MANNI, Eugenio
Nacque a Modena il 31 maggio 1910 da Amos, insegnante nella scuola secondaria, e da Giovanna Ghia. Dopo la morte prematura del padre, svolse a Torino un periodo di apprendistato nell'industria automobilistica, presto interrotto per iscriversi alla facoltà di lettere della locale Università. Alla laurea seguì il perfezionamento in storia antica a Roma, con G. De Sanctis.
Alla figura dell'anziano maestro il M. rimase sempre legato, tanto da curarne l'edizione postuma di una serie di lezioni di argomento siciliano (Ricerche sulla storiografia siceliota, Palermo 1958).
Dopo un lungo periodo di insegnamento nella scuola secondaria, nel novembre 1950 il M. fu nominato professore ordinario di storia antica presso l'Università di Palermo, nella quale insegnò fino alla messa a riposo e dove fondò una florida scuola di studi storici, distinguendosi per una serie di iniziative destinate a mutare il quadro degli studi sulla Sicilia antica.
Al M. si devono: nel 1955, la creazione della rivista Kokalos. Studi pubblicati dall'Istituto di storia antica dell'Università di Palermo; nel 1957, la fondazione del Centro siciliano di studi storico-archeologici "B. Pace" e, nel 1968, quella dell'Istituto siciliano per la storia antica. Oltre alle collane di studi monografici da lui dirette in ambito accademico ("Sikelikà" e "Monumenta Siciliae antiqua"), l'intuizione di più ampio respiro del M. può essere riconosciuta nella creazione di una serie di congressi internazionali di studi sulla Sicilia antica, organizzati con cadenza quadriennale a partire dal 1964, grazie ai quali la ricerca antichistica siciliana si è dotata di uno spazio di incontro, a un tempo fisico e intellettuale, che ha accompagnato il progresso delle ricerche inteso come l'esito di un continuo dibattito interdisciplinare.
Il M. morì a Fiumalbo, nell'Appennino modenese, il 14 sett. 1989.
Durante il primo ventennio della sua attività scientifica (1933-53), si affermò in modo quasi esclusivo come storico romano.
Già il saggio giovanile su Romulus e parens patriae nell'ideologia politica e religiosa romana (in Mondo classico, IV [1934], pp. 106-128) si evidenzia per l'originalità dell'impostazione, mentre la sottolineatura del binomio politico-religioso presente nel titolo può essere considerata quasi la spia di un approccio personale che avrebbe caratterizzato la sua successiva produzione. Tale binomio è, per esempio, centrale nell'interpretazione che il M. propose, attraverso l'analisi dettagliata delle fonti, di un personaggio controverso e dibattuto come Catilina (Lucio Sergio Catilina, Firenze 1939); in particolare la ricerca spicca per lo spazio rivolto ai precedenti della congiura, offrendone una retrospettiva narrativa a partire dalla rivolta di Lepido e dalle agitazioni tribunizie degli anni Settanta, ispirate a un'esigenza di giustizia economica e sociale, secondo il M. più tardi fatta propria da Catilina, il quale avrebbe perseguito l'ideale di una generale regolarizzazione dei capite censi e avrebbe avuto a cuore il benessere del piccolo agricoltore italico. La coscienza di un progetto politico, infine, sarebbe stata radicata in uno specifico retroscena religioso, che il M. individua nel culto di Ma cappadocica, identificata con Bellona, introdotto in Italia da Silla e diffuso tra i suoi veterani e nelle classi più povere.
Gli anni immediatamente successivi alla guerra furono caratterizzati da una rinnovata attenzione del M. alla storia repubblicana, che si concretizzò nel volume Per la storia dei municipii fino alla guerra sociale (Roma 1947).
L'opera si compone di due parti: nella prima il M. difende la definizione di municipium offerta da Festo e ipotizza l'esistenza in epoca antecedente all'introduzione della civitas sine suffragio (per la quale pensa, sulla scia di Th. Mommsen, al 338 a.C.) di precedenti dei municipes, ovvero di membri di comunità straniere residenti in Roma, che godevano dei diritti di hospitium, commercium e connubium, ma che erano sottoposti ai munera, in modo non diverso dalla plebe romana; nella seconda, suggerisce un'origine non romana della dittatura e dell'edilità, quest'ultima riconnessa, forse per il tramite di un influsso etrusco, al servizio dell'aedes regia. Nello stesso tempo, il M. si sofferma sulle articolazioni magistratuali relative alle realtà locali, particolarmente in merito alla carica del quattuorvirato, sottolineando l'impossibilità di elaborare formulazioni generali su di una realtà tanto diversificata.
Negli stessi anni, il M. rivolse il suo interesse anche all'età imperiale, soffermandosi particolarmente su periodi di crisi come il 68-69 d.C. (Lotta politica e guerra civile nel 68-69 d.C., in Riv. di filologia e di istruzione classica, n.s., XXIV [1946], pp. 122-156) e, soprattutto, su quel torno di tempo, dal 193 al 268 d.C., che, dall'ascesa di Settimio Severo al breve impero di Gallieno, si caratterizzò per l'inarrestabile crisi dell'istituto del principato, ponendo le basi per l'inizio dell'impero tardoantico.
A un gruppo di studi su questioni cronologiche ed epigrafiche - relativo a Settimio Severo, Caracalla, Valeriano e Gallieno - fece seguito una breve monografia su quest'ultimo (L'impero di Gallieno. Contributo alla storia del III secolo, Roma 1949), accompagnata dalla traduzione e dal commento della relativa biografia della Historia Augusta (Trebellio Pollione. Le vite di Valeriano e Gallieno, Palermo 1951). Gallieno è, per il M., soprattutto il propugnatore di una politica antisenatoria, a causa della quale sarebbe stato screditato dalla tradizione storica e biografica di impronta aristocratica.
A partire dalla fine degli anni Quaranta, il M. consolidò il proprio interesse per il mondo ellenistico.
Anche in questo campo emerge a prima vista una dimensione erudita e filologica della ricerca, che vede scaglionarsi, nel corso di quasi un ventennio (1949-68), una serie di Note di cronologia ellenistica, che costituiscono la legittima premessa per il volume sui Fasti ellenistici e romani (ibid. 1961). Prima di questa, l'agile monografia su Demetrio Poliorcete (Roma 1952) rispecchia tale specifico nucleo di interessi, per la presenza di quattro appendici di argomento cronologico, geografico e storiografico. D'altro canto, a una narrazione fluida e continua della vita di Demetrio, il M. preferisce opporre l'approfondimento di singoli episodi connessi alla propaganda e, soprattutto, alla complessa strategia di alleanze matrimoniali messa in atto dal condottiero; emerge in particolare l'interesse per l'ambizioso disegno di un impero unitario destinato a soccombere di fronte alle tendenze particolaristiche degli altri Diadochi. Alla monografia si accompagnò poi l'edizione commentata di una delle fonti, la biografia plutarchea di Demetrio (Plutarchi vita Demetri Poliorcetae, Firenze 1953).
Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, la produzione scientifica del M. si rivolse in prevalenza alla storia siceliota e magnogreca, senza trascurare opere di carattere manualistico (Introduzione allo studio della storia greca e romana, Palermo 1951; Roma e l'Italia nel Mediterraneo antico, Torino 1973). L'anno di svolta può essere riconosciuto nel 1957, con la pubblicazione dei due primi lavori "siciliani", apparsi entrambi in Kokalos (III): Da Ippi a Diodoro (pp. 136-155) e Sicelo e l'origine dei Siculi (pp. 156-164).
I due articoli lumeggiano in modo efficace quelle aree di interesse che improntarono la produzione successiva del M.: la storiografia siceliota, l'interpretazione in chiave storica delle tradizioni mitiche, la protostoria siciliana. Nel saggio sulla figura di Ippi di Reggio, considerato dal M. l'iniziatore della storiografia occidentale, e in altri che lo seguirono, il M. delineò una sorta di traditio lampadis della storiografia occidentale, che da Ippi giunge a Diodoro, attraverso Antioco, Timeo, Filisto e Sileno; allo stesso tempo lo storico reggino è, per il M., simbolo di quella integrazione tra mondo magnogreco e siceliota, da lui approfondita secondo un approccio di tipo comparativo in studi quali Reggio e Messina nella prima metà del V secolo a.C. (in Klearchos, 1959, n. 3-4, pp. 61-75) o Sicilia e Magna Grecia nel V secolo (in Kokalos, XIV-XV [1969], pp. 95-111). Punto di arrivo della tradizione storiografica isolana è Diodoro, che il M. considera alla stregua di una summa pluristratificata di informazioni attinte ad autori più antichi, recepiti in modo fedele. In particolare il M. vide in Sileno di Calacte (III secolo a.C.) la fonte di tutta la storia italiota, siceliota e di Roma arcaica fino al XVIII libro della Biblioteca diodorea (Diodoro e la storia arcaica di Roma, ibid., XVI [1970], pp. 60-73; Ancora a proposito di Sileno-Diodoro, ibid., pp. 74-78; Diodoro e la storia italiota, ibid., XVII [1971], pp. 131-145).
Del pari importante è l'interesse del M. verso i popoli indigeni della Sicilia. Nel menzionato saggio su Sicelo, egli rivaluta l'importanza del sostrato indigeno isolano, a partire dalla stessa etimologia dell'ethnos siculo. Questo rimanderebbe a genti preindoeuropee, mentre il problema della doppia cronologia fornita dalle fonti antiche per il suo arrivo in Sicilia si risolverebbe in favore di una originaria coincidenza, cronologica e geografica, dei Siculi con gli stessi Sicani. Strettamente connesso con il problema indigeno è l'approccio storicistico del M. alle tradizioni mitiche relative alle figure di Cocalo, Minosse ed Eracle (Minosse ed Eracle nella Sicilia dell'età del bronzo, ibid., VIII [1962], pp. 6-29), interpretate come trasposizioni di eventi protostorici, che tradiscono contatti tra Sicani e Cretesi (leggenda di Cocalo e Minosse) o tra Sicani e Micenei (Eracle).
Tuttavia l'opera forse più emblematica degli interessi e della metodologia con cui il M. affrontò lo studio della Sicilia antica è Sicilia pagana (Palermo 1963).
Quella che, all'apparenza, si presenta come una trattazione di insieme della complessa realtà cultuale isolana, dal primo popolamento agli albori del cristianesimo, è in realtà uno "schizzo" mirato a ricostruire la persistenza e il continuo riaffiorare di quell'elemento primordiale, indigeno, rispetto al quale le forme religiose di volta in volta greche, semitiche o romane, si sono attestate, secondo il M., come componenti sovrastrutturali. L'obiettivo è, in altri termini, la ricostruzione dell'aspetto autoctono dei diversi culti, riconosciuto nell'idea primordiale della Grande Madre Terra: una chiave di lettura personalissima che non ha mancato di suscitare le critiche degli storici delle religioni, dato che ha a sua disposizione essenzialmente tradizioni greche o romane e che si pone in modo inconciliabile con la prospettiva di una dinamica interazione culturale tra gruppi indigeni e allogeni, impostasi negli studi più recenti. Di fatto, proprio una prospettiva di resistenza ai diversi colonizzatori è quella che, più di ogni altra, ha sottolineato il M., per esempio nel saggio su "Indigeni" e colonizzatori nella Sicilia preromana, in Assimilation et résistance à la culture gréco-romaine dans le monde ancien. VI Congrès international d'études classiques, Madrid… 1974, a cura di D.M. Pippidi, Bucuresti-Paris 1976, pp. 181-211.
L'attenzione ai progressi della ricerca archeologica siciliana, costantemente valorizzati in occasione dei congressi palermitani, traspare nell'ultima monografia del M., la Geografia fisica e politica della Sicilia antica (Palermo 1981), concepita come uno strumento sistematico di ricerca, limitato ai dati sicuri attingibili dalle fonti antiche, e rivolta agli studiosi interessati alla topografia della Sicilia antica.
La copiosa produzione scientifica del M., ricca di una dozzina di volumi e di circa centocinquanta contributi minori, è difficilmente riconducibile a una visione unitaria. All'iniziale romanista, attento ai problemi ideologici e religiosi, si è, infatti, andato affiancando dapprima lo studioso dell'alto ellenismo, interessato soprattutto all'utopia universalistica di Alessandro Magno e al suo successivo fallimento, e infine lo storico della Sicilia e della Magna Grecia, rivolto ai rapporti tra il sostrato indigeno e i popoli colonizzatori. Tale evoluzione, d'altra parte, si è sempre accompagnata alla coerente riproposizione di un severo metodo filologico, incentrato soprattutto su problemi di cronologia e di Quellenforschung, e all'apertura alla dimensione interdisciplinare della ricerca antichistica. Più che nelle singole acquisizioni delle tante ricerche condotte, è soprattutto nell'intenso fervore organizzativo, e nella connessa formazione di un'intera generazione di storici antichi, che può essere individuato l'impatto maggiore dell'attività del Manni.
Fonti e Bibl.: Necr., in Magna Graecia, XXIV (1989), 9-10, pp. 12 s.; Dialogues d'histoire ancienne, XV (1989), 2, pp. 17-21. La bibl. degli scritti del M., dal 1933 al 1980, è in Philias Charin. Miscellanea di studi classici in onore di E. M., I-VI, Roma 1980, I, pp. XVII-XXIII; successivamente, 88 studi minori del M. sono stati raccolti in Sikelika kai Italika. Scritti minori di storia antica della Sicilia e dell'Italia meridionale, I-II, Roma 1990. Vedi anche: N. Criniti, La tradizione catilinaria: interpretazioni provinciali italiane tra le due guerre mondiali, in Aevum, XLII (1968), pp. 114-120; F.P. Rizzo, E. M.: l'uomo e il maestro, Palermo 1990; Processo storico e metodologia nel pensiero di E. M., in Kokalos, XXXVI-XXXVII (1990-91), pp. 5-50 (contiene: D. Musti, Processi storici e metodologia nell'opera di E. M., pp. 10-16; L. Braccesi, E. M. e le aree periferiche alla grecità occidentale, pp. 17-22; G. Vallet, Il percorso intellettuale di uno storico, pp. 23-32; E. De Miro, E. M. e l'archeologia siciliana, pp. 33-41; M.L. Lazzarini, E. M. e l'epigrafia, pp. 42-45; P. Léveque, E. M. et l'histoire des religions, pp. 46-50); L. Moscati Castelnuovo, Sicilia e Magna Grecia negli scritti minori di E. M., in Revue belge de philologie et d'histoire, LXXIII (1995), pp. 149-156; N. Cusumano, I culti, in Nuove Effemeridi, IX (1996), p. 41; A. Pinzone, Bilanci e prospettive storiografiche, ibid., pp. 72 s.