TOLOMEI, Ettore
– Nacque il 16 agosto nel 1865 a Rovereto, città asburgica al confine italiano, da Tolomeo e da Olimpia Tomasi di Serravalle, entrambi provenienti da famiglie di tradizione patriottica.
Il padre, possidente terriero, commerciava in grani e legnami nel negozio a piano terra di una grande casa con giardino acquistata nel centro della cittadina. La coppia ebbe quattro figli: Arnaldo, Ettore, Ferruccio e Pia.
Nelle sue memorie Tolomei, ormai ottuagenario, rievocò un’infanzia molto felice, libera, a contatto con la natura e con il paesaggio alpino, in un ambiente familiare dove si coltivava l’amore per la lettura, la musica e la pittura, arte alla quale il padre si dedicava assiduamente. Il racconto è punteggiato da colorite descrizioni di episodi legati alla pratica di un vero e proprio culto delle vicende risorgimentali e garibaldine, che animava nonni, zii e genitori, trasmesso ai quattro fratelli insieme all’aspirazione di potersi liberare, un giorno, dalla dominazione austriaca.
Dopo aver conseguito la maturità classica nel liceo di Rovereto, nel 1883 si iscrisse a lettere a Firenze, dove Luigi Malfatti, un trentino, lo avviò agli studi storici e geografici. L’anno successivo continuò la formazione universitaria a Roma, immerso contemporaneamente, in una girandola di relazioni, nel mondo del giornalismo e dell’attivismo irredentista. Nel 1886 il padre morì per un incidente in montagna, una sventura che rapidamente provocò la crisi della ditta familiare e conseguenti difficoltà economiche. Tolomei si laureò con lode in lettere nel 1887 e nello stesso anno vinse un concorso per un posto di insegnante a Tunisi presso il ginnasio privato degli italiani residenti, che stava per essere trasformato in ginnasio governativo. Trascorso un periodo intenso e straordinario («volli, a Tunisi, far vita tra gli Arabi», Memorie di vita, 1948, p. 117), dovette rientrare per assolvere agli obblighi di leva a Vienna e lì contemporaneamente si iscrisse all’università, continuando gli studi geografici. Conclusa la ferma militare tornò a Roma, dove nel frattempo si era trasferita tutta la famiglia. Qui maturò il suo passaggio dall’irredentismo e da un generico ribellismo giovanile al nazionalismo. Socio fondatore della Società Dante Alighieri, pubblicò il settimanale La Nazione italiana, diffuso in Italia, ma anche nel Trentino e nella Venezia Giulia, un periodico che tra l’altro appoggiava le candidature irredentiste in vista delle elezioni politiche del 1890. Nei suoi scritti appariva in nuce la linea d’azione che perseguì tenacemente tutta la vita: accanto alla rivendicazione di Trento e Trieste, individuò l’obiettivo di consolidare ed espandere la presenza italiana nei territori di lingua tedesca che si estendevano a nord del confine linguistico rappresentato dalla chiusa di Salorno fino al ‘confine naturale’ del Brennero, una scelta che lo distinse nel panorama dell’irredentismo trentino. Chiusa vittoriosamente la campagna elettorale, il giornale cessò le pubblicazioni e Tolomei, dopo una fase di incertezza e di vaghe ipotesi lavorative, ricoprì ancora, per conto del ministero degli Esteri, incarichi di insegnamento a Salonicco, a Smirne e al Cairo.
Fece definitivamente ritorno in Italia nel 1901. Nonostante il relativo isolamento dopo il decennio passato all’estero, riuscì a costruirsi un’identità di politico e studioso. Divenne funzionario nella direzione delle Scuole italiane all’estero (incarico mantenuto formalmente fino al 1921), ma soprattutto cominciò a perseguire il disegno rivolto al Sud Tirolo di lingua tedesca, cui diede il nome di Alto Adige, già in uso nel periodo napoleonico. Il suo progetto prese le mosse dall’identificazione, attraverso una rilevazione particolareggiata, del confine geografico tra Italia e Austria lungo la linea del displuvio alpino; entro i ‘limiti naturali’ della penisola la minoranza linguistica italofona (in cui fece rientrare anche quella ladina), minacciata nei secoli dall’infiltrazione dell’‘elemento germanico’, andava difesa anche con l’elaborazione di un’appropriata narrazione storico-culturale. Un’iniziativa molto efficace per la sua risonanza pubblica fu la sua ascensione, assieme al fratello Ferruccio e ad altri alpinisti, tra cui due donne, sulla vetta estrema dell’Arnthal (da Tolomei ribattezzata poi Valle Aurina), il monte Gloeckenkaarkopf, e, il 16 luglio 1904, della cima più alta e più a nord del crinale, sempre da lui denominata Vetta d’Italia. Nel racconto della sua impresa, pubblicato dal Club alpino italiano, descrisse i reperti storici dell’italianità incontrati lungo il cammino, culminato all’arrivo dal compimento di riti simbolici come lo sventolio della bandiera italiana e l’incisione nel granito di una grande I.
Nel 1906 riuscì a realizzare un sogno già maturato «ai piedi delle piramidi» (Memorie di vita, cit., p. 12): a Gleno, nel comune di Montagna, vicino a Egna, in pieno territorio mistilingue, acquistò un maso attiguo a una proprietà dei nonni materni, dove da bambino aveva trascorso vacanze per lui indimenticabili, lo ristrutturò e ne fece la sua residenza principale. A Gleno fondò la rivista Archivio per l’Alto Adige con Ampezzo e Livinallongo, che diresse dal 1906 al 1945, scrivendo di suo pugno numerosi articoli e cronache; lo scopo era studiare quella terra da diversi punti di vista – storico, geografico, archeologico, etnografico, linguistico – e rendere edotto il pubblico italiano delle sue peculiarità, fino a quel momento poco conosciute. Alla rivista collaborarono con contributi significativi i più importanti studiosi italiani; essa costituì il principale strumento di sensibilizzazione sulla questione del confine al Brennero, che divenne cruciale alla vigilia della prima guerra mondiale.
Fu colpito dalla morte dei due fratelli, molto amati e al suo fianco nella battaglia irredentista: nel 1910 scomparve Ferruccio e nel 1913 il fratello maggiore Arnaldo. Quest’ultimo era sposato con Laura Reale; come scrisse nelle Memorie (cit., p. 310), nei mesi della malattia di Arnaldo, al quale fu diagnosticata una «paralisi progressiva» (pp. 309 s.), nacque tra i familiari una «tacita intesa: Laura, ch’era stata dieci anni la sposa felice di Arnaldo, sarebbe diventata, per anni venticinque, la compagna buona e fedele della vita mia».
Nell’estate del 1914, nel contesto di un regime austriaco sempre meno tollerante, Tolomei, come tanti altri irredentisti, passò il confine per arrivare a Roma, dove collaborò con i fuoriusciti trentini e giuliani e prese contatti con esponenti governativi, tra cui il ministro per le Colonie Ferdinando Martini; si gettò con frenetico attivismo nella campagna interventista. I suoi avversari non furono solo i neutralisti, ma anche quelli da lui denominati «salornisti», inclini cioè a contenere le pretese territoriali entro una linea più a sud del Brennero, come ad esempio Leonida Bissolati, Gaetano Salvemini e lo stesso Cesare Battisti, che in privato esprimeva dubbi sull’opportunità di includere una minoranza tedesca nello Stato italiano. Il ruolo di Tolomei nella realizzazione del Patto di Londra fu praticamente nullo secondo gli studi di parte italiana, mentre da parte tedesca gli viene attribuita un’influenza più significativa, insieme alla colpa per le drammatiche conseguenze subite in seguito dalla popolazione tirolese; in ogni caso la campagna sostenuta da anni, soprattutto sulle pagine dell’Archivio per l’Alto Adige, contribuì a spianare la strada della trasformazione di un confine geografico in un confine politico che trovava la principale giustificazione nella difesa militare.
Nel 1915 si arruolò volontario come alpino nell’Esercito italiano, adottando il nome di Eugenio Treponti di Verona per scongiurare un’immediata esecuzione in caso di cattura; venne condannato a morte in contumacia dall’Austria, mentre la casa di Gleno fu sequestrata e spogliata di tutto ciò che conteneva; data l’età, fu solo brevemente sulla linea del fronte, mentre collaborò con lo stato maggiore dell’Esercito sul tema dell’assetto postbellico delle terre irredente. Maturavano le ipotesi di assimilazione dell’Alto Adige attraverso la deportazione di chi poteva essere sospettato di antitalianità, l’immigrazione di funzionari italiani, la riconquista del suolo in agricoltura, il riordinamento di scuole, tribunali e sanità, l’introduzione del bilinguismo.
Nel 1916 riuscì a portare sulle sue posizioni la Reale Società geografica italiana, che diede alle stampe il Prontuario dei nomi locali dell’Alto Adige, nel quale Tolomei e i suoi collaboratori attribuivano nomi italiani alle località altoatesine (10.000) fornite di un’unica dicitura tedesca. «È realtà l’inverosimile» (Memorie di vita, cit., p. 385), osservò a proposito dell’occupazione italiana dell’Alto Adige dopo la vittoria, ma all’entusiasmo si affiancarono subito l’insofferenza e la critica rabbiosa nei confronti degli ambienti governativi, accusati di apparire incerti ed esitanti nella formulazione e nella pratica di una politica nazionalizzatrice, a questo punto ossessivamente perseguita da Tolomei.
Nominato nel 1918 a capo del nuovo Commissariato alla lingua e alla cultura per l’Alto Adige, con sede a Bolzano, ebbe rapporti critici con il generale Guglielmo Pecori Giraldi, capo del Governatorato militare del territorio occupato, e con gli ambienti trentini, che nell’insieme perseguivano una politica di dialogo con la popolazione tedesca aperta a riforme che tenessero conto delle tradizioni e delle autonomie locali godute nel regime asburgico.
Prese parte alla Conferenza di pace di Parigi nella veste a lui congeniale di consulente indipendente, dove si spese sia per cancellare i ripensamenti sul confine al Brennero, sia, approfittando dei contatti con Vittorio Emanuele Orlando, per indurlo a esercitare pressioni sui vertici militari per un’italianizzazione forzata dell’Alto Adige. Pecori Giraldi tuttavia finì per avocare a sé ogni decisione in una materia tanto delicata e Tolomei, dopo la firma del Trattato di Saint-Germain, sciolse spontaneamente il Commissariato alla lingua e alla cultura. Continuò la sua battaglia da Gleno contro un nuovo avversario, il commissario civile per la Venezia Tridentina Luigi Credaro; le iniziative di conciliazione nel segno di una democrazia liberale tentate da Credaro trovavano un clima sempre più acceso di scontro tra nazionalisti e fascisti da una parte e autonomisti tirolesi dall’altra, organizzati nel Deutscher Verband.
Nel gennaio del 1921 Tolomei venne nominato membro della commissione incaricata di ridefinire la nomenclatura altoatesina; riuscì così finalmente a ufficializzare il lavoro cominciato con il Prontuario del 1916, imponendo anche alla più piccola località delle zone mistilingue l’assegnazione di un nome italiano «con forme dell’uso, o con forma richiamata in vita, o ricostrutto o tradotto, o translitterato secondo i casi» (Archivio per l’Alto Adige, 1921, p. 406), che avrebbe preceduto, nei documenti pubblici e privati, la dicitura in tedesco. Sono i nomi oggi in uso in Alto Adige, un fatto che contribuisce a fare di Tolomei un personaggio sempre ingombrante e discusso. Il ritardo nella promulgazione di un decreto esecutivo sulla nomenclatura fu uno dei motivi alla base della famosa invettiva «Voce dell’Alto Adige ai fratelli che salgono», manifesto diffuso nel luglio del 1922 in migliaia di copie, nel quale, dichiarando la sua benevolenza nei confronti della ‘pacifica’ popolazione tirolese, incitò apertamente alla rivolta contro Credaro e il governo Facta. Seguirono nell’ottobre i fatti di Bolzano: squadre fasciste reclutate in Veneto, Lombardia e Venezia Giulia occuparono una scuola elementare tedesca e il municipio, provocando lo scioglimento del Consiglio comunale; la marcia si diresse poi a Trento e alla sede del Commissariato e gli episodi squadristici si conclusero con le dimissioni di Credaro.
Il fascismo al potere tentò di realizzare l’idea dell’assimilazione della popolazione tedesca perseguita da Tolomei, che nel 1921 accettò l’omaggio della tessera del Partito nazionale fascista e nel 1923 venne nominato senatore. Insieme a Giovanni Preziosi stilò i provvedimenti per l’Alto Adige, che illustrò nel luglio del 1923 al teatro municipale di Bolzano. Dal 1923 al 1928 fu attivissimo nell’incitare e discutere la messa in atto dei provvedimenti che colpirono la popolazione di lingua tedesca e la sua cultura in una misura anche maggiore di quella da lui immaginata; fallì nella realizzazione di un progetto che gli stava molto a cuore, la costituzione di un Credito Atesino che finanziasse il radicamento di gruppi italiani tramite l’acquisto del suolo nelle campagne. Prese diverse iniziative in materia di monumentalità, riuscendo a far spostare dalla piazza di Bolzano il monumento a Walhter von der Vogelweide; a sé rivendicò anche l’idea della costruzione del monumento alla Vittoria a Bolzano, l’imponente arco di trionfo progettato da Marcello Piacentini e inaugurato nel 1928.
In seguito il suo ruolo nel regime si fece più defilato, con momenti di aperto dissenso: fu contrario all’istituzione della pena di morte, disapprovò la politica estera antifrancese di Benito Mussolini e la scelta di escludere la zona di Egna dai confini della Provincia di Bolzano istituita nel 1927; come senatore appoggiò il progetto di industrializzazione e di massiccia immigrazione attuato negli anni Trenta a Bolzano e Merano, che furono però condotti interamente sotto la regia di Mussolini e del prefetto Giovanni Mastromattei.
Nel 1928 incontrò in una missione ufficiosa Adolf Hitler, che diede rassicurazioni circa l’intenzione, in futuro, di rinunciare a ogni pretesa sull’Alto Adige. Nel 1938 ricevette per regio decreto il titolo di conte di Gleno e nel 1939 divenne presidente della sezione del Trentino Alto Adige della Deputazione di storia patria per le Venezie. Dopo l’annessione dell’Austria la Germania nazista e l’Italia fascista tentarono di rimuovere ogni fonte di conflitto tra le due potenze sottoscrivendo nel 1939 il trattato sulle opzioni, che proponeva alla popolazione tedesca e ladina la rinuncia alla cittadinanza italiana e il trasferimento nel Reich, una scelta drammatica abbracciata tuttavia da quasi il 90% dei sudtirolesi. Tolomei incoraggiò in ogni modo il trasferimento nel Reich degli optanti, che a causa della guerra si realizzò solo in parte. Poche ore dopo la firma dell’armistizio, nella notte del 9 settembre 1943, delle squadre armate, probabilmente costituite da sudtirolesi subito arruolati dai tedeschi, salirono a Gleno per arrestarlo in quanto individuato come soggetto ostile al disegno di occupazione nazista; la casa fu saccheggiata, il suo archivio sequestrato e portato a Innsbruck. Venne deportato come prigioniero a Dachau e poi confinato in Turingia, occupata in seguito dalle truppe sovietiche; riuscì avventurosamente a fuggire aiutato da familiari e a ritornare in patria nel settembre del 1945. Non smise di scrivere e di proporre il suo punto di vista a chi, come Alcide De Gasperi, affrontava nuovamente la questione dei confini e dell’autonomia in Alto Adige. Nel 1946 fu costretto a lasciare la direzione dell’Archivio per l’Alto Adige, sostituito da una persona a lui vicina, il linguista Carlo Battisti.
Morì a Roma il 25 maggio 1952.
Venne sepolto nel cimitero vicino a Gleno; la sua tomba fu oggetto di attentati dinamitardi nel 1957 e nel 1979. Il suo archivio dal 1945 è stato oggetto di una contesa, non ancora chiaramente risolta, tra Italia e Austria.
Opere. Alla vetta d’Italia, in Bollettino del Club alpino italiano, vol. 37, n. 70, 1905, pp. 421-423; Voce dell’Alto Adige ai fratelli che salgono, in Archivio per l’Alto Adige, 1921, p. 291; Memorie di vita, Milano 1948.
Fonti e Bibl.: G.S. Martini, Bibliografia degli scritti di E. T. (Rovereto, 1865 - 1952, Roma), Firenze 1952; C. Gatterer, Im Kampf gegen Rom, Wien, 1968, ad ind.; M. Ferrandi, E. T.: l’uomo che inventò l’Alto Adige, Trento 1986, ad ind.; R. Petri, Storia di Bolzano, Padova 1989, ad ind.; E. T. (1865-1952). Un nazionalista di confine, in Archivio trentino, 1998, 1, n. monografico; Un secolo di vita dell’Accademia degli Agiati (1901-2000), a cura di G. Coppola - A. Passerini - G. Zandonati, Rovereto 2003, ad vocem; Le riviste di confine prima e dopo la grande guerra. Politica e cultura. Atti del Convegno, Bolzano-Trento, ... 2006, a cura di G. Ciappelli, Firenze 2007, ad indicem.