Eunuco
Il termine eunuco, che letteralmente significa "custode del letto" (dal greco εὐνή, "letto", ed ἔχω, nel senso di "custodire"), indica un uomo privo delle facoltà virili per difetto organico o in seguito a evirazione.
La castrazione (v.) veniva praticata, sia come cerimonia iniziatica sia come punizione per adulteri e sacrilegi, tanto nell'antico Egitto quanto nell'India vedica, ed era diffusa, insieme con altri tipi di interventi rituali sugli organi sessuali maschili o femminili - circoncisione e infibulazione (v. circoncisione) - soprattutto in Africa, dalla valle del Nilo al Kordofan, al Sudan occidentale, all'Etiopia meridionale; forme di evirazione si riscontrano inoltre nelle popolazioni dell'area andina preincaica.
Nel mondo greco il più intenso e duraturo caso di tradizione fondata sull'evirazione a noi noto è legato alla leggenda di Cibele, che ha probabilmente origini anatoliche e pare in relazione con tradizioni indiane, vediche o postvediche. La Magna Mater Cibele amava il giovane pastore Attis, che fece gran sacerdote del suo tempio; Attis la tradì però con una ninfa e, dinanzi alla terribile ira della dea, provò paura e rimorso tali da evirarsi con le sue mani. Il giovane morì per la ferita: commossa, Cibele instaurò allora il suo culto, incentrato sulla cerimonia del pino reciso che simbolizzava l'ablazione dell'amato. A tale cerimonia potevano partecipare solo gli eunuchi; sovente, ci si castrava durante la cerimonia dell'ostensione del pino sacro, accompagnata da scene di esaltazione mistica. I sacerdoti di Cibele, detti galli, erano castrati e provenivano di solito dalla terra d'elezione del culto orgiastico della Magna Mater, la Frigia. La castrazione rituale trova in effetti il suo più denso e frequente riscontro in un'area compresa tra la penisola anatolica e la Siria, dove non era solo Cibele a venire adorata da sacerdoti castrati: a Efeso, eunuchi, detti μεγάβυζοι, erano addetti al culto nel tempio di Artemide; a Lagina, in Caria, eunuchi servivano una dea identificata solitamente con Ecate; le divinità siriane Astarte e Atargatis venivano servite da sacerdoti eunuchi.
L'evirazione sacrale è variamente interpretata: come atto di amore sublime e di sacrificio della virilità alla dea, ma anche come gesto che, producendo una sorta di femminilità artificiale, rendeva i suoi fedeli più simili a lei e al tempo stesso li dotava di una potenza superiore, su un piano spirituale e forse extrasensoriale. In questo senso non manca chi interpreta l'evirazione come la riconquista della condizione umana primigenia e perfetta, quella dell'androgino che possiede entrambi i caratteri sessuali. A tale riguardo è da notare che i sacerdoti eunuchi indossavano vesti femminili e che, dalla Siberia alle pianure nordamericane, alla Mesoamerica precolombiana, le culture sciamaniche attribuiscono un valore sacrale agli uomini che si travestono o si atteggiano a donna: ciò collega strettamente facoltà sciamaniche, castrazione reale o rituale e omosessualità. A Roma, il culto di Cibele, come qualunque altro culto a carattere orgiastico, fu inizialmente accolto con ostilità e sospetto. Cibele divenne tuttavia una delle protettrici principali della città e del popolo romano, allorché a essa si attribuì il fatto che nel 204 a.C., durante la Seconda guerra punica, la vittoriosa marcia di Annibale non avesse travolto l'Urbe. Da allora le cerimonie primaverili in onore della dea, che si tenevano tra il 15 e il 24 marzo, furono celebrate con grande fasto; nel corso di esse i galli e i fedeli d'entrambi i sessi si flagellavano e si mutilavano in vario modo (ferendosi in varie parti del corpo), le donne giungevano fino all'amputazione di uno o di tutti e due i seni e gli uomini alla castrazione.
Il dilagare dei costumi d'origine microasiatica - che la cultura ellenistica aveva diffuso in tutto il bacino mediterraneo - determinò una forte richiesta di eunuchi, grazie anche all'ambiguità che li rendeva adatti a qualunque tipo di prestazione sessuale (si riteneva, anzi, che fossero inclini alla mollezza e al piacere). I romani conoscevano tre classi di eunuchi: gli spadones, cui erano state tagliate le gonadi; i thlasiae (dal greco θλάω, "schiaccio"), ai quali esse erano state schiacciate; infine i castrati, cui era stata praticata l'ablazione totale di verga e testicoli. L'uso di castrare giovani schiavi a scopo di lucro (il mercato relativo era florido) o di corruzione sessuale era tanto diffuso nel 2° secolo d.C. che Adriano promulgò al riguardo leggi molto severe. D'altronde, il periodo tra il 2° e il 3° secolo d.C. fu l'età aurea della castrazione a fini religiosi; in particolare l'evirazione sacrale toccò i suoi vertici nel primo quarto del 3° secolo d.C., sotto gli imperatori d'origine siriaca che favorirono il culto della Magna Mater: uno di essi, Eliogabalo, giunse a evirarsi per divenire egli stesso gran sacerdote di Cibele. Il cristianesimo sembra aver mutuato da fonti ellenico-asiatiche la sua alta valutazione della castità (originario dell'Asia Minore era appunto Paolo di Tarso), ed è rimasto celebre il gesto di un padre della Chiesa, Origene, che procedette all'autoevirazione. Attorno alla metà del 3° secolo un cristiano eterodosso, Valesio, fondò presso il Giordano una comunità i cui membri, per seguire alla lettera un passo del Vangelo, rimuovevano dal loro corpo l'organo origine dello scandalo sessuale, cioè si castravano. La setta giunse a tali eccessi da assalire estranei e mutilarli per salvarli dal peccato e, in seguito a ciò, la Chiesa precisò la sua opposizione a qualunque metodo di castità costrittiva. Il Concilio di Nicea condannò, nel 325, l'evirazione, volontaria o meno. Anzi la volontà di reprimere qualunque eresia al riguardo, insieme all'idea che il pontefice dovesse essere con sicurezza uomo fisiologicamente indenne, condusse, nel 9° secolo, la Chiesa romana a introdurre il rito della palpazione dei testicoli del nuovo papa.
L'evirazione, costantemente avversata in Occidente, continuò a esser seguita a Bisanzio, nei paesi islamici e in Cina: dall'abitudine bizantina di avere gli eunuchi come guardiani di ginecei, l'islamismo mutuò la tradizione secondo cui essi erano preposti alla custodia degli harem. Il grande medico Abulcasis (10° secolo), pur sottolineando la proibizione della castrazione per i musulmani, fornisce metodi per lo schiacciamento e l'asportazione dei testicoli, misura adottata soprattutto nei confronti degli schiavi. Al di là dei motivi medici o sociali che potevano determinare la castrazione, essa era praticata in differenti circostanze, anche a fini di punizione o di vendetta. Tra i casi più celebri al riguardo, è da porre quello del filosofo Pietro Abelardo che, in pieno 12° secolo, venne mutilato per punizione dei suoi rapporti con Eloisa. Nel corso del 16° secolo, forse in coincidenza con la polemica tra cattolici e riformati sui temi della castità e del celibato dei sacerdoti, si diffusero contemporaneamente voci relative a pratiche di castrazione. Nel 1565, i luterani di Monaco accusarono i gesuiti di castrare i loro giovani scolari per mantenerne intatta la castità, ma le prove addotte dimostrarono come l'equivoco fosse nato da una cattiva interpretazione di un caso di criptorchidismo. Intanto si diffondeva soprattutto nello Stato della Chiesa, dove il divieto di esibizione delle donne in teatro rimaneva rigoroso, la pratica (illecita, ma seguita a scopo di lucro) di far castrare bambini e adolescenti per mantenerne intatti i caratteri del timbro della voce e impiegarli poi come 'voci bianche'. I musici, o 'evirati cantori' - celebre fra tutti Carlo Broschi, detto il Farinelli, amico del Metastasio -, furono di gran moda tra il 17° e i primi del 19° secolo, allorché la pratica venne dichiarata illegale e come tale perseguita. L'eunuchismo conobbe un revival nella Russia zarista del 18° secolo, con il vasto successo della setta dei radenyi ("flagellanti"), che in un'estasi tra il mistico e l'erotico giungevano non solo alla flagellazione e al digiuno, ma anche alla castrazione. Da questa setta derivarono gli skoptzy ("castrati"), il successo dei quali, sotto il regno di Nicola I (1825-55), fu tale che lo zar fu costretto ad adeguarsi alla scelta della Chiesa cattolica, che condannava solennemente ed esplicitamente l'evirazione volontaria. Nonostante le persecuzioni, la setta era ancora attiva nella prima fase del regime sovietico.
L'evirazione rituale è tuttora seguita in alcune culture tradizionali africane. In India sopravvive ancor oggi, nonostante le proibizioni legali, la setta dei Hijra, fondata nella prima metà del 20° secolo da Dada Guru Sankar, che diffonde la pratica dell'autocastrazione. Essa, però, non si può correttamente ricondurre né alle tradizioni dell'età vedica, né alle consuetudini indiane antecedenti alla conquista britannica del subcontinente.
A.G. labanchi, Gli eunuchi e le scuole del canto del secolo XVIII, Napoli, Guida, 1923.
U. Ranke-Heinemann, Eunuchen für das Himmelreich, Hamburg, Hoffmann und Campe, 1988 (trad. it. Milano, Rizzoli, 1990).