SCOMPARINI, Eugenio
– Nacque a Trieste il 1° settembre 1845, ultimo di quattro fratelli, da Alberto di Chioggia e dalla veneziana Maria Scomparini, da tempo stabilitisi in città.
Della sua giovinezza e della sua prima formazione si conosce ben poco. Le scarne biografie parlano di una frequentazione della Scuola triestina di disegno, diretta dall’intagliatore Giovanni Moscotto: l’unico luogo cittadino deputato alla formazione dei giovani artisti. Alla fine del 1863 s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Venezia dove, a partire dal 1868, usufruì anche di una borsa di studio del Comune di Trieste. Il suo percorso all’interno della prestigiosa istituzione veneziana fu brillante, costellato dalla conquista di premi e riconoscimenti talvolta sottolineati anche dalla stampa triestina. Notevole l’anno di corso 1867-68, l’ultimo in cui egli compare tra i premiati, dove, oltre agli accessit per il «disegno del nudo» e per gli «studi di colore pel nudo e per teste», ottenne un premio con lode per l’«invenzione storica in cartone». A Venezia avvenne anche l’esordio espositivo, con La confidenza, presentata all’annuale mostra allestita nell’agosto del 1869 nelle sale dell’Accademia. Nell’estate del 1870 le stesse sale dell’Accademia videro la presenza di Una lettura noiosa e di L’attesa (entrambe le opere furono vendute e mai rintracciate). Nel frattempo il ventitreenne Scomparini ottenne la sua prima commissione pubblica nella città natale, una pala d’altare, oggi perduta, per la piccola chiesa di Contovello. Poco più di un mese prima, aveva donato alla chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta in località Santa Croce uno stendardo per le processioni.
Dopo l’interlocutorio esordio triestino alla seconda mostra della Società di belle arti tenutasi nell’aprile 1871, scatenò entusiasmi con il grande e pretenzioso Amleto presentato all’Esposizione agricola-industriale e di belle arti allestita a Trieste nell’autunno dello stesso anno (l’opera venne fatta riprodurre litograficamente da Giuseppe Caprin sulle pagine del suo Libertà e lavoro, V (1871), 20, p. 156). Effetto immediato fu la commissione pubblica per il ritratto di Giovanni Guglielmo Sartorio, ultimato nel marzo del 1872 e destinato al palazzo della Borsa. I mesi successivi videro Scomparini ancora impegnato nella pittura di soggetto storico-letterario, e la sua Ofelia, acquistata da un ricco egiziano insieme all’Amleto, segue quest’ultimo nell’impostazione ancora vicina alla pittura di Pompeo Marino Molmenti: completava idealmente la trilogia shakespeariana l’Otello, presentato nel padiglione austriaco dell’Esposizione universale di Vienna del 1873.
A seguito di questi successi, e grazie a un nuovo sussidio comunale ottenuto il 21 gennaio 1874, Scomparini si trasferì a Roma proprio nel periodo in cui veniva a mancare una delle figure dominanti del panorama artistico della capitale, Marià Fortuny i Marsal, la pittura del quale divenne immediatamente punto di riferimento per il triestino e per l’amico Antonio Lonza, che lo seguì nell’avventura romana. L’infatuazione per il pittore spagnolo si sarebbe tradotta in una serie di opere esposte con grande successo alle mostre triestine.
Il sussidio della municipalità triestina, inizialmente biennale, venne poi rinnovato per il 1877. A Roma era probabilmente germogliata anche l’idea per il sipario del nuovo Politeama Rossetti di Trieste, prima grande affermazione pubblica di Scomparini nel campo della decorazione, inaugurato il 27 aprile 1878 tra unanimi consensi. Quel tanto di ‘fortunismo’ che l’artista aveva assimilato a Roma non poteva non piacere ai borghesi triestini, e i suoi dipinti da cavalletto, specie se un po’ scollacciati, avevano profondamente attecchito nel tessuto cittadino, tanto da essere spesso segnalati dalle cronache artistiche locali. Artista ormai aggiornato, Scomparini conquistò anche una medaglia d’argento all’esposizione internazionale di Teplitz nell’ottobre del 1879, con un’Odalisca che doveva essere certamente un prodotto allineato alle novità offerte dalla pittura internazionale.
Sul piano della tecnica la robusta formazione realista maturata a Venezia s’innestò sui soggetti fortuniani recepiti durante il prolungato soggiorno romano. Nei decenni successivi il risultato, sul piano della prassi artistica, fu un sostanziale e consapevole eclettismo, adattato ai generi pittorici che Scomparini fu chiamato ad affrontare: depongono in questo senso opere licenziate in un anno chiave come il 1890, che accomuna la Margherita Gauthier del Museo Revoltella, la decorazione di palazzo Scuglievich a Trieste e quella del piccolo teatro della Società filarmonico-drammatica di Fiume.
La prima opera è sostanzialmente realista, pur con concessioni fortuniane, la seconda paga ampi tributi al gusto viennese dell’epoca, mentre la terza è volutamente neosettecentesca per mimesi con il contesto architettonico.
Se poi si pensa alle decorazioni teatrali degli anni tra il 1880 e la fine del secolo, il discorso della coerenza stilistica diventa ancora più intricato: di fatto si trattava di affrontare nel modo migliore situazioni ambientali e richieste molto diverse, e la formazione ricca e articolata dell’artista consentiva questo approccio necessariamente eclettico. Per il teatro Politeama Garibaldi di Treviso, aperto nel 1887 e distrutto durante la seconda guerra mondiale, Scomparini affrontò temi risorgimentali improponibili nella Trieste austriaca; nel teatro di Società di Gorizia, completato nel 1899 e semidistrutto durante la Grande Guerra, propose Il Genio incorona la Musica, risolvendolo in chiave tiepolesca; mentre per il più tardo teatro Fenice di Trieste (1905) compose una grande allegoria dell’arte teatrale ispirata alle decorazioni dei fratelli Gustav ed Ernst Klimt e di Franz Matsch al Burgtheater di Vienna.
Nel campo della decorazione d’interni, a Trieste le imprese più note furono senz’altro i soffitti di palazzo Scuglievich (1890), le grandi tele per il Caffè alla stazione, datate 1897, i fregi di una stanza di palazzo Artelli, completati nel 1906, e la sua ultima grande opera, la tela con L’Edilizia per la Cassa di Risparmio di Trieste, presentata al pubblico nel 1912. Oltre al tema della rappresentazione delle arti e della storia, affrontato nei due palazzi Scuglievich e Artelli, Scomparini toccò in queste opere quello del lavoro, rappresentato nella sua dimensione allegorica, dove l’impronta del socialismo umanitario trasmessagli da Caprin appare decisiva. L’aspirazione alla giustizia sociale e i programmi di acculturazione delle classi inferiori, espressi nei documenti programmatici dei giornali diretti dallo scrittore triestino, costituirono infatti un punto di riferimento imprescindibile per le letture iconografiche di Scomparini, che affrontò il tema anche in altri dipinti d’occasione.
La vocazione decorativa evidentemente limitò la produzione da cavalletto, testimoniata da pochi dipinti di genere e dalla ritrattistica. Si spiega così la scarsa partecipazione, dagli anni Ottanta in poi, alle occasioni espositive che la sua città offriva, una circostanza notata anche dai cronisti dell’epoca.
Il 27 agosto 1890 Scomparini sposò Caterina Schielin, maggiore di lui di tre anni, che non gli diede figli, e continuò ad abitare nella casa di via Lazzareto vecchio, diventata quasi una sorta di museo.
Gli anni Ottanta segnarono anche il suo definitivo inserimento nel tessuto culturale di Trieste: nel 1884 diventò presidente del neonato Circolo artistico triestino, carica che mantenne fino al giugno del 1895, mentre nel 1887 assunse l’incarico di docente di disegno figurale e pittura decorativa alla Kaiserlich Königliche Staatgewerbeschule, insegnamento che lo impegnò fino al 1911.
Sotto la sua guida si formarono molti artisti triestini, quali Bruno Croatto, Ugo Flumiani, Piero Lucano, Ruggero Rovan, Marcello Dudovich, Piero Marussig, Argio Orell, Vito Timmel e Vittorio Bergagna. Lezioni private aveva da lui ricevuto invece Gino Parin, che ricordò a lungo il magistero di Scomparini.
Questi due incarichi lo posero in prima fila nel panorama artistico cittadino. Il Circolo artistico fu di fatto una seconda casa per Scomparini: qui trascorreva le serate in interminabili discussioni e qui aveva anche modo di aggiornarsi sulle molte riviste illustrate italiane ed europee che arrivavano in abbonamento. Durante la sua lunga presidenza ebbero luogo due trasferimenti di sede, che in entrambi i casi lo videro impegnato nell’allestimento delle sale; egli fu poi il principale artefice della Strenna uscita nel 1888, oltre che delegato del circolo in diverse commissioni di concorso, da quelle per conferire le borse di studio Rittmeyer, a quelle per i monumenti a Domenico Rossetti, nel 1895, e a Giuseppe Verdi nel 1901, i due primi monumenti ‘italiani’ sorti nella Trieste austriaca. Cessato il mandato presidenziale, i soci gli offrirono come ricordo una preziosa coppa d’argento, oggi conservata ai Civici Musei di storia ed arte. Dopo il giugno 1895, quando l’amico di sempre Antonio Lonza gli subentrò alla presidenza, i verbali del consiglio direttivo non lo videro più tra i presenti. L’attività per l’istituzione triestina non esaurì però i suoi impegni cittadini: dal 1873 era divenuto membro della consulta artistica del Curatorio del Museo Revoltella, e il 21 dicembre 1906 venne nominato membro del Curatorio dal Consiglio comunale, una carica che mantenne fino alla morte. Prima di questo prestigioso riconoscimento, che coronò una vita spesa per lo sviluppo dell’attività artistica a Trieste, Scomparini era stato anche membro della commissione edilizia, nominato dal Consiglio comunale nel 1905 insieme all’architetto Giacomo Zammattio e a Giovanni Mayer.
Tali nomine e riconoscimenti certificavano anche una posizione rilevante nella gerarchia sociale cittadina, cui forse non faceva riscontro una situazione economica altrettanto florida: ma nelle immagini dell’eclettico arredamento della casa di via Lazzareto Vecchio, palesemente esemplato su quello della celebre dimora viennese di Hans Makart, resta comunque di Scomparini la volontà di palesare la propria condizione di artista affermato.
Morì a Trieste il 17 marzo 1913.
A giudicare dall’enfasi dei lunghi articoli che sui quotidiani locali ne segnalarono il decesso, Scomparini era stato un artista amato soprattutto per la sua indubbia capacità di rappresentare al meglio le ambizioni di una società come quella triestina, legata alle proprie fortune commerciali, che però in quello scorcio del secolo andavano progressivamente declinando. Le complesse allegorie presenti nelle sue opere, che attingono al mondo tiepolesco attraverso la cultura figurativa della Vienna del Ring, sembrano quindi condensare in una sorta di artefatta mitologia le immagini di un progresso che altrove prendeva altre e ben più caratterizzate forme. Come Tiepolo aveva rappresentato l’ultima gloria di Venezia, Scomparini pare, in sedicesimo, farsi interprete del progressivo declinare di Trieste. In realtà gli unici confronti che egli aveva avuto con il panorama artistico internazionale, Vienna e Teplitz a parte, non erano stati precisamente dei successi. Più che una scelta, quella di restare a Trieste fu una necessità, al più mitigata dalle puntate fatte altrove per la decorazione di teatri e sipari. Quello che gli mancò fu l’aggiornamento puntuale sullo spettro di soluzioni che anche il panorama italiano offriva, prime tra tutte quella divisionista – anche nella dimensione ‘eroica’ di Pelizza da Volpedo – e quella verista rintracciabile nelle grandi opere decorative di Cesare Maccari, una soluzione che, se anche poteva aver conosciuto almeno dalle pagine dell’Illustrazione italiana o di Emporium, culturalmente non era in grado di recepire.
Tutto ciò non diminuì in alcun modo la grande fama di cui Scomparini godette a Trieste testimoniata anche dal fatto che il Museo Revoltella per lungo tempo gli abbia riservato un’intera sala con i materiali rimasti nell’atelier, venduti dalla vedova l’indomani della morte. Il legato coronava una serie d’iniziative seguite alla morte del pittore e portate avanti soprattutto dal Circolo artistico triestino, che organizzò una mostra retrospettiva delle sue opere: lo scopo dichiarato era di ricordare con affetto uno dei protagonisti della vita artistica cittadina e di custodirne a lungo la fama dopo la morte. Un intento che per molti versi ricordò, fatte le debite proporzioni, il commosso tributo di Venezia alla prematura scomparsa di Giacomo Favretto. Il cordoglio di molti protagonisti della vita artistica veneziana, quello ‘ufficiale’ ma tutt’altro che scontato di Pompeo Molmenti e dell’Accademia veneziana, l’interessamento del Corriere della Sera, principale quotidiano italiano, diedero eco a una scomparsa molto sentita anche al di fuori della città.
Fonti e Bibl.: Amleto, quadro di E. S., in Libertà e lavoro, V (1871), 20, p. 156; G. Caprin, Belle Arti. Ofelia, dipinto ad olio di E. S., ibid., VI (1872), 18, p. 144; Il caposcuola dei pittori triestini, in Corriere della Sera, 19 marzo 1913; C. Wostry, Storia del Circolo artistico di Trieste, Udine 1934, passim; S. E., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der Bildenden Künstler, XXX, Leipzig, 1936, p. 400; F. Firmiani, E. S., in Catalogo della Galleria d’arte moderna del Civico Museo Revoltella, a cura di F. Firmiani - S. Molesi, Trieste 1970, pp. 135 s.; R. Da Nova, E. S., in Arte nel Friuli-Venezia Giulia 1900-1950 (catal. Trieste), Pordenone 1982, pp. 14-16; E. S. pittura ed altro da Sedan a Sarajevo (catal.), Trieste 1984, pp. 27-129; F. Firmiani, Scomparini due, in Arte in Friuli. Arte a Trieste, VIII (1985), pp. 91-99; P. Fasolato, E. S., in Il mito sottile: pittura e scultura nella città di Svevo e Saba (catal.), a cura di R. Masiero, Trieste 1991, pp. 37 s.; F. Firmiani, S. E., in La pittura in Italia, L’Ottocento, II, Milano 1992, p. 1015; M. De Grassi, E. S., Trieste 2007; Id., E. S. tra ritrattistica e teatro, in Archeografo triestino, s. 4, LXXV (2015), pp. 311-342.