Eunoè
Sulla vetta della montagna del Purgatorio, nella divina foresta spessa e viva del Paradiso terrestre, D. immagina che scorrano due fiumi: il Lete e l'E., che danno, a chi vi si immerge, l'uno l'oblio del male e l'altro il ricordo del bene compiuto in vita (Pg XXVIII 25-33, 85-87, 121-133, XXXI 94-102, XXXIII 112-145). Essi non nascono da una sorgente naturale, ma da una fonte divina, e perciò la lena, la portata del loro corso non è discontinua come quella dei fiumi della terra, soggetti alle vicissitudini atmosferiche, ma è salda e certa, piena e costante, perché regolata dal voler di Dio (XXVIII 123-125). Essi con la virtù che possiedono di cancellare la memoria del peccato e di restituire la coscienza d'ogne ben fatto (vv. 128-129), concludono il processo di espiazione e di perfezionamento delle anime prima che esse ascendano al Paradiso celeste.
D., nella sua invenzione poetica, si discosta dal dettato della tradizione biblica, secondo cui (Gen. 2, 10-14) nel Paradiso terrestre scorrevano quattro fiumi: il Fison, il Gehon, il Tigri e l'Eufrate. Ad essi egli sostituisce appunto il Lete, ispirandosi per il nome e la funzione ( dal greco λητή, " oblio ") al fiume dell'Averno classico (in particolare a Virgilio Aen. VI 705-749); e l'E., ignoto alla tradizione e il cui nome (foggiato sul tipo di quello di uno dei fiumi biblici, l'Eufrate, e avvalendosi dell'ausilio offerto dai lessici medievali) ha anch'esso radice greca, εὐ - νούς, nel senso di " memoria del bene " o, più letteralmente, di " buona mente " (analogamente in Cv II III 11 troviamo Protonoè nel senso di " prima mente ").
La natura e l'origine dei fiumi del Purgatorio sono spiegate a D. da Matelda nel Paradiso terrestre. Il poeta aveva appreso da Stazio (Pg XXI 43 ss.) che sul Purgatorio non si verificano fenomeni metereologici, elevandosi il sacro monte al di sopra dell'atmosfera; ora, perciò, nel Paradiso terrestre, si meraviglia di sentire stormire le foglie della foresta, come se fossero mosse dal vento, e di vedere scorrere dinanzi a sé un rio di acqua limpida come se lì fossero possibili i fenomeni dell'evaporazione e della pioggia (XXVII 85-87). Matelda gli spiega che il suon de la foresta è generato dal moto circolare dei cieli che si ripercuote dal primo cielo sulla cima degli alberi (vv. 103-108); quanto all'acqua che vede, essa è originata (come già s'è visto) da una sorgente divina, che poi si biforca in due corsi d'acqua, uno chiamato Lete, che toglie altrui memoria del peccato (e che è quello che D. ha ora davanti a sé), e l'altro E., che rende la coscienza d'ogne ben fatto (vv. 128-129). L'E. anzi non produce il suo effetto se prima non ha agito l'acqua del Lete (e non adopra / se quinci e quindi pria non è gustato, vv. 131-132): infatti la gioia per la memoria del bene compiuto non potrebbe essere piena senza aver prima eliminato ogni ricordo e rimorso del male fatto; e il sapore della sua acqua è superiore a ogni altro (a tutti altri sapori esto è di sopra, v. 133): infatti rappresenta l'ultima fase del processo di purificazione, donando la perfezione che abilita alla beatitudine celeste.
D. sembra dimenticare questa spiegazione quando più tardi (dopo aver incontrato Beatrice, aver ascoltato da lei le pungenti accuse per i suoi errori passati, e dopo essere stato immerso da Matelda nel Lete) si mostra di nuovo meravigliato e incuriosito vedendo dinanzi a sé due corsi d'acqua uscir d'una fontana, / e, quasi amici, dipartirsi pigri (XXXIII 113-114). Beatrice lo invita a chiedere spiegazioni a Matelda, ma questa gli ricorda di avergli già detto questo e altre cose (v. 121). Beatrice allora, dopo aver scusato la momentanea smemoratezza del poeta, dovuta all'intensità e all'importanza delle ultime esperienze fatte, invita senz'altro Matelda a guidarlo verso l'E., affinché si ravvivi la tramortita sua virtù (v. 129). D. assapora così l'acqua di E., tanto dolce che sembrerebbe non doverlo mai saziare. Il poeta vorrebbe soffermarsi più a lungo a descrivere lo dolce ber (v. 138), ma lo spazio riservato alla seconda cantica non glielo consente. Egli perciò si limita a dire di essere uscito dalla santissima onda rigenerato, rifatto sì come piante novelle / rinovellate di novella fronda, e ormai puro e disposto a salire a le stelle (vv. 143-145).
Un critico moderno (il Singleton) ha fatto notare che i due fiumi dell'Eden dantesco, per la loro specifica funzione di estrema purificazione dal peccato, non potevano avere nessun rapporto con i quattro fiumi dell'Eden della Bibbia, dove l'uomo dimorò prima del peccato originale. D., d'altra parte, non avrebbe omesso o dimenticato la funzione simbolica che la tradizione esegetica medievale concordemente attribuiva ai quattro fiumi biblici, scorgendo in essi l'allegoria delle quattro virtù cardinali. Egli, infatti, avrebbe ascritto tale allegoria alle quattro stelle (di cui la Genesi non parla) che splendono nel cielo del suo Purgatorio sull'emisfero australe e la cui vista (il cui possesso, cioè, come segno di perfezione) era stata perduta da Adamo e dall'umanità tutta dopo il peccato originale e la successiva cacciata dal Paradiso terrestre sull'opposto emisfero boreale della terra (vidi quattro stelle / non viste mai fuor ch'a la prima gente, Pg I 23-24); e avrebbe poi immaginato la presenza nell'Eden dei due nuovi fiumi, il Lete e l'E., nati dalla Grazia divina con specifiche funzioni dopo il sacrificio del Cristo, che liberò l'uomo dal peccato originale e gli consentì, mediante l'espiazione, di accedere alla salvezza.
Si è fatto anche notare che nella cultura e nella letteratura medievali ricorre spesso il motivo di due diversi corsi d'acqua, dotati della virtù di ravvivare la memoria o di dare l'oblio (Isidoro [Etym. XIII XIII] fa riferimento a due sorgenti della Beozia fornite di questi poteri; nel Libro della Scala, opera arabo-cristiana, che descrive un viaggio oltremondano di Maometto sotto la guida dell'arcangelo Gabriele, si narra appunto di due corsi d'acqua del Paradiso terrestre che ridonano purezza e grazia; ecc.). D. poté forse ispirarsi a uno di simili esempi della letteratura del tempo, ma non è opportuno far riferimento a nessuna fonte precisa per l'invenzione dantesca, che s'inserisce e vive nell'ordito di una più vasta e organica struttura poetica e significante.
Bibl. - J.A. Harrison, Dante's Eunoé... and an Orphic Tablet, in " The Classical Review " XVII (1903) 52 ss.; J.A. Stewart, The Source of Dante's Eunoé, ibid XVII (1903) 117-118; XVIII (1904) 50; E. Ciafardini, L'idrografia dell'Inferno e del Purgatorio, in Studi in onore di Francesco Torraca, Napoli 1922, 260-306; B. Nardi, Pretese fonti della D. C., in " Nuova Antologia " XC (1955) 383-398 (rist. in Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 351-370); A.E. Quaglio, Il c. XXVIII del Purgatorio (1963), in Lect. Scaligera II 1037 ss.; C.S. Singleton, Fiumi, ninfe e stelle, in Viaggio a Beatrice, Bologna 1968, 183-207.