euro
Moneta comune dell’Unione Europea (simbolo €). Introdotto nel 1999 da 11 Paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna), l’e. è stato adottato in seguito anche da Grecia (2001), Slovenia (2006), Cipro e Malta (2007), Slovacchia (2008) ed Estonia (2010). Nei primi 3 anni l’e. è esistito solo come unità di conto e nel 2002, sotto la supervisione della BCE (➔), sono state introdotte le banconote e le monete in euro. Esiste in 7 tagli di banconote (da 5, 10, 20, 50, 100, 200 e 500 euro) e 8 di monete (1, 2, 5, 10, 20 e 50 centesimi; 1 e 2 euro).
La prima proposta di una moneta unica in Europa è attribuita al ministro degli esteri tedesco G. Stresemann, in un discorso del 1929 alla Lega delle Nazioni. Nel 1969, poco prima della fine del sistema di Bretton Woods, i capi di Stato della Comunità Europea commissionarono a un gruppo di esperti la preparazione di un progetto di unione economica e monetaria, il piano Werner (➔ Werner, piano di) (1970). Tale piano, che prevedeva monete nazionali legate da rapporti di cambio fissi, non fu mai realizzato, ma negli anni successivi i tentativi di stabilizzare i cambi fra le monete europee continuarono attraverso il serpente monetario (1972) e lo SME (1979). Nel 1988, i leader politici affidarono a un comitato tecnico presieduto da J. Delors il compito di redigere un nuovo programma di Unione Economica e Monetaria (UEM); il rapporto, completato l’anno seguente, prevedeva la creazione di una moneta comune attraverso 3 stadi di preparazione. La realizzazione del piano era propiziata nel 1990 dalla riunificazione tedesca che, nell’ottica francese, doveva essere bilanciata dal rafforzamento dell’integrazione europea attraverso una moneta unica e una banca centrale comune. Nel 1992, il Trattato di Maastricht (➔) stabilì che l’UEM sarebbe avvenuta al più tardi nel 1999 e nel 1995 il Consiglio europeo di Madrid decise la denominazione di ‘euro’. La nuova moneta è nata il 4 gennaio 1999, con l’adozione da parte di tutti i Paesi partecipanti e l’avvio delle operazioni da parte della Banca Centrale Europea.
Al di là del significato politico, nella visione dei proponenti, l’adozione dell’e. avrebbe comportato per l’eurozona una serie di vantaggi economici. Eliminando le fluttuazioni dei cambi nell’area, essa avrebbe favorito la stabilità finanziaria e il rafforzamento del mercato unico. L’ancoraggio a Paesi con lunga tradizione di stabilità dei prezzi, primo fra tutti la Germania, e la presenza di una banca centrale indipendente avrebbero esteso i benefici di tale stabilità a tutti gli altri Stati membri, con conseguente riduzione del costo del credito per imprese e famiglie. La moneta unica avrebbe accelerato i progressi verso l’integrazione del mercato finanziario, con ulteriori benefici in termini di costo e disponibilità di capitali per il sistema produttivo. In prospettiva, l’e. avrebbe potuto diffondersi anche al di fuori dei confini dell’eurozona, offrendo un’alternativa al dollaro statunitense come valuta di denominazione per le transazioni commerciali e finanziarie a livello internazionale.
Nei primi 10 anni (1999-2008) buona parte di questi obiettivi è stata realizzata. L’inflazione si è mantenuta relativamente stabile, in media attorno al 2%, livello storicamente basso per l’area e anche per la stessa Germania. Nella prima parte di questo periodo, il mercato unico dei capitali nell’area dell’e. si è rafforzato e il suo grado di integrazione è aumentato; le condizioni di accesso al mercato, i costi di indebitamento e i rendimenti sui titoli hanno mostrato, all’interno di categorie omogenee, una tendenza a convergere fra i diversi Paesi. I tassi interbancari dei Paesi membri si sono allineati immediatamente e quelli sui titoli pubblici si sono avvicinati, dando luogo a differenziali di interesse fra emittenti sovrani molto bassi, dell’ordine di pochi centesimi di punto percentuale. I Paesi con monete storicamente meno stabili hanno potuto beneficiare di tassi di interesse bassi, con conseguente stimolo dell’attività economica, soprattutto nel settore immobiliare. Infine, l’e. è subito diventato la seconda moneta mondiale per utilizzo come strumento di pagamento e valuta di riserva internazionale, senza però arrivare a insidiare il primato del dollaro USA. Al contempo, tuttavia, persistenti differenze nell’inflazione e nelle dinamiche dei costi del lavoro fra i Paesi aderenti, non compensate da variazioni del cambio, hanno dato luogo a crescenti differenziali di competitività: in particolare, Grecia, Irlanda e Spagna hanno perso competitività rispetto a Germania, Austria e Finlandia. Disavanzi pubblici persistenti hanno determinato un aumento del debito pubblico, in particolare in Grecia e in Italia. Gli squilibri sono rimasti a lungo sopiti nel clima favorevole determinato dalla crescita economica sostenuta e dai tassi di interesse bassi. I mercati finanziari, dominati dall’ottimismo, ne hanno sottovalutato il rischio; è venuto meno così l’incentivo per i governi nazionali a correggere tali squilibri con opportune politiche di struttura e di bilancio. La procedura europea di controllo dei disavanzi pubblici, il cosiddetto Patto di stabilità e crescita (➔), veniva indebolita nel 2003 sotto la presidenza italiana di turno dell’Unione, evitando così di vincolare il comportamento fiscale dei due principali Stati membri, Francia e Germania.
Dall’autunno del 2007, la crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti ha esercitato effetti negativi rilevanti sul mercato finanziario dell’eurozona. Si sono riaperti i differenziali di rendimento fra Paesi e i flussi interbancari si sono in parte inariditi, soprattutto attraverso le frontiere, a causa dell’aumento dei rischi e nonostante le cospicue operazioni di finanziamento a basso costo della Banca Centrale Europea. La crisi è cresciuta di intensità dalla primavera del 2010, con il timore di insolvenza imminente della Grecia e il suo salvataggio da parte degli altri Paesi. Nel maggio 2010 è stato costituito un nuovo strumento di sostegno finanziario per gli Stati sovrani dell’area dell’euro, la European Financial Stability Facility (➔ EFSF), di natura temporanea; a breve distanza di tempo Irlanda e Portogallo hanno dovuto farvi ricorso, mentre la Banca Centrale Europea è intervenuta con acquisti sui mercati dei titoli sovrani. Nell’estate 2011, la crisi si è estesa alla Spagna e soprattutto all’Italia. Per fronteggiarla, il Consiglio europeo ha deciso, il 21 luglio, di ampliare la dimensione dell’EFSF e di estenderne le potenzialità operative. Veniva anche decisa la creazione di uno strumento finanziario permanente, l’European Stability Mechanism (➔ ESM), la cui base giuridica risiede in un nuovo trattato europeo limitato all’area dell’euro, approvato dal Consiglio europeo il 2 febbraio 2012 salvo ratifica da parte dei Paesi membri.