EUCLIDE (Εὐκλείδης, Euclīdes)
Matematico greco. Poco si sa della sua vita: Proclo di Bisanzio (412-485 d. C.) riferisce che E. compilò i suoi Elementi raccogliendo molti teoremi di Eudosso, perfezionandone molti di Teeteto e completando con dimostrazioni esatte le affermazioni non ben dimostrate dai suoi predecessori. E. visse al tempo del primo Tolomeo (306-283 a. C.), poiché Archimede, il quale venne subito dopo, parla di lui; e inoltre si dice che, avendogli una volta Tolomeo chiesto se vi fosse in geometria una via più breve degli Elementi, rispose che in geometria non vi sono vie regie (μὴ εἶναι βασιλικὴν ἀτραπον ἐπὶ γεωμετρίαν). Sembra che egli abbia studiato in Atene tra i discepoli di Platone. Fondò in Alessandria una scuola, la quale divenne e rimase, per molti secoli, la più importante scuola matematica di tutto il mondo.
La sua opera principale è costituita dagli Elementi (Στοιχεῖα) in 13 libri, dei quali i primi sei trattano della geometria piana, i quattro seguenti dell'aritmetica, e gli ultimi tre della geometria solida. Per un'analisi del contenuto di essi v. geometria.
Gli Elementi formarono presso i Greci e i Romani, nel Medioevo e nel Rinascimento il primo libro di testo per lo studio della geometria e dell'aritmetica. Cicerone parla di Euclide, p. es. in De Orat., III, 132; si hanno i frammenti d'una traduzione latina nel palinsesto veronese n. 40 (Bibl. Capitolare), del sec. IV d. C., dei libri XI-XIII degli Elementi. Si attribuisce a Boezio una versione latina, ora perduta. Numerose sono le traduzioni degli Arabi. Adelardo di Bath, nel sec. XI, tradusse gli Elementi dall'arabo in latino; una versione più completa con un commento originale è dovuta al maestro Campano, nel sec. XIII. Importanti pure i commenti di Leonardo Pisano (v. fibonacci) e quelli di F. Maurolico, ancora inediti. Nel testo greco, per il lungo uso, s'introdussero numerose alterazioni e interpolazioni che è difficile riconoscere. Tra le centinaia di codici giunti fino a noi ricordiamo anzitutto il Cod. Vat. Gr. 190, membranaceo, del sec. X, spedito per ordine di Napoleone a Parigi nel 1808, tornato a Roma dopo il 1815. Sembra derivare da un archetipo che si trovava in Apamea di Siria nel 462 d. C. Esso ci ha conservato, insieme con alcuni frammenti di papiri, la redazione più antica. Tutti gli altri manoscritti provengono dalla redazione in uso nella scuola di Teone di Alessandria (seconda metà del sec. IV d. C.). I più importanti sono il Cod. fiorentino Laurent. XXVIII, 3 del sec. X; un codice di Oxford, Bodl. Dorvillianus X, 1, inf. 2, 30, scritto da uno Stefano chierico nell'888 d. C.; un codice della Biblioteca comunale di Bologna 18-19, membranaceo, del sec. XI, ecc.
E. scrisse numerose altre opere. I Dati (Δεδομένα) contengono novantaquattro proposizioni e sono strettamente connessi coi primi sei libri degli Elementi. Sono ricordati da Pappo, ma sembra che il testo che egli aveva sia alquanto diverso da quello che noi possediamo. Lo scopo del libro è di indicare i varî modi con cui possono essere date le figure geometriche; così, i punti, le linee rette e gli angoli sono dati di posizione; un circolo è dato in posizione e in grandezza quando il centro è dato in posizione, e il raggio in grandezza. I problemi degli Elementi riappaiono in questo libro in forma meno concreta, ma più adatta a una trattazione generale dei problemi geometrici. Così la prop. 88 dimostra che è costante (dato) l'angolo iscritto in un circolo comprendente una corda data; la prop. 91 che è costante (dato) il prodotto delle distanze delle intersezioni di una retta da un punto dato di una retta che passa per questo punto e tagli un circolo dato.
Il libro Della divisione delle figure (Περὶ διαιρέσεων), conservato soltanto in una redazione araba (scoperta da W. Woepke nel 1851, nel Cod. Paris. suppl. Arab. 952, 2), contiene eleganti risultati. P. es. il seguente: l'area della parte di semicircolo compresa tra due corde parallele, sottendenti rispettivamente un sesto e cinque sesti della semicirconferenza, è eguale alla terza parte dell'area del circolo (prop. 29). In un libro sulle False conclusioni (Ψευδάρια) ricordato da Proclo (Comm. in Eucl., p. 70 ed. Friedlein), ovvero sulle Figure errate (Ψευδαγραϕήματα) secondo un passo di Michele Efesio (Pseudo Alessandro, in Aristot., Conf. Soph., p. 76 edizione Wallies), erano forse dati esempî per dimostrare la necessità della precisione logica nei ragionamenti geometrici. Secondo una congettura di P. Tannery, questo scritto avrebbe contenuto le notizie che possediamo sulla quadratura del circolo di Antifonte e di Brisone e sulle lunule di Ippocrate. Tre libri di Porismi (Πορίσματα), conservatici in un riassunto di Pappo, dopo che F. Commandino li fece conoscere nel 1589 in una versione latina, hanno dato origine a una nuova direzione della geometria moderna, per opera di Snellio, Desargues, Descartes, Fermat, ecc. Basti osservare che i lemmi 12, 13 del libro VII contengono il teorema di Pascal (v. coniche, n. 13) nel caso di una conica degenere, cioè affermano che se "un esagono è iscritto in una coppia di rette parallele, ovvero concorrenti, le tre coppie di lati opposti si incontrano in tre punti in linea retta".
Dei Luoghi superficiali (Πόποι πρὸς ἐπιϕανείᾳ), pure ricordati da Pappo e da Proclo, non abbiamo sufficienti notizie. Questo scritto, in due libri, studiava forse i luoghi tracciati sulle superficie, probabilmente le intersezioni di coni, cilindri e sfere. Conteneva altresì, come ricaviamo da Pappo, la generazione delle coniche per mezzo delle proprietà dei fuochi e delle direttrici. Un'opera sulle Coniche (Κωνικά), in quattro libri, ci è pure nota soltanto da pochi passi di Apollonio, Archimede e Pappo. Sembra che essa contenesse molti dei risultati del III libro delle Coniche di Apollonio.
Ci rimangono due scritti: uno di Ottica ('Οπτικά), l'altro di Catottrica (Κατοπτρικά). Il primo, conservato nella migliore redazione da un ms. di Firenze, Laurent. XXVIII, 3, del sec. X e da uno di Vienna, Vind. gr. XXXI, 13, è certamente opera di Euclide. Descrive le proprietà geometriche che derivano dalla propagazione rettilinea della luce, dei limiti del potere visivo dell'occhio e delle apparenze degli oggetti in movimento. La catottrica è invece una compilazione più tarda, sulle proprietà degli specchi piani e curvi, ma risale forse anch'essa a un originale euclideo. Le ricerche sull'ottica, di cui abbiamo traccia nell'Arenario di Archimede, hanno avuto una grande importanza per le loro applicazioni all'astronomia, e sono state proseguite da Alhazen, Vitellione, Keplero, ecc.
Un libro sui Fenomeni (Φαινόμενα) contiene un'interessante descrizione geometrica della sfera celeste. Noto agli Arabi, fu tradotto per la prima volta dal greco da Bartolomeo Zamberti (Venezia 1505), commentato da F. Maurolico (Messina 1558), e poi più volte ripubblicato e tradotto. Contiene le considerazioni che condussero gli antichi Greci all'idea della terra sferica nel centro del mondo, della sfericità del cielo e del suo moto uniforme rispetto alla terra. Le dimostrazioni precise di Euclide hanno servito di fondamento al successivo sviluppo dell'astronomia sferica. Euclide conosceva l'opera di Autolico Sulla sfera mobile (Περὶ κινουμένης σϕαίρας) ma le sue dimostrazioni segnano un notevole progresso. Forse egli conobbe, o scrisse egli stesso, un trattato più completo sulla sfera. Euclide scrisse altresì di musica. Si sono conservati di lui due opuscoli, uno sulla Sezione del Canone (Κατατομὴ κανόνος) l'altro un' Introduzione armonica (Εἰσαγωγὴ ἁρμονική) tradotto per la prima volta da Giorgio Valla (Venezia 1498), che sono forse un rifacimento di una più antica opera di Euclide sugli elementi della musica. Scrisse altresì di meccanica, come sappiamo attraverso alcuni frammenti conservatici dagli Arabi. In uno di essi è contenuta una dimostrazione del principio della leva, fondata sulla sovrapposizione degli equilibrî, diversa da quella classica di Archimede (G. Vailati, Scritti, Firenze 1911, p. 115).
Ediz.: La più completa edizione del testo greco con versione latina a fronte, Euclidis Opera Omnia, Lipsia 1883-1916, comprende: voll. I-V Elementa, ed. J. L. Heiberg, 1883-1888; VI, Data, ed. H. Menge, 1896; VII, Optica et Catoptrica, ed. Heiberg, 1895; VIII, Phaenomena, scripta, musica, fragmenta, ed. Heiberg, 1916.
La prima edizione stampata degli Elementi è la versione latina di Campano, Venezia 1482. Giorgio Valla diede versioni parziali, dal testo greco, nell'opera De expetendis ac fugiendis rebus, Venezia 1501. La prima traduzione completa dal testo greco è di B. Zamberti, Venezia 1505. La prima edizione del testo greco, Basilea 1533. La prima versione italiana, di N. Tartaglia, Venezia 1545.
Il testo arabo della versione degli Elementi, di Naṣīr ad-dīn aṭ-Tüsī è stato stampato in Roma nel 1594. I primi sei libri degli Elementi furono tradotti e stampati in cinese in Pechino nel 1607, per opera di Matteo Ricci (v.) e del suo allievo Hsü Kuang-ch'i. Per le innumerevoli edizioni successive si veda P. Riccardi, Saggio di una bibliografia euclidea, Bologna 1887-1893. Importante l'edizione di F. Peyrard, Parigi 1814-1818. Tra le versioni moderne citiamo: T. L. Heath, The Thirteen Books of Euclid's Elements, 2ª ed. Cambridge 1926; F. Enriques, Gli Elementi di Euclide e la critica antica e moderna, Bologna 1925-1930; G. Vacca, Il primo libro degli Elementi, Firenze 1916; G. Ovio, L'ottica di Euclide, Milano 1918; P. Breton, Les Porismes d'Euclide, in Journ. de Math., Parigi 1855; R. C. Archibald, Euclid's Book on Division of Figures, Cambridge, Mass. 1915; G. Junge e W. Thomson, The Commentary of Pappus on Book X of Euclid's Elements, Cambridge, Mass. 1930, ecc.
Bibl.: Tra i numerosi studî su Euclide citiamo quelli di J. L. Heiberg, Litterargeschichtliche Studien über Euklid, Lipsia 1882; Euklids Elemente im Mittelalter, in Zeitschr. für Math., Historisch-literarische Abt., XXXV (1890); Paralipomena zu Euklid, in Hermes, XXXVIII (1903).