EUGENIA (Maria-Eugenia-Ignazia-Agostina) Bonaparte, imperatrice dei Francesi
Nacque a Granata in Ispagna il 5 maggio 1826, morì a Madrid l'11 luglio 1920. Era figlia del conte Cipriano Guzmán y Porto Carrero, conte di Teba e di Montijo, duca di Peñaranda e di Maria Manuela Kirkpatrick, americana di origine scozzese. Quest'ultima, rimasta vedova, si stabilì in Francia con la figlia minore Eugenia, mentre la maggiore Maria aveva fin dal 1844 sposato il duca d'Alba. Il principe Luigi Napoleone che, dopo il colpo di stato del 2 dicembre 1851 aveva scambiato la presidenza della Repubblica francese col trono imperiale, s'invaghì della bellissima contessina di Montijo, introdotta dalla madre nell'alta società e abituata alla famigliarità con letterati quali lo Stendhal e il Mérimée. Un soggiorno delle Montijo a Compiègne maturò la decisione di Napoleone III, che il 22 gennaio 1853 annunciò ai presidenti del Senato, del Corpo legislativo e del Consiglio di stato il suo fidanzamento. Il matrimonio civile ebbe luogo nel palazzo delle Tuileries il 29 gennaio e l'indomani fu celebrato quello religioso nella cattedrale di Notre Dame. Nei primi tempi dell'impero E. mostrava di dividere le simpatie del marito per l'Italia e per la casa di Savoia; ma quando queste vennero a trovarsi in crescente dissenso con la S. Sede, la divozione alquanto ristretta della giovane Spagnola la rese sempre meno propensa alla causa italiana. Se ne ebbero le prime prove allorché, nato il 16 marzo 1856 un figlio maschio all'imperatore, la madre desiderò che avesse a padrino di battesimo il papa Pio IX e se ne vide la ripercussione nel raffreddarsi dell'interessamento della sovrana per i plenipotenziarî sardi al congresso di Parigi. Da allora in poi la benevolenza che l'imperatrice mantenne vivissima per taluni Italiani, quali il conte Francesco Arese e poi il Nigra, non impedì che essa si sforzasse di trattenere Napoleone III nella sua politica a vantaggio del Risorgimento italiano.
Già durante la campagna del 1859 l'imperatrice aveva temuto che il consorte sfidasse pericolosamente l'impopolarità, imponendo al popolo riluttante l'onere della guerra per interessi non suoi. Essa scriveva però in uno sfogo confidente all'Arese che lavorava più che poteva "à devenir italienne". Sforzo e risultato che parvero effimeri, se pure si realizzarono; perché l'irritazione degli Italiani contro l'armistizio di Villafranca fu dall'imperatrice scambiata per ingratitudine e la soddisfazione ch'essa provò per l'annessione di Nizza e della Savoia fu ben presto cancellata dalla sua trepidanza per il potere temporale dei papi, che vedeva minacciato dalle insurrezioni e dalle annessioni dell'Italia centrale.
L'atteggiamento che il conte di Cavour dovette assumere nel 1861 contro il giovane re Francesco II di Napoli per assicurare l'unità italiana provocò altre riluttanze dell'imperatrice ad accettare i fatti compiuti. Soltanto dopo la morte del conte di Cavour e l'insuccesso delle trattative da lui avviate con la S. Sede per la rinuncia del potere temporale, l'imperatrice parve acconciarsi all'esistenza dell'alleanza franco-italiana, purché sulla piattaforma di rassegnata attesa che il Drouyn de Lhuys credeva di essersi garantita con la Convenzione di settembre. Alle schiette preoccupazioni ispiratele dalla sua concezione religiosa, che fecero dell'imperatrice la grande paladina del mantenimento delle truppe francesi a Roma, si venivano aggiungendo, man mano che la salute di Napoleone III declinava, pericolose velleità della sovrana d'ingerirsi nella politica generale, certo con ansietà di sposa e di madre, ma obbedendo spesso a influenze imponderabili e irresponsabili.
Nella crisi politica che seguì alla campagna vittoriosa della Prussia, l'imperatrice E. fu chiamata dal marito a partecipare al famoso consiglio del 5 luglio 1866, in cui fu decisa la rinuncia alla mediazione armata proposta dal Drouyn de Lhuys. Da quella epoca in poi l'ingerenza della sovrana, sospinta dalle ansie materne, si fece sempre più costante e visibile in tutta l'attività politica del regime, sì da provocare le lagnanze del più antico dei collaboratori dell'imperatrice, il duca di Persigny. L'imperatrice E. diede prova di un'accorata pietà ricevendo la sventurata imperatrice Carlotta del Messico, ma nulla poté fare per evitare la catastrofe di Querétaro. Accompagnò Napoleone III nel viaggio a Salisburgo che si volle configurare come una manifestazione di simpatia nel lutto della casa d'Asburgo.
Spinta verosimilmente dal desiderio di assicurare la trasmissione del trono al figlio, l'imperatrice profittò dell'ascendente sempre maggiore che aveva saputo acquistare sul marito per farsi designare reggente. La suscettibilità nei riguardi del figlio provocò in le risentimenti pericolosi verso le critiche degli oppositori e le manifestazioni come quella del figlio del repubblicano Cavaignac, che rifiutò di ricevere dalle mani del principe imperiale un premio scolastico. Dominata da queste preoccupazioni intervenne spesso nei consigli della Corona e forzò la mano a Napoleone III, trattenendolo dal concludere nel 1869 l'alleanza con l'Austria e l'Italia, che avrebbe dovuto avere per prezzo l'evacuazione di Roma da parte delle truppe francesi.
Scoppiata la gravissima crisi del luglio 1870, l'imperatrice, accecata dal timore che l'arrendevolezza verso la Germania minacciasse il prestigio della dinastia, contribuì a far abbandonare il progetto di congresso vagheggiato il 14 luglio da Napoleone III. Investita da questo della reggenza, subì le più pericolose illusioni del potere e ostinatasi a non rinunciarvi appoggiò tutti i piani che potessero escludere il ritorno dell'imperatore a Parigi. Si arbitrò a far convocare il Corpo legislativo dopo i primi disastri militari dell'agosto, ed ebbe grande influenza nella sostituzione del ministero presieduto dal conte di Palikao a quello dell'Ollivier. Solo il 4 settembre si rifiutò di affrontare le terribili incognite di una guerra civile e cessò da ogni resistenza mostrandosi disposta a cedere il potere al Corpo legislativo. La prevalenza dei repubblicani in quella giornata costrinse l'imperatrice ad abbandonare clandestinamente il castello delle Tuileries con l'aiuto degl'inviati dell'Austria e dell'Italia, principe di Metternich e conte Nigra. Riparò in casa di un dentista americano, il dottor Evans, che la condusse nella sua carrozza a Deauville sulla costa normanna, donde un gentiluomo inglese, sir John Burgoyne, la trasportò sul suo yacht in Inghilterra durante una furiosa tempesta. Quivi la disgraziata sovrana poté ricongiungersi col giovane principe imperiale, che attraverso il Belgio si era pure riparato in territorio britannico. Soprattutto dopo la morte di Napoleone III avvenuta nel 1873 a Chislehurst, l'imperatrice si consacrò con appassionato fervore all'educazione del figlio, ma ebbe lo strazio di vederlo cadere nel 1879 vittima degli Zulù durante una spedizione coloniale britannica alla quale egli aveva ottenuto di partecipare. Visse abbastanza a lungo per poter organizzare, novantenne, nella sua residenza inglese di Farnborough, un ospedale per i feriti della guerra mondiale.
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