Vedi EUPHRONIOS dell'anno: 1960 - 1994
EUPHRONIOS (Εὐϕρόνιος)
Ceramista attico della tecnica a figure rosse la cui attività pittorica rientra negli ultimi due decennî del VI sec. a. C., mentre la sua opera di capo-fabbrica si prolunga sino a tutto il primo venticinquennio del secolo successivo. Dipinge vasi per le officine di Kachrylion e di Euxitheos, in un primo tempo, e da ultimo ne firma, come vasaio, altri, le cui pitture si debbono riferire al Pittore di Panaitios, Onesimos e al Pittore di Pistoxenos.
Si tratta senza dubbio della figura più nobile, più riccamente dotata e più completa tra quanti hanno lavorato nel campo della ceramica attica. Pittore insigne e in seguito capo di fabbrica che dirige e fissa le forme dei suoi prodotti, è principalmente attraverso la sua personalità che J. D. Beazley traccia, in Potter and Painter in Ancient Athens, il vivido profilo di questi singolari artisti che svolgevano una complessa attività nei due campi distinti e attigui della costruzione di vasi e della loro decorazione pittorica. Anche Hans Bloesch gli attribuisce un gruppo di 13 coppe, di cui sei firmate, che rappresentano un tipo di evoluzione particolare da quello fissato da Pamphaios ed Euergides e a cui fanno capo altre correnti.
Intorno alle opere firmate da E. come pittore, e in particolare ai grandi crateri a calice del Louvre G 103 e G 110, è stato raccolto un gruppo di vasi, non numerosi, ma tali da provare in ogni punto così le qualità altissime del pittore, come la varietà dei suoi interessi e delle sue possibilità espressive. Si tratta di una ventina di pezzi, comprendenti, accanto a tre elaboratissime coppe, grandi vasi solenni, prevalentemente crateri a calice e a volute. Dipinge scene divine, imprese eroiche, atleti e gare musicali con un linguaggio di mirabile fluidità e appropriatezza. La sua grandezza è nel fatto che, mentre i suoi colleghi, anche i più dotati, si esprimono più compiutamente - chi attraverso la grazia musicale dei contorni, chi attraverso il fervore drammatico, la monumentalità della forma o il rigore disegnativo - E. sembra possedere tutte queste qualità, armonizzando caratteri che si direbbero inconciliabili con suprema felicità e vigore. Il suo segno miracolosamente pieghevole e puro gli consente di definire immagini di grazia femminile che non hanno nulla da invidiare alle celebrate, trepidanti creature di Euthymides: nello stesso tempo è sempre presente in lui una sobrietà di gusto, una qualità di spirito tonica e astringente che gli impedisce di arrestarsi in ammirazione compiaciuta dinanzi alle proprie creazioni, come succede alle volte al suo collega e rivale. L'immateriale levità ed eleganza dei suoi atleti, dei suoi musici, delle ninfe fuggenti, anche se costituiscono immagini di poesia compiutamente realizzate, sono sempre stazioni di passaggio in cui il suo genio trascorre felicemente senza soffermarsi. La fiabesca eleganza del cavaliere Leagros nella notissima coppa di Monaco, sembra espandersi nel contenutissimo passo danzato dello squisito cavallino a creare suggestioni ritmiche di sospesa armonia. Mentre nelle composizioni più vaste gli aggruppamenti, i legamenti, le cesure, si sviluppano con un senso di equilibrio e una evidenza drammatica incomparabili. Eracle è evidentemente l'eroe preferito del pittore, che ce lo rappresenta più volte sia nella spettacolare veemenza del suo assalto contro Gerione o le Amazzoni (Monaco 2620, Arezzo), sia nella silenziosa, raccolta tensione della lotta mortale corpo a corpo con Anteo o il leone (Louvre G 103). E in tutte queste figurazioni quello che sorprende ogni volta come fatto nuovo è l'assoluta onestà dell'artista che opera sempre in piena luce, allo scoperto, elevando il tono del suo canto, senza sorprese o urti. Nei due crateri del Louvre, la gigantesca figura semicoricata dell'eroe lottante ripete lo schema e possiede la monumentalità di un frontone: solo che prima dei frontoni di Egina non ci sono pervenute opere di grande plastica che siano comparabili a queste pitture. E questi grandiosi effetti di poesia eroica E. sa raggiungere per la via più lunga e più difficile, arrestandosi a incidere ogni vibrazione muscolare, delineando le unghie del leone e le ciglia dell'eroe una ad una, graduando e subordinando con mirabile intuito gli effetti minori periferici a quelli centrali.
E. scompare presto dalla scena come pittore, e, a giudicare dalle sue opere, nel pieno fulgore delle sue possibilità creative. Non è improbabile che ciò si debba, come propone J. D. Beazley, a un abbassamento della vista comune nell'età media. E in un certo senso l'unica sorta di decadenza che il suo genio vigorosissimo conosce è attraverso i suoi scolari che, anche quando procedono direttamente da lui come il Pittore di Panaitrios, Onesimos, il Pittore di Antiphon, risultano tanto minori e unilaterali in confronto alla sua grandezza.
Della ben meritata fama e prosperità dell'artista è testimonianza una base a forma di pilastro dell'Acropoli (I. G., I2, 516) con l'iscrizione dedicatoria di E. ceramista. Il notissimo rilievo del vasaio, forse firmato dallo scultore Endoios e databile intorno al 510 a. C., che porta un'iscrizione incompleta in cui molti hanno proposto di leggere il suo nome viene, invece, riferita da J. D. Beazley a Pamphaios.
Riguardo alla notissima coppa di Sosias a Berlino, che A. Furtwängler ricollegava al maestro, si può ricordare un'iscrizione scherzosa su un vaso senza pitture dell'Agorà che riporta i due nomi di Euphronios e di Sosias. Peraltro l'iscrizione è da fissare abbastanza in giù nel V sec. ed è incerto se debba riferirsi ai due artisti.
Bibl.: P. Hartwig, Meisterschalen, p. 95, 444 ss.; A. Furtwängler, in Furtwängler-Reichhold, Griechische Vasenmalerei, Monaco 1900, 27, I, 98, 110; II, 15, 133, 172; C. Robert, in Pauly-Wissowa, VI, 1909, cc. 1221-25, s. v., n. 9; J. C. Hoppin, Handbook of Attic Red-figured Vases, I, II, Cambridge 1919, p. 376 ss.; E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., Monaco 1923, p. 447 ss.; J. D. Beazley, Rotfig., 58; id., Red-fig., Oxford 1942, 15; id., Potter and Painter, Londra 1946, p. 20; passim; L. Talcott, in Hesperia, V, 1936, p. 347; H. J. Bloesch, Formen Attischer Schalen, Diss., Berna 1940, p. 70; A. E. Raubitschek, Dedications from the Acropolis, Cambridge Mass., 1949, p. 255, n. 225; F. Villard, in Mon. Piot, XLV, p. i ss.; J. D. Beazley, Attic Vase Paintings in Boston, II, p. i ss.