TROILO, Ettore
TROILO, Ettore. – Nacque a Torricella Peligna (Chieti) il 10 aprile 1898, primo dei cinque figli di Nicola, medico condotto del paese sotto la Majella, e di Teresa Melocchi, morta già nel 1913.
Dopo le elementari, frequentò medie e ginnasio in convitto a Sulmona e il liceo classico a Lanciano, ove incrociò l’interventismo democratico. Arruolatosi volontario nella Grande Guerra il 9 novembre 1916, inviato sul fronte come artigliere, prigioniero tra il 12 e il 13 febbraio 1917 ma liberato da un contrattacco italiano, coinvolto quindi nella rotta di Caporetto e poi nell’offensiva finale del 1918, rafforzò una più consapevole adesione al socialismo tramite incontri con uomini come Emilio Lussu. Congedato nell’aprile del 1920, da caporale e con croce al merito, tornò a Torricella e, in qualità di attivista della casa del popolo, tenne comizi nei paesi dell’area.
Laureato in giurisprudenza a Roma già nel 1922, grazie alle facilitazioni per i reduci di guerra, iscritto all’albo dei procuratori di Roma, dall’aprile del 1923 visse a Milano, lavorando presso un avvocato amico di famiglia. Frequentò alcuni tra i protagonisti del socialismo riformista italiano, come Filippo Turati e Anna Kuliscioff, di cui fu ospite fisso, e intellettuali come Antonio Greppi (che sarebbe divenuto sindaco di Milano nel 1945), maturando un rigoroso antifascismo.
Nel gennaio del 1924 tornò a Roma, impiegandosi nella segreteria di Giacomo Matteotti, su referenza di Turati, e in uno studio legale. Si iscrisse al Partito socialista. Dopo l’assassinio di Matteotti e il superamento della crisi da parte del fascismo, affrontò la dittatura in coerenza con le proprie idee. Nell’albo degli avvocati dal 1926, e patrocinante in Cassazione dal 1934, soffrì i boicottaggi del regime che lo ostacolarono nella professione. Strinse legami con altri antifascisti, tra cui Mario Trozzi (leader del socialismo riformista in Abruzzo, deputato tra il 1919 e il 1924) e i fratelli Egidio e Oronzo Reale, repubblicani e avvocati (nel cui studio si impiegò nel 1927). Appoggiò l’antifascismo del movimento Italia libera e del giornale Il Mondo, entrambi distrutti dalla violenza squadristica (1925-26). Subì controlli polizieschi in studio e a casa, nel quartiere Prati dove viveva con la moglie Letizia Piccone, sposata nel 1929 (dalla quale avrebbe avuto tre figli tra il 1930 e il 1938). Aderì al Partito d’azione già dal gennaio del 1943.
Tutto ciò spiega le sue scelte nella cruciale estate di guerra del 1943: fu tra coloro che dopo il 25 luglio si recarono nel carcere di Regina Coeli e imposero la liberazione di alcuni antifascisti di area laica e azionista e che dopo l’8 settembre, all’annuncio dell’armistizio, resistettero ai tedeschi per evitare l’occupazione della capitale, nascondendosi poi per scampare alla cattura; in autunno, decise di tornare tra i suoi borghi in Abruzzo.
Radunati alcuni abruzzesi, passò il fronte che stagnava ai piedi della Majella orientale e prese contatti con i comandi dell’VIII armata britannica, impegnata in una faticosa risalita della penisola sul versante adriatico della linea Gustav, baluardo difensivo organizzato da tedeschi e neofascisti della Repubblica sociale italiana. Dopo trattative rese difficili dalla diffidenza degli inglesi verso quegli strani italiani, ex nemici per di più mossi da spirito volontaristico scevro da schemi militari, tra il dicembre del 1943 e il gennaio del 1944 la loro collaborazione sul terreno venne accettata solo in virtù dell’attendibilità di Troilo.
La formazione della quale egli fu guida ideale e politica – chiamata prima corpo volontari, poi banda, gruppo, infine brigata Maiella, nome con cui è passata alla storia – avrebbe costituito un’esperienza straordinaria nelle vicende resistenziali e belliche nell’Italia del 1943-45. Aggregata ai britannici, all’inizio usata soprattutto di pattuglia per la perfetta conoscenza del territorio, comandata dal maggiore Lionel Wigram, decisivo nella loro accettazione (poi morto insieme ad alcuni maiellini a Pizzoferrato il 3 febbraio 1944), la Maiella avviò un percorso che l’avrebbe condotta a combattere al fianco dell’VIII armata fino al maggio del 1945.
Riorganizzate le file; inglobate numerose bande partigiane della zona; trovate altre due guide importanti, entrambe dei medesimi luoghi (sul piano militare Domenico Troilo, solo omonimo di Ettore, e su quello organizzativo Vittorio Travaglini); liberate Sulmona e la piana peligna, da cui venne il secondo nucleo fondativo, e poi l’intero Abruzzo alla metà del giugno 1944, Troilo e i suoi uomini scelsero di non tornare a casa ma di continuare a combattere. Aggregati al II corpo polacco, ebbero altre due fasi: nelle Marche (fino al 1° novembre 1944); poi sull’Appennino tosco-emiliano, nella pianura Padana, in Veneto (fino all’inizio del maggio 1945), con i momenti principali in battaglie cruente e nella liberazione di grandi centri urbani come Pesaro e Bologna (qui i maiellini entrarono alla testa delle truppe alleate).
Al momento della solenne cerimonia di scioglimento a Brisighella (15 luglio 1945), la brigata Maiella contava quasi 1400 effettivi, 55 morti, 19 prigionieri, 151 feriti, 206 decorati.
Composta da combattenti che non prendevano ordini dal rinnovato regio esercito, con cui i rapporti non furono idilliaci; da patrioti con un’idea di patria opposta a quella fascista; da soldati con il tricolore e non le stellette militari, né tantomeno simboli di casa Savoia; da volontari liberi di riprendere la via di casa ma che non lo fecero, la Maiella fu l’unica formazione resistente a combattere non solo nelle proprie terre d’origine ma anche a varie centinaia di chilometri da casa; ad avere un ciclo operativo bellico così lungo; a tenere insieme sensibilità e ideali politici diversi, preferendo rimanere plurale; a ricevere, seppur dopo vent’anni e mille contrasti del dopoguerra, la medaglia d’oro al valor militare alla bandiera.
I maiellini si inserirono nel movimento di portata europea che scelse di opporsi al nazifascismo con le armi: essi furono dunque resistenti e al contempo partigiani, se non in senso tecnico (operarono con gli Alleati al di qua del fronte), senza dubbio storicamente, avendo scelto di stare da una parte precisa, senza ambiguità e a rischio della vita. Troilo riuscì a fare accettare il gruppo dagli inglesi, garantendo l’unica condizione possibile affinché l’operazione si realizzasse: nessuna manifestazione esteriore di appartenenze politiche, pure ben presenti all’interno. Questa convivenza tra diversi si rivelò caratteristica della Maiella, plurale anche nelle provenienze territoriali e sociali degli aderenti, unita però dalla fede repubblicana.
Terminato il conflitto Troilo divenne ispettore generale per l’assistenza postbellica, su incarico del governo Parri e dell’omonimo ministero guidato da Lussu, tentando di alleviare la situazione italiana, terribile in Abruzzo. Durò pochi mesi: l’11 gennaio 1946 il Consiglio dei ministri del primo governo De Gasperi lo nominò a sorpresa prefetto di Milano. Fu così uno dei più autorevoli tra i cosiddetti prefetti della Liberazione, figure politiche non tratte dalle carriere prefettizie, per di più inviato nell’area più calda del Paese. La nomina, se formalmente si richiamava allo spirito unitario della Resistenza, suscitò anche polemiche: vi si adombrava la volontà democristiana di allontanare dai collegi elettorali abruzzesi un possibile competitore dal largo seguito. Troilo comunque diede alcune delle prove migliori delle sue qualità, mediando tra le tensioni del dopoguerra. E lo fece anche fermando l’acuta crisi (27 novembre-4 dicembre 1947) che avrebbe portato all’occupazione della prefettura di Milano da parte dei manifestanti, in specie comunisti, dopo la decisione del governo di sostituirlo con un prefetto di carriera, più allineato ai nuovi equilibri politici a guida DC che avevano chiuso la stagione postresistenziale. Il 7 dicembre, il Comune di Milano gli conferì l’Ambrogino d’oro per i suoi meriti da prefetto. In cambio del suo abbandono, l’esecutivo lo volle ministro plenipotenziario per l’Italia presso le Nazioni Unite, ma il 13 gennaio 1948 Troilo si dimise, rifiutando pure la posizione giuridica (prefetto di prima classe) che soltanto allora gli era stata concessa.
Accettò di candidarsi, da indipendente, nelle liste del fronte popolare social-comunista e nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948 risultò primo dei non eletti nel collegio Milano-Pavia. Seguirono altri due rifiuti: non accettò di subentrare a un eletto comunista che avrebbe optato per altro collegio e, nel 1951, respinse l’assegnazione di una pensione di guerra come denuncia per le migliaia di ex combattenti che la attendevano ancora. Pagò questa coerenza con varie difficoltà economiche, avendo anche trascurato da tempo la professione forense.
Nel tentativo di colmare un deficit di rappresentanza verso un socialismo laico, riformista, libertario, partecipò a tentativi effimeri di creare un Partito di unità socialista (1951, insieme a Leo Valiani e Greppi) e un Movimento di autonomia socialista (1953, con Piero Calamandrei, Ernesto Codignola, Ferruccio Parri e ancora Greppi).
Tornato a Roma nel 1955, riavviò a quasi sessant’anni il mestiere di avvocato. Non accettò due proposte di candidatura, l’una dal Partito comunista italiano (PCI), l’altra addirittura dal Movimento sociale italiano (MSI), erede di quel fascismo che egli aveva tanto contribuito a sconfiggere. Fu decisivo in due iter tormentati: per la costruzione, vicino Taranta Peligna, alle falde della Majella, di un sacrario dei caduti della brigata, e per la nascita dell’Istituto abruzzese per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza. Entrambi gli obiettivi vennero raggiunti postumi (1976 e 1977), essendo egli scomparso a Roma il 5 giugno 1974.
Nel 150° dell’unificazione (2011), è stato inserito tra i 150 italiani protagonisti dell’Italia unita nella pubblicazione ufficiale della presidenza del Consiglio.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Chieti, Archivio storico Brigata Maiella; Pescara, Fondazione brigata Maiella, Archivio privato famiglia Troilo; Roma, Archivio Ufficio storico stato maggiore dell’esercito, fondi N1-11, b. 2240; H-2, b. 22; I-3, b. 152; H-8, b. 7; Archivio di Stato di Milano, Gabinetto di Prefettura, II versamento.
Banda patrioti della Maiella. Diario storico, in Rivista abruzzese di studi storici dal fascismo alla Resistenza, VII (1986), 3, pp. 207-509; M. Patricelli, I banditi della libertà. La straordinaria storia della brigata Maiella: partigiani senza partito e soldati senza stellette, Torino 2005, ad ind.; C. Troilo, La guerra di T. Novembre 1947: l’occupazione della prefettura di Milano, Soveria Mannelli 2005; N. Troilo, Storia della brigata «Maiella» 1943-1945, Milano 2011; Servitori dello Stato. Centocinquanta biografie, a cura di G. Melis, Roma 2011, pp. 523-525; C. Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, Roma 2014, ad ind.; E. T., brigata Maiella e nascita della Repubblica, a cura di N. Mattoscio, Ortona 2015.