CASCESE (Cajés, Caxés, Cascesi), Eugenio
Figlio del pittore aretino Patrizio e di Casilda de la Fuente, nacque in Spagna intorno al 1575 se si presta fede ad una sua personale dichiarazione del 1609, in cui afferma di avere trentaquattro anni.
Nonostante la nascita e la costante attività in terra spagnola, la cultura artistica del C. è prettamente italiana; egli è infatti insieme con i Carducci, oriundi fiorentini, tra i maggiori rappresentanti di quell'approssimativo naturalismo di radice accademica, particolarmente attento ai nuovi orientamenti della pittura destinata alle chiese, che si diffonde nella pittura spagnola all'aprirsi del Seicento e le cui origini sono state indicate appunto nei pittori e nella pittura toscani emigrati in Spagna.
Avviato all'arte probabilmente dal padre con il quale divise qualche commissione all'inizio della sua attività, appare però nelle sue prime opere note partecipe di una più moderna cultura manierista, più sensibile alla qualità pittorica e alla libertà dell'invenzione compositiva, che se non può considerarsi del tutto estranea alla appartata presenza del Greco, ben vivo e operante a Toledo, si pone però più particolarmente in rapporto con certi fatti dell'ultima fase del manierismo romano, dando ragione all'antica affermazione di J. Martinez (1675) circa un più o meno lungo, in ogni caso importante, soggiorno del C. a Roma. Specie la piccola ma preziosa Imposizione della casula a s. Ildefonso del Prado, firmata, ricorda i risultati più sottili di Giovanni de' Vecchi, un altro aretino le cui opere il C. poté conoscere a Roma, mentre altri dipinti come La caduta degli angeli ribelli, oggi a Copenaghen (Statens Museuin for Kunst), firmata e datata 1605 o la Assunzione della Vergine del Museo Cerralbo di Madrid, firmata, non mancano di allusioni anche alla prima e più brillante fase del Cavalier d'Arpino. Poiché il C. è documentato quasi ininterrottamente in Spagna a partire dal 1598, quando sposa Francisca Manzano, si deve supporre che il soggiorno romano sia precedente a quella data, cosa che ben si accorda con i legami stilistici venuti in evidenza. È probabilmente sulla scia di questo battesimo d'arte italiano che egli fu incaricato di copiare il Ratto di, Ganimede e la Leda del Correggio, allora entrambi di proprietà di Antonio Pérez e almeno il primo in procinto di essere venduto a Rodolfo II. Le copie sono oggi conservate entrambe al Prado, e per il Ganimede è registrato un pagamento del 1604. Di un'altra componente della cultura del C., acquisita probabilmente in un momento successivo, va tenuto conto: quella che affiora fin dall'Incontro di Gioacchino e Anna dell'Accademia di S. Ferdinando (quasi certamente parte del perduto retablo della chiesa di S. Felipe a Madrid, cui stava lavorando nel 1605) e che si fa più evidente nella notevole Adorazione dei Magi di Budapest (Museo di Belle Arti) e poi in molte altre sue opere; cioè l'influenza esercitata su di lui dagli amici fiorentini Bartolomeo e Vincenzo Carducci, pur essi in Spagna fin dal 1585, portatori in pittura, come si è già accennato, di un nuovo orientamento in senso naturalistico, che si usa indicare come "riforma" toscana. Il C. ne risente a fondo, soprattutto sotto l'aspetto compositivo, senza tuttavia rinunciare, almeno per tutto il primo decennio del secolo, ad una stesura astratta del colore, per larghi piani a fratture improvvise e con effetti alla Pontormo, accanto ai quali e non senza ragione il Longhi ricordava i risultati del fiorentino Andrea Boscoli. La grande Ultima cena della chiesa parrocchiale di Obrzycko in Polonia, proveniente dal monastero di Guadalupe, su cui si leggeva un tempo la firma e la data 1609 attualmente scomparse, è in questo senso esemplare.
Proprio in questi anni il C. partecipava insieme con il padre, i due Carducci e altri pittori alla decorazione del palazzo del Pardo, commissionata nel 1607 dopo un grave incendio che aveva distrutto gran parte dei lavori eseguiti: al C. fu affidata, come precisano i documenti (in Martin Gonzáles) e V. Carducci nei Diálogos, la sala delle udienze che ricevette da lui - secondo unatradizione ormai consolidata che aveva a Roma il suo centro di diffusione - un rivestimento di stucchi e spartimenti dorati, lunette con paesaggi, raffigurazioni di Virtù e al centro il Giudizio di Salomone. Fu questa probabilmente l'occasione per il rafforzarsi dei legami tra il C. e il più giovane Carducci, entrambi ricordati come pittori eccellenti da Lope de Vega già nel 1609 nella Jerusalèn Conquistada. La naturale amicizia tra conterranei diventò un sodalizio assai efficiente anche sul piano della vita quotidiana: entrambi pittori del re, entrambi beneficiari di una posizione di assoluto prestigio a corte, mantenuta con accortezza e senza incrinature almeno fino all'arrivo e al rapido affermarsi di Velázquez, insieme assunsero nel 1614 una delle più importanti commissioni del secondo decennio, cioè la decorazione della "capilla dei Sagrario" e dell'aula antistante nella cattedrale di Toledo, per la quale eseguirono molte tele e affleschi con grottesche e figure di Evangelisti e di Profeti nella volta e nella cupola, questi ultimi chiaramente ispirati ai modelli decorativi romani di fine secolo.
Se i documenti non fornissero un valido aiuto, sarebbe difficile districare nel complesso la parte di ciascuno dei due pittori singolarmente uniti da affinità stilistiche e compositive. Era già noto dalle minuziose clausole relative a questa commissione che tre tele destinate alla "capilla" dovevano essere spedite direttamente da Roma e recenti ricerche (cfr. catalogo Caravaggio..., 1973)hanno di fatto riconosciuto tra quelle del C. e del Carducci tre opere del Saraceni, di carattere ormai caravaggesco, che dovettero avere qualche peso sull'ulteriore evoluzione del C., insieme con altre testimonianze della nuova svolta naturalistica come i pezzi spediti dal Borgianni per il convento di Portacoeli di Valladolid, le opere di G. B. Majno per S. Pedro Mártir di Toledo e l'Adorazione dei Magi che l'allievo del C. Antonio Lanchares firmava già nel 1612 (oggi a Madrid, Abelardo Linares) certamente dopo un soggiorno italiano.
Il C. appare infatti nella S. Leocadia dipinta per la chiesa omonima di Toledo nel 1616 e più particolarinente nella Vergine con il Bambino dormiente e angeli del Prado (la cui data di difficile lettura oscilla fra il 1613 e il 1618) e poi nelle varie versioni del Cristo meditante sul Calvario a Barcellona (università) e a Las Mercedarias de Don Juan de Alarcón a Madrid (1619), nel retablo di Algete (1619) più sensibile ad una presentazione di tranquilla ed essenziale evidenza, con attenzioni luministiche più accentuate che non possono intendersi Se non nella sfera di un sia pure indiretto caravaggismo.
Si tratta però di una fase abbastanza breve e neppure del tutto coerente, che lascia presto il passo a ricerche di materia pittorica più sciolta, a tratti quasi liquida, alla veneziana, promosse forse dalla assillante presenza del Velázquez ma comunque applicate entro un contesto culturale di intenzioni ancora e soltanto schiettamente controriformistiche che è proprio del C. come del Carducci e dell'ultimo aggregato al sodalizio di oriundi toscani, Angelo Nardi.
Intensa appare dai referti archivistici l'attività del C. fino alla morte; comprende, oltre alle opere già citate, commissioni per privati e quadri singoli per chiese e conventi, importanti retablos per chiese di Avila, di Zafra, per le chiese madrilene ced Calzada, di S. Antonio dei Portoghesi, per Torrelaguna, e così via. Al momento della morte stava lavorando a due grandi storie per il Buen Retiro: La riconquista dell'isola di Puerto Rico per mano di don Juan de Haro, oggial Prado, che non riuscì a finire e per la quale i documenti ricordano la collaborazione di Luis Fernández e di Antonio Puga, celebrato come pittore di paesi, e L'espulsione degli Olandesi dall'isola di San Martino che dovette essere da lui anche firmata ma è andata perduta. Gli si attribuiva tradizionalmente la Difesa di Cadice che poi il Longhi (1927) rivendicò invece a Zurbarán giustamente, come hanno poi dimostrato i documenti ritrovati da M. L. Caturla.
Il C. morì a Madrid nel 1634.
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