DELACROIX, Eugène
Pittore e incisore, nato a CharentonSaint-Maurice il 25 aprile 1798, morto a Parigi il 13 agosto 1863. Ricevuta al liceo una buona preparazione umanistica, allievo senza successo del Guérin nel 1816 e alla Scuola di belle arti nel 1818, non fa il classico viaggio d'Italia, che sempre sogna. In compenso, visita Gros, posa per l'amico Géricault nel Radeau de la Méduse (1819), frequenta in seguito V. Hugo e A. Dumas, però abbandona presto la "banda romantica".
Nella sua opera immensa e complessa che comprende 1968 numeri del catalogo del Robaut, si può discernere una larga evoluzione in quattro fasi. Dapprima, fino al 1832, domina un romanticismo esasperato pieno di scatti e impeti giovanili. Leggendo l'Inferno egli dipinge Dante e Virgilio (1822, Louvre), opera "solforosa" che spaventa i contemporanei, poi, entusiasta della riconquistata libertà greca e sotto l'influenza del Constable, il Massacro di Scio (1824, Louvre). Tocca la frenesia con il Rogo di Sardanapalo (1827, Louvre) e il demonismo infernale nelle diciannove litografie che illustrano la traduzione del Faust, edita dal Motte nel 1828. Del resto, sempre egli si compiacerà di raffigurare il dolore umano scegliendo da Dante, dal Romancero, da Shakespeare, da Byron, da Goethe, soggetti dai quali si levano i gemiti della sfortuna o il rombo dei mondi che si sfasciano. Dal Medioevo, che vede triste e sanguinoso, trarrà l'Assassinio del vescovo di Liegi (1831, Lione), la Battaglia di Nancy (1834, Nancy) e quella di Taillebourg (1837, Versailles), da Shakespeare Amleto e Orazio nel cimitero (1839, Louvre), da Byron il Naufragio di don Juan (1841, Louvre), dall'Oriente fastoso e crudele il Ratto di Rebecca (1846 e 1859, Louvre). Disegno, forma, composizione, colore, luce, tutto il suo linguaggio artistico è d'una forza espressiva intensissima.
La seconda fase s'apre con il viaggio al Marocco, compiuto dal gennaio al luglio 1832, e ritorno attraverso la Spagna ove egli sente dappertutto "palpitar Goya" attorno a sé. A Tangeri, a Mequinez, ad Algeri egli vede l'Africa con i colori del Veronese, ma ha la rivelazione delle razze e crede di ritrovare nella gravità musulmana quella del mondo antico, nel patio l'atrium, nell'harem il gineceo, nell'arabo avvolto dal burnus il romano togato.
La terza fase è segnata dalle grandi tele ove l'angoscia umana s'ammanta di splendore: l'Entrata dei Crociati a Costantinopoli (1841, Louvre) simile a un antico tappeto d'Oriente, eseguita con audacie di fattura che precorrono l'impressionismo; la fastosa Giustizia di Traiano (1840, Rouen), la Medea di Lilla (1838), Cleopatra (1839), Morte di Marco Aurelio (1841, Lione), lo mostrano ormai ossessionato dal mondo antico, ch'egli vede quasi sempre non freddamente statuario, come il David, ma tutto pervaso di passione. Si è che lo scorge sovente attraverso Dante, come avvenne per la Giustizia di Traiano, per cui s'ispirò al Purgatorio.
Infine, la quarta fase comprende le grandi composizioni murali delle biblioteche di Palazzo Borbone (1838-47) e del Lussemburgo (1845-47), del salone della Pace nell'antico Hôtel de ville (1851-54), della cappella dei Santi Angeli (chiesa di San Sulpizio, 1861). Il D. vi si rivela grande decoratore e sempre attratto dalla maestà del mondo greco e romano, che anche qui fa scendere dal piedistallo per farlo bruciare con la sua febbre. E ancora a Dante chiede la visione dei suoi Campi Elisi per la cupola del Lussemburgo.
Ardente di trovare sempre nuovi e più adatti mezzi espressivi, egli tocca tutti i generi: storia, natura morta, paesaggio, soggetti di genere; tutte le tecniche: decorazione murale, quadri di cavalletto, olio, affresco, pastello e acquerello, avendo preso gusto a quest'ultimo in Inghilterra nel 1825. I numerosi schizzi che ha lasciato su foglietti o su taccuini rivelano quanta amorosa cura ponesse nei suoi studî. Effettivamente, questo pittore che crea sotto l'influsso di libri passionali un mondo d'angoscia, che abolisce il concetto tradizionale della bellezza, che infonde, ispirandosi al Rubens e Paolo Veronese, al Tintoretto, agl'Inglesi del sec. XIX, nuova vita ed espressione al colore, trattato spesso quasi a macchia, resta un grande classico per l'accuratezza delle sue pazienti preparazioni e per la grandiosità coloristica delle sue composizioni.
Ma infine, questo incompreso che si lagnava di essere "da trenta anni pasto alle bestie" e amava compararsi ai grandi misconosciuti del passato, a Dante e a Michelangelo, ha la duplice gioia di vedere il pubblico competente accogliere all'esposizione del 1855 trentacinque sue tele a fianco di quelle del classico Ingres e di ricevere nel 1857 la tardiva consacrazione dell'Accademia di belle arti. Morì poco dopo, sentendo confusamente d'aver fecondato l'avvenire; infatti, mentre fa rivivere l'arte barocca egli è, per tutte le scuole del sec. XIX fino all'impressionismo, il precursore.
V. tavv. CXXXV e CXXXVI.
Il D. fu uomo di vasta cultura con vedute originali sull'arte e gli artisti del passato. Il suo diario e la sua corrispondenza sono fonti importanti per il suo pensiero, oltre agli articoli comparsi, lui vivo, in varî periodici e poi in gran parte raccolti dal suo amico Pizon nel volume Eugène Delacroix, sa vie et son øuvre (Parigi 1865; nuova edizione col titolo E. D., Øuvres littéraires, Parigi 1923). In questi articoli il D. diede alle sue teorie artistiche una forma più coerente che non nel diario: esaminò i varî aspetti dei grandi problemi estetici e pose, particolarmente nell'articolo intitolato Sulla pittura, i principî banditi poi dall'impressionismo. Notevoli anche gli articoli dedicati ad alcuni grandi artisti: Gros, Poussin, Michelangelo, Raffaello; ed è notevole come il romantico D. abbia ben compreso e interpretato il classicismo del Poussin; amava infatti tutto ciò che ricordava l'euritmia e l'armonia antica.
Scritti: Lettres inédites (1813-1863), pubblicate da J. Guiffrey, Parigi 1877; Lettres, raccolte e pubblicate da Ph. Burty, I, Parigi 1878; 2ª ed., voll. 2, Parigi 1880; Journal (1823-1863), pubblicato da P. Flat e R. Piot, voll. 3, Parigi 1893-1895.
Bibl.: A. Moreau, E. D. et son øuvre, Parigi 1873; A. Robaut, L'øuvre complet d'E. D., Parigi 1885; M. Tourneux, E. D., Parigi 1886 (opera fondamentale con ampio indice bibl.); E. Véron, E. D. (Les artistes célèbres), Parigi s. a.; M. Tourneaux, E. D. (Les grands artistes), Parigi 1907; J. Meier-Graefe, E. D., Berlino 1907, Monaco 1922; C. Mauclair, E. D., Parigi 1909; H. Vollmer, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VIII, Lipsia 1913 (con bibl.); J. Guiffrey, Le voyage d'E. D. au Maroc, Parigi 1913; Ch. Baudelaire, L'art romantique, in Curiosités esthétiques, Parigi 1925; E. Moreau-Nélaton, D. raconté par lui-même, voll. 2, Parigi 1916; R. Escholier, La vie et l'art romantiques, E. D., Parigi 1926; id., E. D., peintre, graveur, écrivain, voll. 3, Parigi 1926-28; id., Le véritable roman d'E. D., in Rev. des Deux Mondes, gennaio 1930; H. Gilliot, E. D., Parigi 1928. H. Graber, E. D. Zeichnungen, Aquarelle u. Pastelle, Basilea 1929; L. de Planet, Souvenirs de travaux avec E. D., Parigi 1929; L. Venturi, D., in L'Arte, n. s., II (1931), pp. 49-76.