euromediterraneo
euromediterràneo s. m.e agg. – I ragionamenti sull’identità dell’Europa e del Mediterraneo alimentano da sempre dibattiti di natura storica, antropologica, politica. Un recente orientamento negli studi delle relazioni internazionali parte dal presupposto che insieme a un territorio esista anche una sua rappresentazione e che questi due piani non siano sempre perfettamente sovrapponibili. Da questa geografia simbolica deriva che i discorsi sulla relazione che lega il continente europeo al bacino mediterraneo, promossi dalle istituzioni politiche e accademiche, non siano semplicemente descrizioni di una realtà fattuale, ma parte del processo di costruzione concettuale di quella realtà. In partic., il concetto di e. e il rapporto tra questa entità e l’ambito politico europeo, visto attraverso i documenti ufficiali, appare fluido, mutevole, a tratti sfuggente e teso ad abbracciare il contesto com’è ma anche come potrebbe o dovrebbe essere. Tradizionalmente, alla base delle politiche europee relative all’area mediterranea risiede una preoccupazione di fondo verso la sicurezza reciproca e verso la stabilità politica. Dopo la caduta del muro di Berlino e mentre si andava varando il Trattato di Maastricht (1992) per una politica comune di sicurezza, emergeva l’esigenza di favorire la stabilità soprattutto attraverso iniziative economiche in grado di alleviare le condizioni di povertà di molti paesi della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo. I tempi erano dunque maturi (in un quadro internazionale completamente mutato, che stava gradualmente riassorbendo gli effetti dirompenti del crollo dei regimi comunisti dell’Europa orientale) per lanciare una politica e. di più ampio respiro, che coinvolgesse direttamente i paesi della sponda sud. Ebbe quindi luogo a Barcellona, nel 1995, la prima importante Conferenza e., con la partecipazione dei delegati dei 15 paesi membri dell’Unione Europea e di 12 paesi delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo: Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele, Giordania, Autorità nazionale palestinese, Libano, Siria, Turchia, Cipro e Malta. Fu firmata un’importante dichiarazione comune, che metteva in cantiere il Processo di Barcellona finalizzato a stabilizzare una «piattaforma multilaterale di relazioni durature fondate su uno spirito di partnership, con particolare attenzione ai valori peculiari di ciascuno dei partecipanti». Per l’attuazione di questa nuova ‘cooperazione globale’ diretta a promuovere pace, stabilità e sviluppo nel Mediterraneo venivano individuate tre linee d’intervento prioritario: partenariato politico e di sicurezza; economico-finanziario; culturale. Prendeva dunque il via il PEM (Partenariato euromediterraneo), sviluppatosi lungo un percorso, non sempre lineare e senza ostacoli, tracciato dalle varie conferenze Euromed che si sono susseguite negli anni in diverse città rivierasche. Ma nonostante l’impegno profuso da molti paesi, tra i quali l’Italia, il Processo di Barcellona non ha raggiunto tutti gli obiettivi che, con un misto di ambizioni e di speranze, i paesi fondatori si erano prefissati. Il barometro internazionale ha spesso registrato repentini mutamenti del clima politico nello scacchiere mediterraneo, a causa dell’invasione americana dell’Iraq e, soprattutto, a causa del peggioramento della questione palestinese, che hanno messo a dura prova il dialogo euro-arabo. Un tentativo di imprimere una spinta aggiuntiva alle politiche mediterranee dell’UE è stato fatto dal presidente francese Nicolas Sarkozy, che nel 2007 lanciò l’idea dell’UPM (Union pour la Méditerranée), uno spazio di cooperazione per la realizzazione di infrastrutture e la difesa del patrimonio ambientale e culturale, a cui avrebbero dovuto partecipare tutti i paesi rivieraschi. Il progetto, accolto con qualche scetticismo nel mondo arabo, prese avvio nel 2008 tra molte speranze ma anche molta indeterminatezza. L’incapacità dell’UE di mantenere lo slancio di collaborazione con la sponda meridionale e orientale e soprattutto l’incapacità politica di interpretare gli sconvolgimenti portati dalla ‘primavera araba’ del 2011 sembravano però sancire il definitivo impantanamento dell’UPM e l’esigenza per l’Europa di ridefinire le sue politiche mediterranee.