuto per costoro della taumaturgia; il tema del martirio prima del martirio, un’idea, per così dire, dal grande futuro. La valorizzazione dell’Eusebio biografo, infine, probabilmente aiuterà a ripensare il paradigma ancora troppo spesso condiviso che vede nella Vita di Antonio l’inizio della biografia cristiana e che poi, a partire proprio dal testo di Atanasio, crede di poterne definire i tratti specifici147.
1 Sono le ripartizioni classiche di ogni presentazione dell’autore cristiano: cfr. da ultimo S. Morlet, Eusèbe de Césarée: biographie, chronologie, profil intellectuel, in Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique. Commentaire, I, Études d’introductions, éd. par S. Morlet, L. Perrone, Paris 2012, pp. 1-31, con una bibliografia aggiornata sui diversi aspetti.
2 P.L. Cox, Biography in Late Antiquity. A Quest for the Holy Man, Berkeley-Los Angeles-London 1983; A. Dihle, Die Entstehung der historischen Biographie, Heidelberg 1987; Av. Cameron, Eusebius’ «Vita Constantini» and the Construction of Constantine, in Portraits. Biographical Representation in the Greek and Latin Literature of the Roman Empire, ed. by M.J. Edwards, S. Swain, Oxford 1997, pp. 145-174; Id., Form and Meaning. The «Vita Constantini» and the «Vita Antonii», in Greek Biography and Panegyric in Late Antiquity, ed. by T. Hägg, P. Rousseau, Berkeley 2000, pp. 72-88; A. Monaci Castagno, Pagani e cristiani nello specchio della biografia, in La biografia di Origene fra storia e agiografia, Atti del VI convegno di studi del Gruppo italiano di ricerca su Origene e la tradizione alessandrina (Torino 11-13 settembre 2002), a cura di A. Monaci Castagno, Villa Verucchio 2004, pp. 51-109.
3 Pamphile, Eusèbe de Césarée, Apologie pour Origène suivi de Rufin d’Aquilée, Sur la falsification des livres d’Origène, éd. par R. Amacker, É. Junod, Paris 2002.
4 Per tutte le fonti relative alla ricostruzione della vita di Origene: P. Nautin, Origène: sa vie et son œuvre, Paris 1977; E. Norelli, Origene, in Origene. Dizionario. La cultura, il pensiero, le opere, a cura di A. Monaci Castagno, Roma 2000, pp. 293-302.
5 Sull’intricata questione delle edizioni/revisioni dell’h.e., cfr. É. Junod, L’Apologie pour Origène de Pamphile et Eusèbe et les développements sur Origène dans le livre VI de l’Histoire ecclésiastique, in La biografia, cit., pp. 183-200.
6 Eus., h.e. VI 32,3. La traduzione, con qualche modifica, è quella di F. Migliore, Roma 2001.
7 «᾽Επ᾽ ἰδίας τῆς τοῦ κατ᾽ αὐτὸν ὑποθέσεως βίου γραϕῇ ἐν τρισὶν ἤδη πρότερον ὑπομνήμασι παραδεδώκαμεν». L’edizione qui citata è in: Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique, 4 voll., éd. par G. Bardy, III, Paris 19672; anche per tale rimando ad altra sua opera vale l’osservazione di nota 5.
8 Hier., vir. ill. 3,81; per l’edizione e la traduzione qui usata, cfr. Girolamo, Gli uomini illustri, a cura di A. Ceresa-Gastaldo, Firenze 1988.
9 Hier., Adv. Rufin. I 9 (per il testo cfr. l’edizione di P. Lardet, SC 303, Paris 1983; per la traduzione cfr. M.E. Bottecchia Dehò, Roma 2009). Naturalmente è strano che Eusebio non faccia menzione di quei libri dell’Apologia per Origene che egli aveva già scritto insieme a Panfilo. Forse intendeva riferirsi a opere di cui Panfilo fosse stato l’unico autore. D’altro canto, la citazione da parte di Girolamo non è disinteressata, in quanto inserita in un contesto dove egli si picca di dimostrare che l’Apologia è opera del solo Eusebio. Qualche anno prima (393) che si scatenasse la controversia origenista, Girolamo, nella notizia dedicata a Panfilo, afferma: «Scripsit, antequam Eusebius scriberet, Apologeticum pro Origene» (Hier., vir. ill. 75); sull’intricata questione, cfr. É. Junod, L’auteur de l’Apologie pour Origène traduite par Rufin. Les témoignages contradictoires de Rufin et de Jérôme à propos de Pamphile et d’Eusèbe, in Recherches et traditions. Mélanges patristiques offerts à Henri Crouzel, éd. par A. Dupleix, Paris 1992, pp. 165-179.
10 Eus., h.e. I 1.
11 Eus., h.e. VI 2,1.
12 Plb., X 21,8.
13 A. Momigliano, Storiografia pagana e cristiana nel secolo IV d.C., in Id., Il conflitto fra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Torino 1968, pp. 91-110, in partic. 103.
14 D. Timpe, Che cos’è la storia della Chiesa? La Historia ecclesiastica di Eusebio, in Lo spazio letterario della Grecia antica, II, La ricezione e l’attualizzazione del testo, a cura di G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza, Roma 1995, pp. 389-435.
15 L’edizione qui citata è in: Eusèbe de Césarée, Histoire ecclésiastique, III, Livres VIII-X et Les Martyrs en Palestine, éd. par G. Bardy (SC 55), Paris 19672.
16 History of the Martyrs in Palestine. By Eusebius, Bishop of Caesarea, Discovered in a Very Ancient Manuscript, ed. by W. Cureton, London 1861; per una traduzione tedesca con sinossi con i frammenti greci, cfr. Die palästinischen Märtyrer des Eusebius von Cäsarea. Ihre ausführlichere Fassung und deren Verhältnis zur Kürzeren, hrsg. von B. Violet, Leipzig 1896.
17 H. Delehaye, Eusebii Caesariensis De martyribus Palaestinae longioris libelli fragmenta, in Analecta Bollandiana 16 (1897), pp. 113-139. I frammenti provengono dai menologi e l’edizione del loro testo greco è riprodotta in quelle dell’h.e. di Eduard Schwartz, Leipzig 1908, e di G. Bardy (cit. supra, nota 15). Sui rapporti che intercorrono fra le due versioni e fra m.P. b. e h.e. VIII esiste un dibattito storiografico ormai più che secolare, finalizzato alla definizione delle diverse ‘edizioni’ dell’h.e.: si vedano ora Histoire ecclésiastique, cit.: V. Neri, Les éditions de l’Histoire ecclésiastique (livres VIII-IX): bilan critique et perspectives de la recherche, ivi, pp. 155-164, e M. Cassin, M. Debié, M.-Y. Perin, La question des éditions de l’Histoire ecclésiastique et le livre X, ivi, pp. 185-206, con ampia trattazione alla discussione precedente. Per una posizione diversa rispetto a quella di Neri in merito al rapporto tra le due versioni di m.P. cfr. T.D. Barnes, Early Christian Hagiography and Roman History, Tübingen 2010, pp. 387-392.
18 Ci si rifà, in questa sede, alla datazione di S. Morlet, Eusèbe de Césarée, cit., p. 13. L’edizione di riferimento è Eusèbe de Césarée, La Préparation évangélique, éd. par G. Schroeder, É. des Places, J. Sirinelli et al. (SC 206; 215; 228; 262; 266; 292; 307; 338; 369), 9 voll., Paris 1974-1991. Su Eusebio apologista, si veda: Three Greek Apologists. Drei griechische Apologeten: Origen, Eusebius, and Athanasius. Origenes, Eusebius und Athanasius, ed. by/hrsg. von A.-C. Jacobsen, J. Ulrich, Frankfurt a.M. 2008.
19 Sulla vita di Costantino, a cura di L. Tartaglia, Napoli 20012, pp. 13-21; Eusebius, Life of Constantine, ed. by Av. Cameron, S.J. Hall, Oxford 1999; A. Wilson, Biographical Models: The Constantine Period and Beyond, in Constantine: History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London-New York 1998, p. 107-135; cfr. supra note 1 e 2.
20 Cfr. il contributo di D. Dainese, Le Laudes e la Vita Constantini in questa stessa opera.
21 F. Winkelmann, Zur Geschichte des Authentizitätsproblems der Vita Constantini, in Klio, 40 (1962), pp. 187-243.
22 G. Pasquali, Die Composition der Vita Constantini des Eusebius, in Hermes, 45 (1910), pp. 369-386.
23 T.D. Barnes, Panegyric, History ad Hagiography in Eusebius’ Life of Constantine, in The Making of Orthodoxy: Essays in Honour of Henry Chadwick, ed. by R. Williams, Cambridge 1989, pp. 94-123, e T.D. Barnes, The Two Drafts of Eusebius’ Life of Constantine, in Id., From Eusebius to Augustine, Aldershot 1994, pp. 1-11.
24 T.D. Barnes, Panegyric, cit., p. 110.
25 Eus., v.C. I 10,2; I 11,1.
26 Sull’interpretazione di questo titolo, cfr. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, a cura di D. Del Corno, Milano 1978, p. 27.
27 T.D. Barnes, Panegyric, cit., p. 103.
28 Philostr., VA I 9,1.
29 Eus., v.C. III 24,2; III 51,5.
30 F. Leo, Die griechisch-römische Biographie nach ihrer litterarischen Form, Leipzig 1901, pp. 311-313.
31 Sulla vita di Costantino, a cura di L. Tartaglia, cit., pp. 9-11.
32 Av. Cameron, Eusebius, cit., p. 145.
33 Ivi, p. 150.
34 Ivi, pp. 150-151.
35 Aspetto studiato da Ch.H. Talbert, Biographies of Philosophers and Rulers as Instruments of Religious Propaganda in Mediterranean Antiquity, in ANRW II,16,2, pp. 1619-1651.
36 S.C.R. Swain, Biography and Biographic in the Literature of the Roman Empire, in Portraits. Biographical Representation in the Greek and Latin Literature of the Roman Empire, ed. by M.J. Edwars, S. Swain, Oxford 1997, pp. 1-37; nella stessa miscellanea cfr. anche M.J. Edwards, Epilogue, ivi, pp. 227-234.
37 E.V. Gallagher, Divine Man or magician?: Celsus and Origen on Jesus, Chico (CA) 1982. Status quaestionis e aggiornamenti bibliografici: F. Mosetto, Miracoli, e A. Monaci Castagno, Magia, in Origene. Dizionario. La cultura, il pensiero, le opere, a cura di A. Monaci Castagno, Roma 2000, rispettivamente pp. 283-286 e pp. 253-256.
38 Or., Cels. I 29.
39 Or., Cels. I 33.
40 H.Y. Gamble, Euhemerism and Christology in Origen: Contra Celsum III, 22-43, in Vigiliae Christianae, 33 (1979), pp. 12-29.
41 Or., Cels. I 33; Cels. III 27-31.
42 Eus., p.e. II 2,52-61; VII 2,2; sul tema dei miracoli in Eusebio e sul suo debito nei confronti di Origene: A. Kofsky, Eusebius of Caesarea against Paganism, Leiden-Boston-Koln 2003, pp. 130-132; A.J. Carriker, The Library of Eusebius of Caesarea, Leiden-Boston 2003, pp. 165-214.
43 A. Kofsky, Eusebius of Caesarea, cit., pp. 130-132; A.J. Carriker, The Library, cit., pp. 145-147.
44 Sulla figura storica di Apollonio, filosofo vissuto nel I secolo d.C., si sa pochissimo. Si vedano, in ogni caso: E.L. Bowie, Apollonius of Tyana: Tradition and Reality, in ANRW II,16,2, pp. 1652-1699 (con bibliografia e status quaestionis); M. Dzielska, Apollonius of Tyana in Legend and History, Roma 1986.
45 W. Speyer, Zum Bild des Apollonios von Tyana bei Heiden und Christen, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 17 (1974), pp. 47-63.
46 A.H. Sev. Al. XXXIX 2.
47 In uno scritto composto fra il 272 e il 300, sul cui titolo tradizionale Contro i cristiani sono stati sollevati dubbi si veda cit., status quaestionis in A.J. Carriker, The Library, cit., pp. 120-121; A. Kofsky, Eusebius of Caesarea, cit., p. 60.
48 Il riferimento più esplicito in Eus., h.e. VI 19,9.
49 Eusèbe de Césarée, Contre Hiéroclès, éd. par M. Forrat, E. des Places, Paris 1986; la traduzione qui seguita, pur con le modifiche necessarie, è reperibile in Contro Ierocle, a cura di A. Traverso, Roma 1997; A. Mendelson, Eusebius and the Posthumous Career of Apollonius of Thyana, in Eusebius, Christianity and Judaism, ed. by H.W. Attridge, G. Hata, Detroit-Leiden 1992, pp. 510-522.
50 Un’utile raccolta di materiali che va dal II secolo a.C. al V d.C. è costituita ancora da L. Bieler, θειοσ ανηρ. Das Bild des “göttlichen Menschen” in Spätantike und Frühchristentum, 2 voll., Wien 1935-1936; D.S. du Toit, Theios Anthropos. Zur Verwendung von theios anthropos und sinnverwandten Ausdrücken in der Literatur der Kaiserzeit, Tübingen 1997, introduce una periodizzazione nell’utilizzo e nel significato di quella espressione; relativamente ad Apollonio: Ph. Hanus, Rôle des ensembles spatio-temporels dans la structuration d’une figure de l’homme divin. L’exemple de la Vie d’Apollonios de Tyane, in Filosofia, storia, immaginario mitologico, a cura di M. Guglielmo, G.F. Gianotti, Torino 1997, pp. 181-193; Id., Apollonios de Tyane et la tradition du “theios aner”, in Dialogues d’histoire ancienne, 24 (1998), pp. 200-231, in partic. 229.
51 Philostr., VA IV 45.
52 Eus., Hierocl. 7 (Eusèbe de Césarée, Contre Hiéroclès, cit., p. 116,2).
53 Eus., Hierocl. 68 (Eusèbe de Césarée, Contre Hiéroclès, cit., p. 118,1).
54 Possibile allusione agli esorcismi battesimali; tutti questi argomenti sono ripetuti in l.C. 17,13-14.
55 Eus., Hierocl. 6 (Eusèbe de Césarée, Contre Hiéroclès, cit., p. 112,26-30).
56 Ibidem.
57 M. Kertsch, Traditionelle Rhetorik und Philosophie in Eusebius’ Antirrhetikos gegen Hierokles, in Vigiliae Christianae, 34 (1980), pp. 145-171.
58 Iamb., VP 2,9; 6,31-32; si veda, più in dettaglio: A. Monaci Castagno, L’agiografia cristiana antica. Testi, contesti, pubblico, Brescia 2010, pp. 108-109.
59 Eus., Hierocl. 6 (Eusèbe de Césarée, Contre Hiéroclès, cit. p. 112,29).
60 Da questo punto di vista cfr. R.M. Grant, Eusebius and his Lives of Origen, in Forma futuri. Studi in onore del Cardinale Michele Pellegrino, Torino 1975, pp. 635-649, che indica come modello Philostr., VA; in seguito P.L. Cox, Biography, la accosta alla Vita di Plotino di Porfirio, ritenendo ambedue i testi espressioni della tipologia dell’uomo divino; A. Dihle, Die Entstehung, p. 77, considera la Vita Origenis una biografia storica, distinta dalla biografia letteraria, perché intende offrire attraverso il racconto della vita di un individuo la descrizione di un periodo storico; si sono commentate e criticate più distesamente queste interpretazioni in A. Monaci Castagno, Pagani, cit., pp. 55-64.
61 Eusebio conosceva lettere di Origene scritte dopo le torture subite durante la persecuzione di Decio: h.e. VI 39,5; le aveva conosciute dopo aver fatto una prima stesura del libro sesto o prima? Sull’intricata questione cfr. le posizioni di P. Nautin, Origène, cit., p. 97; e di R.M. Grant, Eusebius, cit., pp. 78-79, che affermano che Eusebio scrisse h.e. VI prima di sapere che Origene era sopravvissuto alle torture subite durante la persecuzione di Decio; di diverso avviso e con argomenti fondati: É. Junod, L’Apologie, cit., pp. 197-198; C. Mazzucco, Il modello martiriale nella “Vita di Origene” di Eusebio, in La biografia, cit., pp. 214-217, in cui si afferma che h.e. VI 39,5 non reca traccia di un riferimento alla morte di Origene, che sarebbe stato poi malamente adattato durante un’eventuale revisione eusebiana di questo passo.
62 C. Mazzucco, Il modello martiriale, cit., pp. 221-222.
63 Eus., h.e. VII 1.
64 Eus., h.e. VI 2,3.
65 Eus., h.e. VI 2,7.
66 Eus., h.e. VI 3,2.
67 Eus., h.e. VI 4,1-3.
68 Eus., h.e. VI 3,13.
69 Eus., h.e. VI 2,11. Sugli episodi dell’infanzia di Origene e sul loro debito riguardo ai topoi del genere, si veda E. Norelli, Il VI libro dell’Historia ecclesiastica. Appunti di storia della redazione: il caso dell’infanzia e dell’adolescenza di Origene, in La biografia, cit., pp. 147-181.
70 Eus., h.e. VI 2,4.
71 Eus., h.e. VI 3,5.
72 Eus., h.e. VI 3,7; 13
73 Eus., h.e. VI 3,13; 18,2; 30.
74 Eus., h.e. VI 18,1.
75 Eus., h.e. VI 19,15.
76 Eus., h.e. VI 21,3.
77 Eus., h.e. VI 31,1.
78 Solo per citare i contributi più recenti: A.J. Carriker, The Library, cit., pp. 1-36; A. Grafton, Christianity and the Transformation of the Book. Origen, Eusebius, and the Library of Caesarea, Cambridge (MA)-London 2006; A. Le Boulluec, D’Origène à Eusèbe: bibliothèque et enseignement à Césarée de Palestine, in L’enseignement supérieur dans les mondes antiques et médiévaux, éd. par H. Hugonnard-Roche, Paris 2009, pp. 239-261; S. Morlet, La formation d’une identité intellectuelle et son cadre scolaire: Eusèbe de Césarée à l’«école» de Pamphile, in Adamantius, 17 (2011), pp. 208-219.
79 Eus., h.e. VI 24,3.
80 E. Prinzivalli, I conflitti intorno all’eredità di Origene fra III e IV secolo, in Id., Magister ecclesiae. Il dibattito su Origene fra III e IV secolo, Roma 2002, pp. 9-31.
81 Eus., h.e. VI 2,14; 4,3; 14,10; 19,12-14; cfr. P. Nautin, Origène, cit., pp. 21-24.
82 G. Anderson, Sage, Saint and Sophist. Holy Men and Their Associates in the Early Roman Empire, London-New York 1994.
83 Eusèbe de Césarée, La Préparation évangelique, cit., I, pp. 52-54.
84 Eus., p.e. VII 1,1.
85 Eus., p.e. VII 7,4.
86 A.P. Johnson, Ancestors as Icons: The Lives of the Hebrew Saints in Eusebius’ Praeparatio evangelica, in Greek, Roman and Byzantine Studies, 44 (2004), pp. 250-256.
87 S. Inowlocki, Eusebius’ Construction of a Christian Culture in an Apologetic Context: Reading the Praeparatio Evangelica as a Library, in Reconsidering Eusebius. Collected Papers on Literary, Historical, and Theological Issues, ed. by S. Inowolocki, C. Zamagni, Leiden-Boston 2011, pp. 199-223, in partic. 209.
88 A.J. Carriker, The Library, cit., pp. 108-112.
89 Analisi dettagliata in Eusèbe de Césarée, La Préparation évangélique, cit., VII, pp. 62-72.
90 Eus., p.e. VII 4-12.
91 Eus., p.e. VII 8,13.
92 Eus., p.e. VII 8,25.
93 Eus., p.e. VII 8,34.
94 Eus., m.P. l. syr. (History of the Martyrs in Palestine, cit., p. 1). Si veda lo status quaestionis in A. Monaci Castagno, Eusebio di Cesarea, storico e agiografo della persecuzione in Palestina, in Caesarea Maritima e la scuola origeniana. Multiculturalità, forme di competizione culturale e identità cristiana, XI Convegno del Gruppo italiano di ricerca su Origene e la tradizione alessandrina (Arezzo 22-23 settembre 2011), a cura di O. Andrei, in corso di stampa.
95 Eus., m.P. l. syr. (History of the Martyrs in Palestine, cit., p. 3,22): «In truth he was a godly man»; Die palästinischen Märtyrer des Eusebius, cit., p. 3: «Er war ein wahrhaft göttlicher Mensch».
96 Simili osservazioni anche per Timoteo in Eus., m.P. l. syr. (History of the Martyrs in Palestine, cit., p. 9,15-17).
97 Eus., m.P. l. gr. 4,6-7.
98 Questo
99 Ibidem.
100 Solo Eus., m.P. l. gr.
101 Eus., m.P. b. 4,6 ; Eus., m.P. l. gr.; sulla ricostruzione eusebiana della scuola di Panfilo, cfr. oltre agli studi citati alla nota 78: E.C. Penland, Martyrs as Philosophers: the School of Pamphilus and Ascetic Tradition in Eusebius’s Martyrs of Palestine, Yale 2010; Id., Eusebius Philosophus? School Activity at Caesarea Through the Lens of the Martyrs, in Reconsidering Eusebius, cit., pp. 87-98; A. Monaci Castagno, Eusebio di Cesarea, cit.
102 Sul corpo del martire dilacerato e sfigurato nella letteratura martirologica: V. Neri, La bellezza del corpo nella società tardo antica. Rappresentazioni visive e valutazioni estetiche tra cultura classica e cristianesimo, Bologna 2004, pp. 258-269; sui motivi dell’insistenza eusebiana sui particolari più raccapriccianti, cfr. A. Monaci Castagno, Eusebio di Cesarea, cit.
103 Eus., m.P. l. gr. 2.
104 Clem., str. III 15,3.
105 E.E. Malone, The Monk and the Martyr. The Monk as the Successor of the Martyr, Washington 1950.
106 Eus., m.P. l. gr. 2.
107 Eus. m.P.b. 4,9.
108 Eus., m.P. b. 11,19.
109 Eus., m.P. b. 11,19: «ϕιλοσόϕῳ σχήματι μόνῳ τῷ περὶ αὐτὸν ἀναβολαίῳ ἐξωμίδοῳ τρόπον ἠμϕιεσμένον νηϕαλές τε λογισμῷ περὶ ὧν ἐβούλετο, τοῖς γνωρίμοις ἐντελλόμενον καὶ διανεύοντα ἐπ᾽ αὐτῷ τε ἰκρίῳ τὸ πρόσωπον ἔτι ϕαιδρὸν διατηροῦντα».
110 Si legga la descrizione dell’aspetto esteriore di Socrate in X., Mem. I 6,1. Cfr. anche, sull’abito del filosofo: P. Zanker, La maschera di Socrate. L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica, Torino 1997, pp. 308-310.
111 Sottolineata due volte in Eus., m.P. b. e l. gr.
112 Porph., Plot. 13; cfr. V. Neri, La bellezza, cit., p. 179.
113 Eusebius, Life of Constantine, cit.
114 Eus. v.C. IV 62,1.
115 Av. Cameron, Eusebius «Vita Constantini», cit., p. 174.
116 Av. Cameron, Form and Meaning, cit., p. 74.
117 Per quanto riguarda il rapporto fra i bioi eusebiani e la Vita di Antonio di Atanasio, ritengo che – al di là di temi comuni come ascesi e martirio – ci sia una forte soluzione di continuità fra i due diversi discorsi agiografici, cosa che ho cercato di dimostrare, da ultimo, in A. Monaci Castagno, L’agiografia, cit., pp. 138-146.
118 Eus., v.C. I 3,4.
119 Su tale parallelismo, oltre ad Av. Cameron, Eusebius «Vita Constantini», cit., pp. 158-162, si veda A. Wilson, Biographical Models, cit.
120 Eus., v.C. I 10,2-4.
121 Eus., v.C. I 11,2.
122 Eus., h.e. VIII 13,13; IX 9,1.
123 Si veda l’introduzione di M. Amerise, in Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino. Discorso per il trentennale. Discorso regale, a cura di M. Amerise, Milano 2005, pp. 59-61.
124 Eus., h.e. II 25,1; VII 11,1; VIII 1,1; 4,2; m.P. b 3,3.
125 Eus., h.e. I 4,7.
126 Eus., h.e. VI 4,3; VII 32,32; m.P. b 13,10,13.
127 Eus., m. P. b. 2,3.
128 Eus., h.e. I 4,7; VIII 9,5; m.P. b. 4,2,9.
129 Eus., h.e. VIII 13,1: i martiri sono gli eusebeis.
130 Eus., h.e. VIII 9,8.
131 Eus., m.P. l. syr., History of the Martyrs in Palestine, cit., p. 2,10-21, e Die palästinischen Märtyrer des Eusebius, cit., p. 2.
132 E. Peterson, Der Gottesfreund, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 42 (1923), pp. 161-202, in partic. 187-191.
133 Eus., v.C. I 3,4.
134 Eus., v.C. I 4.
135 Eus., v.C. I 5,2-6.
136 Eus., v.C. I 41,1.
137 Eus., v.C. I 8,4.
138 Eus., l.C. 1,3; 7,12; 10,4.
139 Eus., l.C. 2.
140 Eus., v.C. I 43,3, da confrontare con v.C. III 26,4 (parallelo fra Cristo e il sole). Sul simbolismo del sole si veda quanto sostenuto da M. Amerise in Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., appendice V, L’imperatore e il sole, pp. 242-244; ci sono molti elementi per sostenere che Costantino stesso, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, abbia voluto associarsi a Cristo: la sua volontà di farsi battezzare nel Giordano (Eus., v.C. IV 62,2) e di collocare la sua tomba al centro delle dodici tombe simboliche degli apostoli nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme (Eus., v.C. III 33-40); il modo di farsi raffigurare (Eus., v.C. III 3,1-3). Su questo tema si veda R. Leeb, Konstantin und Christus: die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin-New York 1992.
141 Eus., v.C. I 9,2.
142 Eus., v.C. IV 29.
143 Eus., v.C. I 32,3; IV 17; IV 29,1.
144 Eus., v.C. II 11,2-12,2 (paragone con Mosè); IV 17.
145 Eus., v.C. I 12,2.
146 Eus., v.C. I 47,3; II 12,2.
147 Su questo, più ampiamente, A. Monaci Castagno, L’agiografia, cit., pp. 138-146.