SCACCHI, Eugenio
– Nacque a Napoli l’8 ottobre 1854, in una famiglia di recente ma solida tradizione universitaria. Il padre, Arcangelo, era il professore di mineralogia e il maggior cristallografo italiano vivente, e la madre, Giovanna, era la figlia di Filippo Cassola, professore di chimica nell’Istituto di incoraggiamento di Napoli, che, per l’atteggiamento antiborbonico di suo figlio Carlo, era stato messo forzatamente a riposo.
Dopo gli studi classici nel regio liceo, Scacchi si iscrisse all’Università e si laureò a 20 anni in matematica pura e a 22 in ingegneria civile (1877). Il 6 giugno 1879 fu nominato assistente provvisorio presso il gabinetto di geodesia della stessa Università, diventandone incaricato il 30 gennaio 1880 per nomina ministeriale, ma rinunciandovi il 6 febbraio seguente per diventare coadiutore (con incarico annuale) del gabinetto e Museo di mineralogia, diretto dal padre che si era intanto convertito agli studi vulcanologici.
Nel Museo egli svolse gran parte della sua ricerca mineralogica, utilizzando campioni raccolti soprattutto dal padre e usandone gli stessi metodi cristallografico-morfologici, che egli però arricchì di accurate analisi chimiche. Nel primo anno d’attività pubblicò il suo primo lavoro (uno studio dei lapilli azzurri eruttati in prossimità del cratere del Vesuvio nel 1873), che lo portò anche al suo primo e unico vero successo mineralogico: la scoperta della nuova specie litidionite. Si tratta di minuscoli cristalli tabulari d’intenso colore azzurro, che egli misurò e analizzò riscontrandoli triclini e di formula CuNaKSi4O10. Egli sintetizzò inoltre il composto, ma la sua scoperta in natura fu a lungo contestata, fino a che, nel 1975, non poté essere confermata sul campione originale tramite i metodi della cristallografia strutturale ai raggi X (J.M.M. Pozas - G. Rossi - V. Tazzoli, Re-examination and crystal structure analysis of lithidionite, in American mineralogist, 1975, vol. 60, pp. 471-474).
Con gli studi su vari campioni museali, il 23 novembre 1885 ottenne la libera docenza in mineralogia e divenne professore incaricato di questa materia per gli studenti di farmacia. A differenza del padre, che non volle mai dedicarsi alla stesura di un libro di testo malgrado le sollecitazioni ricevute da molti colleghi, il giovane Scacchi fece raccogliere le sue lezioni a due volonterosi studenti di farmacia (Giuseppe Tortora e Giuseppe Campanella) e ne trasse un voluminoso scritto che stampò e successivamente distribuì come dispensa in tutti i suoi corsi (Lezioni di mineralogia, Napoli 1887-1888).
La sua ricerca continuò sempre all’ombra del padre e secondo le sue linee. Allo studio morfologico e chimico dei campioni vesuviani, infatti, aggiunse lo studio, soprattutto cristallografico e ottico, di composti chimici di sintesi sia inorganici sia organici, in parte da lui stesso sintetizzati e in parte ottenuti da colleghi chimici. Le sue pubblicazioni scientifiche furono una trentina in tutto, l’ultima delle quali nel 1909, eppure tra esse spiccano alcuni risultati di notevole interesse, tra cui il primo ritrovamento certo in natura della termonatrite, che ne permise la definitiva distinzione dal natron; il rinvenimento e lo studio morfologico della hauerite nella miniera di zolfo di Raddusa in Sicilia (approfondito per ben due volte); il riesame, sempre morfologico, della humite del Vesuvio: un problema, questo, affrontato da molti (incluso il padre Arcangelo), che per essere definitivamente risolto richiese misure goniometriche particolarmente precise. Tra i suoi pochi lavori di chimica organica, su preparati propri oppure fornitigli da colleghi, egli riprese perfino in esame la morfologia della cumarina, a suo tempo sintetizzata dal nonno Filippo Cassola. I principali studi riguardarono i fluossisali di vari metalli sintetizzati da Marussia Bakunin (1873-1960) quando era ancora una laureanda nell’istituto chimico napoletano. Altro fornitore di composti sintetici fu Francesco Mauro (1887-1952) e sui campioni fornitigli da questi Scacchi scoprì il primo caso di isomorfismo tra un composto di molibdeno e uno di niobio.
Dopo un insuccesso nel concorso di mineralogia bandito nel 1887 dall’Università di Pavia, nel 1889 Scacchi vinse il doppio concorso di questa materia bandito dalle Università di Genova e di Messina. Optò per Genova e a questo ateneo fu chiamato come professore straordinario il 18 novembre 1890, ma prese servizio solo per poco più di un mese. Infatti, in deroga alla norma (che allora richiedeva la permanenza per almeno un triennio come professore straordinario nell’università che effettuava la prima chiamata) e per motivi di necessità (il titolare, suo padre Arcangelo, aveva chiesto il collocamento a riposo perché affetto dai postumi di una grave emiparesi), egli ottenne quasi subito il trasferimento all’Università di Napoli (2 febbraio 1891), dove fu promosso professore ordinario di mineralogia il 1° dicembre 1895.
A partire da quella data, abbandonò quasi del tutto gli studi mineralogici e chimici, con l’eccezione di un qualche raro lavoro occasionale con cui fornì alcune precisazioni sulla morfologia di cristalli di specie già studiate. Tenne la cattedra fino alla fine dell’anno accademico 1927-28, ossia fino a poco prima della morte, avvenuta a Napoli l’8 febbraio 1929.
Nel corso del suo più che trentennale insegnamento, Scacchi, pur se restio (come lo era stato suo padre) a crearsi allievi, ebbe il merito di circondarsi di validi assistenti scelti tra allievi di colleghi che non potevano trovare subito una collocazione nei troppo ristretti ambiti delle università di provenienza.
Tra di loro, in particolare, ci furono due dei migliori geomineralisti dell’inizio del XX secolo. Giuseppe De Lorenzo (1871-1957), allievo a Napoli del geologo Francesco Bassani e libero docente di geologia, ottenne di essere nominato nel 1898 assistente di mineralogia, ma già nel 1905 abbandonò questo ruolo per la cattedra di geologia dell’Università di Catania, da cui tornò poi a Napoli come titolare di geografia fisica. Ferruccio Zambonini (1880-1932), allievo del mineralista Giovanni Struever a Roma, ebbe una carriera ancor più articolata. Fu prima assistente di chimica docimastica a Torino (1904-05), poi assistente di mineralogia a Napoli (1905-09) e qui completò la prima stesura della Mineralogia vesuviana (1906), che non è altro se non il catalogo ragionato dei minerali del Museo lasciato da Arcangelo Scacchi e continuamente arricchito da Eugenio e dallo stesso Zambonini. Vincitore del concorso di mineralogia per Sassari, egli passò di qui alle Università di Palermo e di Torino, prima di poter tornare a Napoli (1926) come professore di chimica generale, dove impostò una scuola che coniugava la chimica con la mineralogia e si interessava soprattutto ai sublimati delle fumarole vesuviane, ma che si esaurì presto, per la sua morte prematura. Da questa scuola uscirono due tra i massimi chimici (Vincenzo Caglioti) e mineralisti-geochimici (Guido Carobbi) italiani del primo Novecento.
Scacchi ebbe altri, molteplici interessi in campi lontanissimi dalla mineralogia. Spicca, tra tutti, la numismatica, relativamente alle sole emissioni di monete e di medaglie dell’Italia meridionale. Di fatto, egli pubblicò un solo lavoro (Sulle iniziali dei maestri di zecca nelle monete di Sicilia a partire da Carlo V, in Bollettino del Circolo numismatico napoletano, 1921, n. 3, pp. 3-10), ma operò in modo tale da diventare uno dei massimi riferimenti sulla materia. La sua collezione, comprendente 2859 esemplari (di cui 263 d’oro e 1700 d’argento), raggruppa in maniera sistematica tutte le emissioni del periodo che va dal VII secolo d.C. al 1861. Lasciata per testamento al Circolo numismatico napoletano, di cui Scacchi fu uno dei soci fondatori nel 1921, essa è attualmente in corso di digitalizzazione da parte del ministero del Beni e delle Attività culturali e del Turismo.
Fonti e Bibl.: Necrologi: F. Zambonini, in Atti della Società italiana per il progresso delle scienze, V Riunione 1911, Roma 1912, pp. 1-27 (estr.); E. Quercigh, in Atti dell’Accademia Pontaniana, s. 2, 1931, vol. 61, pp. 559-562; G. Rinaldi, in Notiziario del portale numismatico dello stato, 2013, n. 4, pp. 106-120 (fotografia a p. 106). Ulteriori informazioni: A. Scherillo, La storia del “Real Museo Mineralogico” di Napoli nella storia napoletana, in Atti dell’Accademia Pontaniana, n.s., 1965-1966, vol. 15, pp. 1-47 (fotografia Tav. XVI fig. 2); M. Taliercio, Il collezionismo numismatico nella Napoli postunitaria: la collezione di E. S., in Archivio storico per le provincie napoletane, 2013, vol. 130, pp. 297-332.