ETTORE ("Εκτωρ, Hector)
Figlio di Priamo. Nell'Iliade il maggiore eroe dei Troiani, antagonista di Achille. In Omero non è mai detto che sia il primogenito; eppure, grazie al valore e al senno, egli esercita qui evidentemente quegli uffici regi ai quali Priamo è ormai per vecchiezza impari: anche presiede l'assemblea che in Omero, come spesso nella concezione di popoli relativamente primitivi, è formata dal popolo in armi.
Egli è il beniamino di quegli dei che nell'Iliade sono ancora sentiti stranieri e ostili ai Greci, il tracio Ares e specie l'asiatico Apollo, il quale tutt'e due le volte che Ettore è colpito da Aiace Telamonio lo rimette in piedi e gli ridà forza. E grazie anche alla protezione di queste divinità, ma più in conformità di un disegno di Zeus (v. achille), egli riesce, finché Achille rimane con i suoi Mirmidoni lontano dalla battaglia, a prevalere, dopo lunghe e sanguinose alternative, sui Greci, a respingerli alle navi, ad appiccare fuoco a una di queste. Solo allora Achille consente a Patroclo e ai Mirmidoni di accorrere in soccorso. Ma Patroclo, dopo aver respinto i Troiani fin sotto le loro mura, è vinto e ucciso da Ettore. Allora soltanto Achille, riconciliatosi con Agamennone, ridiscende in campo. Ettore, inseguito tre volte intorno alle mura di Troia, cade per sua mano.
La scena è dipinta dal poeta con arte grandiosa: invano i genitori vecchi supplicano Ettore di salvarsi: questi riman fermo per timore degli scherni dei compagni e perché sa che vano è chieder mercé, perché Achille non concede quartiere. Ma quando lo vede venire, perde animo e fugge dinnanzi a lui. Zeus, vedendo l'inseguimento, pesa su aurea bilancia le sorti (κῆρε) dei due eroi: il giorno fatale di E. è più grave! Apollo lo abbandona. Eppure Achille non riuscirebbe forse a domarlo, se la protettrice dei Greci, Atena, preso l'aspetto di un fratello di E., Deifobo, non ingannasse questo mettendoglisi al fianco e facendogli false profferte di aiuto, non favorisse il Pelide, rimettendogli in mano la lancia già vanamente scagliata. E. muore, dopo aver pregato invano Achille di promettergli di render la salma contro riscatto ai genitori e dopo avergli profetato che Paride e Apollo lo uccideranno alla porta Scea. Achille trascina la salma di E. legata al carro tre volte intorno al sepolcro di Patroclo. Ma nell'ultimo canto della nostra Iliade, che, com'è uno dei più belli, così pare recente, s'induce a renderla a Priamo, che gli si presenta nella tenda, gli bacia la mano e gli ricorda il vecchio padre Peleo.
Celebre e spesso rappresentato nei vasi (famosa una tazza di Duride) è il duello di E. con Aiace; celebre anche la scena dell'addio alla moglie Andromaca e al figlio Astianatte.
E. ha comune con gli altri eroi omerici l'impulsività: è tipico come egli si proponga di tener testa ad Achille, poi al suo avvicinarsi fugga, poi lo affronti. Ma il poeta ha fatto di tutto per rendercelo simpatico. Egli è più umano degli altri eroi omerici, ha più squisito il senso dell'onore e, si direbbe, del dovere: una volta al fratello Polidamante che, impaurito da un presagio avverso, tenta d'indurlo a ripiegare, egli risponde (XII, 243): "Uno è l'augurio migliore, combatter per la patria", che è tutt'altro che espressione d'incredulità.
Il poeta ha potuto forse disegnar meglio questa figura, perché meno legato dalla tradizione: il nome, greco, benché l'eroe sia troiano, è chiaro: "colui che tiene, che resiste". E greci e altrettanto perspicui sono i nomi della moglie e del figliolo, e questo in contrapposto ai nomi non etimologizzabili e forse non indoeuropei di altri eroi, Achille, Ulisse, ecc. Quindi è assai poco probabile che egli sia un'antica figura di eroe tebano trasportata da coloni nell'Asia Minore, come è stato supposto spesso in questi ultimi anni. È vero che in tempi molto più recenti (la più antica testimonianza di età quasi sicura è ellenistica) si mostrava la sua tomba a Tebe, ma secondo un'ottima tradizione le ceneri di E. non furono trasportate colà se non quando un oracolo, certo in tempo relativamente recente, ordinò ai Tebani, travagliati dalla peste, di trasportare nel loro paese da Ofrinio ('Οϕρύνιον) nella Troade le ceneri dell'eroe. Del resto, anche il culto di una figura mitica ben più genuina, Achille (v.), nel lontano Ponto, è ora dimostrato recente.
Che E. non abbia altra leggenda che in Omero è forse un altro indizio di origine recente e non mitica. Nell'Eneide (II, 268 segg.) egli nell'ultima notte di Troia appare in sogno ad Enea a consigliargli la fuga e a comandargli di prendere con sé i Penati della città espugnata.
Bibl.: Heckenbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, col. 2806 segg.; Lehnerdt, in Roscher, Lexikon d. gr. u. röm. Mythol., I, 1910 segg. - Per Ettore tebano, F. Dümmler, Kleine Schriften, II, Lipsia 1902, p. 240 segg.; e, dopo altri, E. Bethe, Homer, III, Lipsia 1927, p. 79 segg.; contro, O. Crusius, in Münchner Sitzungsberichte, 1905, p. 760 segg.; U. v. Wilamowitz, Ilias und Homer, Berlino 1916, p. 334, n. 3.