FLORIAN, Eugenio
Nacque a Venezia il 25 nov. 1869 da Antonio e da Anna Veronese. Si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Padova e. ancora studente, fu redattore dei giornale genovese Colombo di cui era direttore A.G. Barrili.
Agli anni universitari risalgono gli inizi della collaborazione del F. al Gazzettino di Venezia, di cui divenne redattore stabile dopo la laurea. Anche in seguito egli mantenne saltuarie collaborazioni con il giornale, pur essendo quasi totalmente assorbito dall'attività di avvocato.
Si laureò nel 1862 con una tesi in diritto penale sui reati contro l'onore. Questo lavoro fu inserito poco dopo nella "Biblioteca antropologico-giuridica" degli editori Bocca di Torino e, nel maggio del 1893, in veste notevolmente ampliata, fu pubblicata a Torino con il titolo La teoria psicologica della diffamazione. Studio sociologico-giuridico. L'argomento fu ripreso molti anni dopo, nel 1939, nell'opera L'ingiuria e la diffamazione (Milano) di ben più vaste proporzioni, ma sostanzialmente identica quanto alle tematiche di base.
Il F., seguace della scuola positiva del diritto penale di cui divenne, dopo E. Ferri, uno dei massimi esponenti, fu fortemente attratto nello studio del reato più dall'elemento soggettivo che da quello oggettivo, e questa esigenza è alla radice di tutta la trattazione dei reati contro l'onore.
Partendo da una rivisitazione del concetto di animus iniuriandi, il F. sosteneva che il reato di diffamazione si sarebbe configurato solo quando il reo avesse perseguito esclusivamente il fine del disonore di colui che aveva colpito, ma non l'interesse generale.
Seguendo tale impostazione il F. superava la mera esegesi delle norme positive e ricollegava lo studio dei reati contro l'onore alla generale dinamica tra individuo e società, evidenziando l'importanza decisiva dell'indagine del movente, dei fini che hanno spinto ad agire.
Ne risultava trasformata anche la teoria dell'exceptio veritatis, il principio in base al quale non è punibile chi affermi il vero: il F., positivista, la coordinava con la teoria del fine. L'interprete avrebbe dovuto allora prima di tutto andare alla ricerca dell'elemento psicologico nel reato contro l'onore, e l'oggettiva verità dei fatti addebitati alla persona colpita di per sé avrebbe cessato di essere elemento discriminante, per rivestire semplicemente il ruolo di elemento di prova dell'effettiva volontà dell'agente.
Con riferimento poi alla funzione del diritto penale di preservare l'utilità sociale, nell'opera del F. l'indagine dei motivi che spingono ad agire ha la portata generale di discernere le azioni utili alla società da quelle degli elementi antisociali. Provata, allora, la verità del fatto, si dovrebbe procedere allo studio dell'elemento psicologico del reato in esame e condannare quell'autore che, pur affermando il vero, abbia agito per motivi abietti.
Sul finire del secolo il F. si trasferì a Roma, dove fu redattore della Cassazione unica penale negli anni 1896-1897, ed entrò in contatto con G. Cavaglieri, il fondatore, nel 1897, della Rivista italiana di sociologia. Insieme concepirono l'opera I vagabondi. studio sociologico giuridico (apparsa in due voll. a Torino, 1897 e 1900), dopo aver già collaborato nel 1894, a Venezia, alla stesura dei Programmi pel riconoscimento sociale. Lo stesso F. nel suo Schema di un'autobiografia intellettuale, una nota biobibliografica che fa parte integrante della raccolta F. maestro del positivismo penale, considerò l'opera come un'attuazione integrale del metodo positivo. Dallo stesso testo si apprende come lo scritto non ebbe nel mondo accademico italiano una grande fortuna. Del resto gli inizi della carriera accademica del F. non furono facili poiché la scuola classica predominava nella scienza giuridica italiana.
Di gran lunga più interessante è la seconda parte dell'opera che fu scritta esclusivamente dal Florian. Nell'impostazione generale la questione della sanzionabilità del fenomeno del vagabondaggio finisce per far parte integrante dei diritto penale. In ciò la questione preliminare se il vagabondaggio vada represso o vi sia necessità di una mera prevenzione viene risolto con gli strumenti della scienza giuridica penale. Per l'autore qualunque sia la risposta che si voglia dare al quesito della sanzionabilità del vagabondaggio, si rimarrebbe nell'ambito di una rilevanza penalistica: il riferimento al diritto criminale è considerato in ogni caso indispensabile anche se si volesse sostenere che il vagabondo vada trattato con misure preventive di polizia. Il F. ritiene infatti che le modalità di azione di tali organi dello Stato siano comunque oggetto di studio del diritto penale.
L'opera rispecchia la metodologia positivistica e il F. giunge alle definizioni puramente giuridiche solo dopo un lungo itinerario di ricerca sociologica e antropologica. Egli vuole che venga riconosciuto il carattere genuinamente giuridico del lavoro. Nello scritto il vagabondaggio è considerato come fatto non punibile, né se costituito dalla semplice mancanza dei domicilio, né se risultante dalla combinazione di questo elemento con la mancanza di occupazione e di mezzi di sussistenza. La mancanza o la presenza del primo elemento non starebbe più a differenziare, come aveva voluto la tradizione germanica, la figura del vagabondaggio semplice dal vagabondaggio qualificato, giacché quell'elemento deve comunque sussistere se si vuole parlare di vagabondaggio.
Senza di esso, le altre condizioni darebbero vita ad una fattispecie di reato nuova: quella del parassitismo, punibile però solo quando si configuri come parassitismo antisociale, ossia quello che non si limita a dipendere dall'organizzazione sociale, ma giunge a violarne le regole giuridiche. Sarebbero allora punibili solo quei parassiti che, pur validi al lavoro, mancano abitudinariamente di mezzi di sussistenza leciti per ignavia e oziosità.
Il F. divenne, dal 29 dic. 1902, professore straordinario di diritto e procedura penale e di diritto costituzionale presso l'università libera di Urbino: divenne ordinario nella stessa università il 7 ott. 1904, ma continuò l'insegnamento solo fino al 17 dicembre dello stesso anno, allorché preferì dimettersi.
A partire dall'ottobre del 1907 il F. assunse l'insegnamento di diritto e procedura giudiziaria presso l'istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Venezia, nella sezione magistrale e consolare, e tale incarico gli fu confermato anche per gli anni successivi, fino al 1910-11. Dopo un breve periodo di libera docenza di diritto e procedura penale all'università di Padova, partecipò, nel luglio 1912, al concorso a cattedra di professore straordinario, nello stesso insegnamento, nella regia università di Sassari. Dagli atti della commissione giudicatrice, presieduta da E. Ferri, emerge come la nuova scuola positiva del diritto penale non fosse pienamente accolta dal mondo scientifico.
Il F. fu nominato professore straordinario a Sassari con decreto del 30 dic. 1913 per rinuncia di U. Conti. Nel novembre 1914 ottenne l'incarico a Cagliari per l'insegnamento del diritto amministrativo e di scienza dell'amministrazione, oltre che delle materie penalistiche.
Nel 1915 chiese il trasferimento alla cattedra di diritto e procedura penale dell'università di Messina, rimasta vacante. Qui rimase solo un anno; quindi, su sua richiesta, dall'autunno del 1917 passò all'università di Siena.
Sempre nel 1917 avanzò istanza per la promozione a ordinario e pubblicò Delle prove penali (Milano; 2 ed. ampl., ibid. 1921; 3 ed., postuma, ibid. 1961).
Questo scritto richiamò particolarmente l'attenzione dei membri della commissione di concorso, fra cui A. Rocco ed E. Ferri, pur avendo il F. presentato altri due lavori: Il processo penale e il nuovo codice, ibid. 1914; I delitti contro la sicurezza dello Stato, ibid. 1915, e altri scritti minori. Nell'opera sostiene un metodo nuovo nella scienza giuridica, basato sull'indagine positiva - che supera l'indagine astratta puramente logica - e sul valido supporto delle scienze biologiche nello studio del delitto e dell'antropologia e della psicologia criminali, indispensabili strumenti per la conoscenza della personalità dell'imputato; metodo tanto più necessario quando si tratti di applicare misure di sicurezza e di estendere il giudizio penale anche ai non imputabili.
Le prove sono definite atti giuridici processuali, ma non del giudice o delle parti singolarmente presi, bensì del giudice e delle parti insieme. Il giudice, poi, non è più considerato l'unico destinatario della prova, la quale si rivolgerebbe invece a tutti i soggetti processuali: per il F. lo stesso obbligo del giudice di motivare la sua decisione avrebbe confermato come lo scopo della prova oltrepassi la figura di chi giudica e si espanda nella coscienza sociale per mezzo deglì strumenti di controllo che l'ordinamento dispone.
Uno studio approfondito viene dedicato alle interferenze dei diritto sostanziale in materia probatoria. Gli aspetti che vengono considerati come altrettanti terreni di incontro tra fenomeno processuale e diritto materiale sono tre: il fatto che il codice penale delinea il terreno, e quindi l'oggetto della prova; la limitazione che il diritto sostanziale fa nell'uso di un dato mezzo di prova per far emergere un determinato fatto; la delineazione di un fenomeno inverso in cui si riscontra che preoccupazioni di ordine probatorio hanno influenzato il legislatore nella delineazione della fattispecie sostanziale di reato, come quando non venga richiesta altra prova che il puro elemento materiale o nesso causale.
L'impostazione data dal F. nello studio della sistematica delle prove si mantenne a lungo d'attualità vista l'incidenza del tema sulla dinamica tra modello inquisitorio e modello accusatorio di processo penale: l'individuazione di tutti i soggetti del processo come destinatari della prova era una scelta incompatibile con un modello inquisitorio.
Dall'ottobre del 1919 il F. passò all'università di Modena, scambiando così la cattedra di Siena con Ugo Conti. Trasferitosi a Torino, dal 1926 al 1936, il F. tenne anche corsi di perfezionamento in antropologia criminale e diritto penale.
Si trattava di lezioni pomeridiane bisettimanali che erano campo di vivaci discussioni. In esse si realizzava il metodo della scuola positiva del diritto penale, ed esse a volte prendevano spunto dalle illustrazioni che al mattino M. Carrara, assistente di Lombroso nel servizio medico nelle carceri, aveva modo di fare sulle personalità criminali di alcuni detenuti. Il corso si avvaleva anche della collaborazione di E. Lugaro, direttore della clinica psichiatrica di Torino, e del filosofo A. Solari.
Nel 1910 aveva fondato, con A. Zerboglio, la Rivista di diritto e procedura penale fusa, nel 1921, con La Scuola positiva, di cui fu a lungo direttore.
Del F. va ricordata pure la Parte generale del diritto penale (Milano 1926), in due volumi, anch'essa opera di sintesi dei modi d'indagine della scuola positiva, nonché la brillante attività di avvocato penalista. Fu anche consigliere comunale e provinciale di Venezia e deputato nella XXVI legislatura (1922-24) per il Partito socialista italiano.
Il F. morì a Venezia il 28 marzo 1945 per emorragia cerebrale.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Professori universitari, serie I e II, fascc. 23, 55; Relaz. della Commissione giudicatrice al concorso alla cattedra di diritto e procedura penale nella R. università di Sassari, estratto del Boll. uff. del Ministero della Pubblica Istruzione, 12 febbr. 1914, n. 7, pp. 2 s.; T. Rovito, Letterati e giornalisti ital. contemporanei, Napoli 1922, p. 169; D. Galdi, Penalisti d'Italia, Napoli 1939, pp. 105-113; E. F. maestro del positivismo penale, Milano 1940, con la bibl. completa del F. al 1940; E. F., Homenaje (trad. dei precedente con aggiunta di altri saggi), Mexico 1940; Chi è?, 1936, p. 378; F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano, Dizionario biografico, II, Roma 1976, pp. 371-373. Per le circostanze legate alla morte del F., vedi la lettera del 16 apr. 1945 di Maria Florian a P. Fredas, riportata nella 3 ed. dell'opera Delle prove penali, Milano 1961, p. XIX.