SAMBRI, Ettorina
(Vittorina). – Nacque il 12 dicembre 1891 a Vigarano Mainarda (Ferrara) da Antonio e da Ernesta Santini. Quinta di sette figli (cinque femmine e due maschi), crebbe in una famiglia di umile condizione che andava avanti grazie al lavoro di locandiere del padre. Studiò fino alla terza elementare e nel 1911, con i genitori e i fratelli e le sorelle che non erano già emigrati tra Bologna e Perugia, si trasferì a Ferrara. Lo stesso anno iniziò a gareggiare nelle corse ciclistiche femminili, suscitando curiosità per il look mascolino e i buoni risultati. Si fece subito apprezzare al velodromo di Parma, dove in sella a una bicicletta Wordling (marchio per questa via responsabile di contribuire «efficacemente ad una nuova manifestazione del femminismo, che invade anche il campo dello sport»), vinse «la gara signorine, nonché il match di 10 km con il corridore ferrarese Pareschi» (Il Corriere della sera, 30 maggio 1911). Alla gara che si tenne al velodromo delle Cascine di Firenze in estate, la ragazza (che già si presentava con il nome Vittorina) si piazzò terza e nella foto di gruppo che ritraeva le partecipanti è l’unica, corporatura tozza e robusta, a indossare una divisa tipicamente maschile (maglietta dal taglio dritto, calzoncini corti, calzini e scarpette), disdegnando la tenuta riservata alle ‘signorine’ (pantalone a tre quarti e maglia a maniche lunghe) (La stampa sportiva, X (1911), 32, p. 13). L’anno seguente, nella competizione che si disputò al velodromo di Milano, migliorò la sua posizione piazzandosi seconda (La stampa sportiva, XI (1912), 43, p. 15), mentre nell'aprile del 1913 «la forte pedalatrice» andò a disputare le ‘gare per signorine’ su pista che si tennero a Parigi, impegnandosi per la prima volta fuori dai confini (La gazzetta ferrarese, 31 marzo 1913).
Nell’estate dello stesso anno abbandonò la bicicletta per seguire una nuova passione, le motociclette, diventando la prima donna italiana a gareggiare in questa disciplina. L’anno dell’esordio da motociclista fu anche un anno di grandi risultati e immediata notorietà, di una nuova vita fatta di spostamenti continui, soprattutto tra le città nel centro e nord Italia, all'inseguimento di raduni, gare locali e nazionali. Partì dalla sua città, Ferrara, dove a giugno una folla numerosissima accorse in Piazza D’Armi per ammirare «la prima donna motociclista d’Europa, che diede prova di un coraggio non comune nel mondo femminile e forse neanche … in quello maschile» (La gazzetta ferrarese, 25 giugno 1913), arrivando seconda sia nella corsa per moto leggere che in quella per 'macchine pesanti'. Dopo un mese il Premio Ferrara era annunciato ai lettori dei quotidiani locali come evento di sicuro successo proprio per la partecipazione di Vittorina (La gazzetta ferrarese, 11 luglio 1913). «L’intrepida donna» sfidò in quell’occasione i migliori «motoristi» del tempo, tra cui il lombardo Carlo Maffeis, tagliando il traguardo per prima nella corsa 10 km (La gazzetta ferrarese, 12, 14 luglio 1913). La serie di successi proseguì la settimana successiva, quando batté tutti i rivali nelle tre prove del Gran premio motociclistico che si tennero a Fucecchio, vicino Firenze, dimostrando una «schiacciante superiorità» (La gazzetta ferrarese, 22 luglio 1913). «Applauditissima» uscì anche dal circuito di Faenza, ad agosto, quando in una gara a due celebrata nel corso di «una grande riunione polisportiva», vinse distanziando di ben tre giri il faentino Aristide Gaddoni (una certa celebrità nel dopoguerra, quando continuò a gareggiare e a vincere con una gamba di alluminio legata alla moto, esito di una lite).
Non fu fortunata, invece, a settembre a Cremona, nella terza edizione del Campionato italiano di motociclismo su strada. Attesa da un pubblico nutrito, la sua Terrot prese fuoco durante il primo giro e lei fu costretta a ritirarsi senza che le sue doti di chauffeuse potessero essere giudicate, come ebbe a sentenziare una rivista londinese (cfr. The Motor Cycle, 18 settembre 1913).
Durante questo primo anno da motociclista Vittorina era già diventata un personaggio popolare, alla cui immagine lei aveva contribuito deliberatamente: si presentava alle gare in camicia bianca, cravatta e pantaloni, capelli corti e figura più asciutta dei tempi del ciclismo. Le cronache e le riviste sportive parlavano di lei, qualunque fosse la gara a cui si era iscritta, così come il pubblico accorreva numeroso per ammirarla.
Senza formalizzarsi troppo dal 1914 la Moto Borgo, leader tra le case produttrici di inizio Novecento, la usò come sua testimonial: i successi della motociclista erano ricordati in box promozionali pubblicati dalla ditta torinese sulle principali riviste del settore, al pari delle foto che la ritraevano in sella alla sua moto, di cui era ben leggibile la marca.
Il 1914 fu l’anno della consacrazione nel panorama nazionale, ma anche, a leggere bene le cronache del tempo, di un certo scivolamento delle attenzioni che le erano riservate dai toni sensazionalistici a quelli morbosi, quando non apertamente ostili.
Non è da escludere che a questo cambio di registro abbia contribuito proprio il fatto che cronisti e pubblico si rendessero conto, dopo un’intera stagione di gare e successi, che Vittorina non era (soltanto) un’effimera attrazione utile a far affluire pubblico alle gare e appassionare i lettori dei quotidiani, ma aveva realizzato un passaggio storico, quello dell’accesso delle donne al reame maschile del motociclismo. Negli anni in cui anche in Italia molte donne si incamminarono sulla via dell’emancipazione e di una maggiore libertà di costumi, invocata anche adottando abiti e abitudini fino ad allora appannaggio maschile – tra cui pantaloni, monocolo, motori e sigarette erano particolarmente apprezzati –, Vittorina intercettò e seppe giocare con i desideri e i timori di una società in bilico fra tradizione e modernità. È significativo, in questo senso, il modo in cui fu accolto, dalla stampa e dal pubblico presente, il suo ritorno nel circuito di Cremona, nel maggio del 1914, dove si iscrisse con altri otto concorrenti alla corsa riservata alle moto 350 cc; anche in quell’occasione Vittorina diede prova di grandi capacità, imponendo per tutta la gara un testa a testa al favorito Miro Maffeis, fratello del campione Carlo, con il resto del gruppo nettamente distanziato. La ragazza giunse seconda al traguardo, dopo aver percorso 190 km di strada e anticipata di quaranta secondi dal rivale. Un pubblico in visibilio aveva partecipato all’evento e, secondo quanto riportato dalle cronache, in più occasioni Vittorina era stata intralciata «nella sua marcia dal troppo entusiasmo di una folla che compatta le gridava, stringendola troppo da vicino rendendole malsicuro il proceder, tutto il suo incitamento». L’indomani i due erano presentati, uno come «un giovane di grande audacia e di bella maestria» e l’altra come «una ex simpatica e graziosa giovinetta ferrarese che è andata man mano imponendosi da tre anni a questa parte una foggia e una personalità maschile», ma che – come aveva dimostrato il comportamento scomposto degli spettatori – «non riuscirà mai nonostante tutto a far dimenticare la sua origine femminile» (La gazzetta dello sport, 18 maggio 1914).
Quattro mesi dopo tornò ancora a Cremona per disputare i campionati motociclistici su pista, debuttando nella categoria 500 cc e piazzandosi terza. A ottobre prese parte ai campionati di velocità che si tennero al velodromo del Sempione a Milano riuscendo a qualificarsi per la finale a tre. In quella occasione, tuttavia, la «valente motociclista […] dovette abbandonare la corsa al decimo giro per rottura della cinghia, quando minacciava da vicino i campioni Maffeis e Belfanti», chiudendo così terza (La stampa sportiva, XIII (1914), 41, p. 5).
Da questo momento le tracce lasciate da Vittorina si fanno più tenui. Disputò ancora qualche gara nel 1915 (a Milano ad agosto, dove si dovette ritirare di nuovo per problemi tecnici), ma fino ai primi anni Venti non sembra partecipare ad altre manifestazioni sportive. Secondo alcune ricostruzioni, pur apprezzata da molti – per capacità, lealtà e determinazione – man mano che accumulava successi sulle piste diventò sempre più oggetto di atti di intolleranza e insulti per il suo aspetto mascolino e per i gusti sessuali, fino ad essere «picchiata dopo essere stata sorpresa vicino Ferrara scambiarsi gesti d'amore con la ‘morosa’» (Antinori, 2004, p. 163).
Riapparve in pista nel 1922, tornando momentaneamente alla sua prima passione, la bicicletta, ma senza grande fortuna. Ad aprile perse la sfida a due, lungo un percorso di 5 km, organizzata a margine delle gare ufficiali che si disputarono a Padova e pensata come ulteriore momento di intrattenimento e richiamo del pubblico. A quello stesso anno risalgono le ultime due apparizioni in sella alla sua moto Borgo 350 cc, entrambe a ottobre. Nelle prove del campionato italiano che si tennero a Bologna fu battuta dall’unico altro concorrente, e nella gara che si disputò a Torino pochi giorni dopo furono replicati gli stessi piazzamenti. La sua foto continuava a campeggiare sulle riviste che davano conto degli eventi (La stampa sportiva, XXI (1922), 42, p. 11).
Intanto il fratello minore Romeo, nato nel 1901, aveva seguito le sue orme e mentre lei si eclissava dalle piste, lui si affermava nella categoria 500 cc. Insieme disputarono solo le gare del 1922.
Dopo questa data, di Vittorina si hanno poche notizie e certamente gli anni del fascismo contribuirono a offuscarne e stigmatizzarne la figura e i risultati raggiunti, nonostante la vasta opera di promozione dello sport e dell'educazione fisica della popolazione femminile, che proprio nel Ventennio toccò livelli di organizzazione e numeri prima sconosciuti (cfr. Gori, 2004). È indicativo, a questo riguardo, che persino in un articolo dedicato allo sport femminile a Ferrara, città che ne aveva fatto una celebrità e dove Vittorina ancora viveva, l’autore sosteneva che «tale esemplare non può interessarci perché fu un’uscita più reclamistica che sportiva, la quale nulla ebbe a che vedere con la cultura fisica» e che la motociclista doveva essere citata «più per la sua bizzarra audacia che per i meriti sportivi» (La milizia sportiva, 1936, fasc. unico, p. 17).
L’ultimo quarantennio della sua vita lo passò in ombra, mantenendo un forte legame con il fratello Romeo. Questi nel 1924 aveva aperto un’officina di riparazioni per motocicli a via Spadari a Ferrara, probabilmente all’inizio con l’altro fratello Gianni e che fu poi trasferita prima a via Garibaldi e, infine, dal 1932, a via Borgoleoni 22-26, al piano terra dello stabile dove dal 1911 era andata a vivere la famiglia Sambri. In questa officina, che dagli anni Trenta diventò anche rivendita di motocicli e accessori e dal 1936 fu concessionario incaricato esclusivo per la vendita di Moto Guzzi per la provincia di Ferrara, Vittorina lavorò come meccanica fino alla chiusura, avvenuta nel 1961.
Morì a Ferrara il 10 dicembre 1965.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Archivio dell'Ufficio stato civile, posiz. 1291, certificato di morte di Sambri Ettorina (un ringraziamento particolare al dott. Roberto Fantuzzi per le ricerche anagrafiche condotte sulla famiglia Sambri); Sistema qualità e comunicazione della Camera di commercio di Ferrara (ringrazio in particolare Claudio Springhetti), per le notizie archivistiche relative all’attività commerciale.
Oltre alle riviste citate nel testo, in gran parte consultabili presso la Biblioteca sportiva nazionale di Roma, si veda: S. Piacentini - L. Rivola, Storia del motociclismo, Milano 1980, pp. 26 s.; M. Martini, Sesso debole? Un secolo di smentite, in Lo sport italiano, 1994, n. 8-9, pp. 40 s.; A. Antinori, Vittorina Sambri, in Italiane, a cura di E. Roccella - L. Scaraffia, I, Dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale, Roma 2004, ad vocem; G. Gori, Italian fascism and the female body: sport, submissive women and strong mothers, London 2004, ad indicem.