ARTOM, Eugenio
Nacque ad Asti, il 17 febbr. 1896, da Vittorio e da Gemma Pugliese. La madre morì alla sua nascita; ed egli, insieme con la sorella Henriette e con il fratello Camillo, fu allevato dalla nonna paterna, Enrichetta Ottolenghi. Compì privatamente gli studi nella casa paterna, sino a quando la famiglia si trasferì a Roma. Qui egli si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, dove si laureò, nel 1919, con una tesi su "Le funzioni costituzionali del capo dello Stato". Il suo corso di studi fu però interrotto dalla prima guerra mondiale. Discendente da una antica famiglia piemontese, ricca di tradizioni risorgimentali (alla quale era anche appartenuto Isacco Artom, segretario del Cavour), il giovane A. vide in quel conflitto l'ultima guerra del Risorgimento italiano che sentì "collegata a sacertà di ricordi, a costanza di tradizioni, a miti vissuti, non come guerra di conquista, ma come guerra di liberazione, nello stesso modo come erano state vissute quelle del '48, del '59, del '66" (24maggio 1915-1965. L'inizio di una nuova era, in Politica liberale, XVI [1965], n. 5, il C. si arruolò volontario e fu promosso successivamente caporale, sergente e, infine, sottotenente del reggimento Lancieri di Firenze e, con tale grado, fu inviato al fronte, nell'aprile 1917. Per il suo comportamento meritò la croce di guerra e la medaglia di bronzo al valore.
Alla fine del conflitto iniziò la sua attività di pubblicista, con alcune inchieste giornalistiche per La Tribuna di Roma e, nel '21, pubblicò a Torino i Lineamenti della crisi sociale, opera nata dalle sue riflessioni sulla situazione italiana scaturita dalla guerra.
L'A. dedicava la prima parte del suo lavoro a riaffermare la modernità della concezione individualistica della società, sia nella politica, sia nell'economia; ma non si nascondeva le contraddizioni emergenti nell'ordine politico liberale dal contrasto tra la possibilità riconosciuta ad ognuno di partecipare al governo della nazione e lo sfruttamento di grandi masse umane, escluse dall'esercizio dei diritti democratici e di libertà, a causa della loro povertà economica. La progressiva evoluzione del sistema economico che aveva portato alla formazione di trust, cartelli e monopoli aveva accresciuto il disagio e il malcontento delle classi subalterne e la loro potenziale ribellione. La guerra aveva poi fatto precipitare lo scontro, a causa dei gravi fenomeni che ne erano derivati: straordinarie fortune accumulate dagli speculatori, inflazione crescente, rovina economica dei ceti medi ed erosione dei salari. Ne era derivato uno scontro sociale e politico di grande violenza che esigeva, adesso, un profondo rinnovamento, ma anche il rifiuto della soluzione utopica di una società senza classi che, a suo giudizio, avrebbe dato luogo soltanto ad un assoluto rafforzamento del potere dei burocrati di partito. L'unica soluzione possibile era indicata dall'A. nel rifiuto di ogni irrazionalismo, nel ripudio della lotta di classe e nella ricerca di un diverso equilibrio tra le classi stesse e di una minore disparità economica tra gli individui. Si doveva perciò affermare il nuovo concetto d'"impresa", considerata come l'insieme organico di diversi elementi: capitale, lavoro e funzione dei tecnici; e occorreva fare dell'idea di "nazione" il principio di una rinnovata solidarietà contro la guerra civile che stava già lacerando la società italiana. L'A. non dimostrava alcuna simpatia per i nazionalisti ed i fascisti, ma prendeva pure le distanze dalle concezioni gobettiane, dimostrando, se mai, un significativo interesse per taluni aspetti delle proposte dell'Ordinenuovo. Il libro, che recava un'introduzione di Achille Loria, fu subito recensito da Carlo Rosselli sulla Critica sociale (15-30 dic. 1921, p. 384); e ne derivò un interessante scambio epistolare tra i due giovani (Tranfaglia, pp. 94-107).
Dopo la formazione del Partito liberale italiano (8 ott. 1922), l'A. militò nelle sue file; per le elezioni del 6 apr. 1924, in qualità di rappresentante dei liberali di Alessandria, fu tra coloro che, dopo accesi dibattiti, rifiutarono di aderire al "listone" governativo, presentandosi senza successo come candidato nella lista autonoma capeggiata da Giolitti nel difficile collegio di Alessandria. Dopo il delitto Matteotti, l'A. si schierò con le opposizioni e fece parte del consiglio della sezione liberale di Roma, finché questa non fu sciolta, agli inizi del '26. Con il pieno avvento della dittatura fascista, dové abbandonare ogni attività politica e limitarsi alla vita professionale di avvocato. Proprio nella sua qualità di uomo di legge, dimostrò, nella pratica, la sua opposizione al fascismo, prestando aiuto ai colleghi perseguitati e cooperando alla difesa degli imputati politici, organizzata dal Soccorso rosso.
La sua competenza professionale gli valse, però, anche importanti incarichi, tra i quali soprattutto rilevante quello di membro del consiglio di reggenza della Banca d'Italia che, nel '32, lo incaricò di rappresentarla nella liquidazione del Credito marittimo. Divenne così consigliere della società fiduciaria creata dalla banca stessa, presiedendo, in tale qualità, un importante gruppo di società immobiliari ed agricole ed avendo parte di rilievo nel risanamento di varie imprese marmifere ed industriali. Ma quando la società passò all'IRI, l'A., non iscritto al Partito nazionale fascista ed anzi considerato antifascista e sorvegliato dalle autorità di polizia, dovette abbandonare il suo incarico e lasciare anche la professione di avvocato.
Nel '27 aveva sposato Giuliana Treves, figlia dell'avvocato fiorentino Guido, importante personalità del mondo finanziario italiano; e questi, nel '34, nella sua qualità di amministratore delegato della società di assicurazioni La Fondiaria, lo chiamò a Firenze, ove l'A. rivestì la carica di amministratore delegato aggiunto della medesima società. Ma, nel '38, in seguito alle leggi razziali, fu costretto a sospendere anche questa attività.
Pur non avendo svolto sino a quel momento particolari attività in seno alle istituzioni ebraiche, nel '39 l'A. entrò a far parte del consiglio della comunità israelitica di Firenze, prodigandosi in ogni modo a favore dei propri correligionari. Dopo l'occupazione tedesca della città, seguita all'armistizio dell'8 sett. 1943, la situazione divenne drammatica.
Come egli espose, nel maggio '45, in una relazione alla riattivata comunità, il primo problema da affrontare fu quello di provvedere all'assistenza ai molti ebrei affluiti a Firenze, per i quali si operò in vario modo, con il loro ricovero temporaneo, con sussidi e con il loro avviamento verso il Sud. Quando, poi, l'A. seppe che le autorità germaniche stavano per chiedere un elenco generale degli ebrei e preparavano una lista di ostaggi, ordinò la chiusura della comunità, informando del pericolo quanti più poté; ed egli stesso passò nella clandestinità. Dopo il primo grande rastrellamento operato nel novembre 1943, con il concorso del cardinale E. Dalla Costa riuscì a provvedere all'assistenza degli ebrei fiorentini, ai quali fu corrisposto un sussidio mensile ai cui fondi provvidero sia le autorità ecclesiastiche, sia i pochi ebrei abbienti ancora presenti in città; l'A. si occupò della non facile raccolta dei fondi (Ritratto di un italiano…, pp. 15-17).
Frattanto, già dal '42, aveva ripreso anche l'attività politica, in stretto contatto con Ivanoe Bonomi e con altri esponenti liberali sia di Firenze, sia di Roma; dopo il 25 luglio '43, partecipò alla ricostruzione del partito liberale a Firenze. All'indomani dell'armistizio e dell'occupazione, fu attivo promotore del Comando militare interpartitico (il "Comando Marte"), posto alle dipendenze del Comitato toscano di liberazione nazionale. Per la sua partecipazione alla Resistenza fu decorato di un'altra croce di guerra.
Nell'aprile 1944, redasse e pubblicò clandestinamente l'opuscolo Le nostre idee (s.n.t., ma Firenze 1944), formulazione del programma che doveva ispirare l'azione della sezione toscana del partito liberale.
Per l'A., il nuovo liberalismo non doveva essere un movimento conservatore e, anzi, avrebbe dovuto riconoscere gli errori compiuti dalla classe dirigente prefascista e farsi intransigente difensore di un sistema costituzionale di garanzie dei diritti e delle libertà individuali e propugnatore di un funzionamento giusto ed imparziale dell'amministrazione dello Stato. La nuova realtà politica lo induceva inoltre ad accettare il principio delle autonomie locali come possibili strumenti di decentramento amministrativo del paese; ed avvertiva la necessità che il partito liberale si facesse promotore di un'equa distribuzione dei redditi, in vista di una maggiore giustizia sociale. Tali idee egli ribadì e sviluppò nel foglio clandestino L'Opinione, organo del partito liberale toscano che, non a caso, riprendeva la testata del giornale che era stato interprete dei programmi cavouriani, quasi a sottolineare la continuità con il più avanzato liberalismo risorgimentale.
Dopo la liberazione di Firenze, l'A. continuò la sua partecipazione al Comitato di liberazione nazionale toscano, in rappresentanza dei liberali, e temporaneamente ne assunse anche la presidenza.
Nel '45, l'A. cominciò a svolgere un'intensa attività politica anche in ambito nazionale; nell'estate fu chiamato a far parte della Consulta nazionale, in rappresentanza del partito liberale; e recò un notevole contributo ai dibattiti di carattere economico e finanziario. Poi, dal 23 apr. al 3 maggio 1946, partecipò al I congresso nazionale delpartito liberale, riferendo sui lavori in un ampio articolo apparso sul Mondo (15 maggio '46), la rivista fiorentina alla quale collaborava sin dagli inizi. La conclusione del congresso che, a maggioranza, optò per il mantenimento della monarchia provocò una grave crisi nella sezione fiorentina, resa ancora più acuta dai risultati delle elezioni per l'Assemblea costituente, assai deludenti per i liberali. L'A., amareggiato dall'uscita dei gruppi di sinistra capeggiati da A. Medici Tornaquinci, sospese per qualche tempo la sua attività politica, ma restò nel partito.
Nel novembre 1946 fu eletto consigliere comunale, insieme con V. Fossombroni, e, durante il suo mandato, fu all'opposizione della giunta di sinistra capeggiata dal sindaco comunista Mario Fabiani, pur mostrando una piena disponibilità alla collaborazione su problemi concreti. Alle elezioni amministrative del '51, l'A. che, già nel '50, aveva aderito al Comitato per l'unificazione e la mobilitazione delle forze liberali, fu nuovamente eletto. Nella amministrazione centrista capeggiata da Giorgio La Pira ebbe l'assessorato agli Affari Legali e all'Urbanistica che lo impegnò in una difficile battaglia contro gli abusi edilizi. La presenza dei liberali nella giunta durò sino al '54, quando ne uscirono, per gravi contrasti con il sindaco. Il distacco dei liberali dai democristiani fu confermato anche dopo le elezioni del '56 e le successive crisi che, tra il '57 ed il '60, resero impossibile la formazione di un governo comunale e imposero la prolungata presenza di un commissario prefettizio. Come consigliere comunale, l'A. continuò ad occuparsi, soprattutto, di problemi urbanistici e fu tra coloro che più si opposero alla formazione di una "grande destra" che riunisse i liberali, i monarchici e i missini. Le elezioni del novembre '60, nelle quali fu rieletto, segnarono un relativo successo per i liberali fiorentini; ma non impedirono la formazione della prima giunta di centro-sinistra, sempre capeggiata dal La Pira. L'A. fu rieletto nuovamente nelle elezioni amministrative del '64 e in quelle successive del '66, rese necessarie dalla caduta della giunta presieduta dal socialista Lelio Lagorio.
All'interno del partito liberale, egli fu, dal '63 al '68, presidente della direzione provinciale fiorentina e, dal '64, presidente del comitato regionale toscano; dal '63 fece parte anche della direzione centrale liberale e, nel '71, fu eletto vicepresidente nazionale del partito. Fu anche membro del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, prima di essere eletto senatore, nelle elezioni politiche del '63 che segnarono una notevole ripresa liberale. Partecipò attivamente ai lavori del Senato e, in particolare, svolse una critica decisa alla legge regionale, con un discorso tenuto il 19 genn. 1968 (Contro la legge regionale. Discorso pronunciato al Senato della Repubblica nella seduta del19gennaio 1968, Roma s.a.). Non fu rieletto al Senato nelle elezioni del '68 e neppure consigliere comunale nelle elezioni amministrative del '70.
L'impegno politico fu solo uno degli aspetti dell'attività dell'A. nel secondo dopoguerra. Dopo aver ripreso il suo posto a La Fondiaria, nel '53 fu nominato vicepresidente e, poco dopo, presidente della Associazione nazionale delle imprese assicuratrici, dove svolse, sino al '72, un'intensa attività per lo sviluppo della previdenza e delle assicurazioni in Italia. Particolarmente importante fu il suo intervento nell'elaborazione della legge sulle assicurazioni obbligatorie delle autovetture. Nel '72 divenne, presidente e amministratore delegato de La Fondiaria, cariche che mantenne sino alla morte. Fu pure membro del Comité européen d'assurances, di cui fu presidente alla fondazione e quindi presidente del gruppo di lavoro Marché commun. Fu, inoltre, a partire dal '47, membro particolarmente attivo e poi presidente ('50-'64) del consiglio dell'Istituto nazionale dei ciechi del quale continuò a far parte anche in seguito; fu pure trustee, dal '63, del British Institute di Firenze e, dal '58, presidente della Commissione pro Meyer a favore dell'ospedale pediatrico della città. Infine, dopo l'alluvione del novembre '66, ebbe notevole parte in varie iniziative volte a stimolare la ripresa economica di Firenze e, in particolare, nell'organizzazione delle mostre dell'antiquariato tenute in palazzo Strozzi.
Non meno costante fu il suo lavoro di storico del Risorgimento italiano che iniziò nel '42, con una recensione nella Nuova Rivista storica (XXVI [1942], n. 3-4, pp. 283-287) dell'opera di C. Calcaterra, I filopatridi, e proseguì ininterrottamente sino alla morte. Libero docente di storia del Risorgimento dal '48, tenne anche un corso nella facoltà di magistero dell'università di Firenze e vari cicli di lezioni alla Scuola per stranieri dell'università di Siena; fu tra i fondatori della Società toscana per la storia del Risorgimento da lui presieduta sino alla sua scomparsa. Diresse pure, dalle origini, la Rassegna storica toscana. Tra le sue opere storiche più importanti (per le quali cfr. la bibliografia raccolta in Ricordo di E. A., pp. 55-62, e in P. Baldesi, pp. 183-216, ove sono elencati anche gli scritti di argomento politico, amministrativo, quelli inerenti a questioni assicurative e altri di varia natura), vanno ricordati i volumi: Lord Palmerston nella sua vigilia politica (Firenze 1946), Un compagno di Menotti e di Mazzini: Angelo Usiglio (Modena 1949), e i saggi: La politica estera di Lord Palmerston, in Nuova Riv. stor., XXX (1946), pp. 308-349; L'Inghilterra e la questione italiana alla vigiliadel Quarantotto, in Arch. stor. ital., CVI (1948), pp. 19-61; Sulla missione di Lord Minto in Italia, in Atti e mem. del XXVII congresso nazionale dell'Ist. per la storia del Risorg. ital., Milano 19-21marzo 1948, Milano 1948, pp. 55-74; Il Conciliatore, in Il Risorgimento, I (1949), pp. 69-85; Il problema del decennio toscano dal 1848 al 1859, in Bull. senese di storia patria, X-XI (1951-52), pp. 5-18; L'abolizione dello Statuto toscano, in Rass. stor. del Risorg., XXXIX (1952), pp. 366-382; Alfieri e il suo Piemonte, in Il Risorgimento, VIII (1956), pp. 69-92; La politica interna in Italia dal 1878 al 1900, in Rass. stor. toscana, II (1956), pp. 267-290; Il problema politico dei cattolici italiani nel XIX secolo, ibid., IV (1958), pp. 215-237; Italia e Francia nell'età della Restaurazione, ibid., VIII (1962), pp. 103-123; Riflessioni sulla Resistenza, in Nuova Antologia, CI (1966), pp. 347-364; Il Partito liberale italiano nella Resistenza (relazione ciclostilata al Conv. per la storia del movimento della Resistenza italiana, Milano 15-17 nov. 1968); L'evoluzione dell'idea repubblicana nel Risorgimento, in Rass. stor. toscana, XVII (1971), pp. 137-155; Aspetti della caduta della Destra, ibid., XIX (1973), pp. 5-23; Ricordo di Alessandro Levi, ibid., XX (1974), pp. 37-46.
L'A. morì a Firenze il 17 luglio 1975.
Bibl.: N. Tranfaglia, Rosselli dall'interventismo a "Giustizia e Libertà", Bari 1968, ad Indicem; F. Valsecchi, E. A., in Rass. stor. del Risorg., LXII (1975), pp. 489-499; L'assicurazione in Italia fino all'Unità. Saggi storici in onore di E. A., a cura dell'ANIA, Milano 1975, pp. III-IV; Ritratto di un italiano: E. A., 1896-1975, Firenze s.d.; Società toscana per la storia del Risorg., Ricordo di E. A., Firenze 1976; P. Baldesi, Un'esperienza liberale: E. A., Livorno 1985.