TITO, Ettore
TITO, Ettore. ‒ Nacque il 17 dicembre 1859 a Castellammare di Stabia (Napoli), figlio primogenito di Ubaldo Pietro, pugliese, comandante della Marina mercantile, e di Luigina Novello, veneziana.
Dopo un breve soggiorno a Milano la famiglia si trasferì definitivamente a Venezia. A soli dodici anni venne ammesso all’Accademia di belle arti della città lagunare grazie alle notevoli abilità espresse nel disegno. Nel 1876 terminò brillantemente i cinque anni di alunnato, nel corso dei quali vinse molti premi. Il cartone con la composizione storica La presa del castello d’Arezzo da parte del duca Valentino fu esposto nelle vetrine dello studio fotografico di Carlo Naya in piazza S. Marco e citato da Pompeo Gherardo Molmenti nel periodico L’illustrazione italiana (Mazzanti, in Ettore Tito, 1998, p. 96).
Dal 1886 cominciò a partecipare a diverse mostre all’estero, girando per tutta Europa e in particolare in Germania, Austria, Francia e Gran Bretagna. A Londra risiedette per lungo tempo, e lì, oltre che nella vendita di dipinti, fu impegnato come illustratore di riviste e volumi quali la lussuosa guida di Venezia scritta da Henry Perl e pubblicata nel 1894 (Mazzanti, 2004, p. 422).
Nel 1887 si presentò al grande pubblico italiano partecipando all’Esposizione nazionale artistica di Venezia con l’opera Pescheria vecchia, e vincendo. Il dipinto, oggi disperso, ma noto attraverso alcune riproduzioni fotografiche, era un classico esempio di pittura ‘del vero’, allora praticata anche da altri pittori veneziani come Alessandro Milesi, Luigi Nono, Vittorio Emanuele Bressanin e Pietro Fragiacomo (Ettore Tito, 1998, pp. 200 s.).
Nel 1895 diventò professore di figura all’Accademia di belle arti di Venezia, incarico che mantenne ininterrottamente per più di trent’anni (Poletto, 2016). Nello stesso 1895 s’inaugurò l’Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia (la prima Biennale) e Tito, oltre che appartenere al comitato ordinatore, presentò due opere, La fortuna e Processione. Tale evento lo mise in contatto con i più importanti artisti europei: Anders Zorn, Albert Besnard, Joaquín Sorolla, John Singer Sargent, Franz von Stuck e Giovanni Boldini. Spesso furono ospitati a palazzetto Tito a S. Barnaba o nelle fastose residenze di ricchi collezionisti, come palazzo Barbaro sul Canal Grande, abitazione della famiglia Curtis e, per un periodo, casa della collezionista americana Isabella Stewart Gardner.
Alla seconda Biennale di Venezia del 1897 Tito vinse il primo premio (ex aequo con Milesi) con l’opera Sulla laguna, acquistata per la nascente Galleria internazionale d’arte moderna di Venezia (Museo di Ca’ Pesaro, Venezia).
Nel 1900 venne invitato tra gli artisti italiani all’Esposizione universale di Parigi. In quest’occasione vinse la medaglia d’oro, fu insignito di molte onorificenze tra cui la Legione d’onore, e l’opera Chioggia fu acquistata per i musei statali francesi (oggi nelle collezioni del Musée d’Orsay a Parigi).
Nel medesimo anno sposò Lucia Velluti, una ragazza di diciotto anni più giovane di lui, figlia di proprietari terrieri della Riviera del Brenta, che conobbe durante un soggiorno in Cadore.
Nel 1901, oltre a esporre alla Biennale un dipinto titolato Sorgente, un’altra versione di Pescheria e una statua, fu membro della giuria di accettazione.
La sua arte cominciò a essere influenzata dal simbolismo, soprattutto di ambito tedesco, di Max Klinger e di von Stuck, e poi dagli esempi dei maestri veneziani del passato, in particolare Giambattista Tiepolo. Nei suoi quadri iniziarono a emergere riferimenti all’antico come Veneri e amorini, centauri, sirene, ninfe e composizioni allegoriche. Eccone alcuni esempi: La nascita di Venere, del 1903 (Museo di Ca’ Pesaro, Venezia), Baccanale, del 1906 (Galleria d’arte moderna, Milano), Amore e le Parche (Galleria nazionale d’arte moderna, Roma), Il bagno, del 1909 (Musée d’Orsay, Parigi) e Le ninfe, del 1911 (Galleria d’arte moderna Ricci Oddi, Piacenza).
Dal punto di vista formale la sua tavolozza si fece sempre più ricca e la pennellata più libera, probabilmente per influenza dell’impressionismo francese. Grande successo ebbero anche i suoi eleganti ritratti, molto vicini allo stile internazionale di Boldini e di Sargent: L’Amazzone, del 1906 (Raccolte Frugone, Musei di Genova), La contessa Malacrida (Museo di Ca’ Pesaro, Venezia).
Dal 1903 fu membro della commissione per la salvaguardia dei monumenti di Venezia (incarico che mantenne per trent’anni) e nel 1905 venne altresì nominato membro dell’Accademia di S. Luca di Roma.
In questo periodo, realizzando i ritratti a tutta la famiglia di Giuseppe Volpi, divenne amico di quest’ultimo; il rapporto umano e lavorativo con il ricco imprenditore veneziano durò per tutta la loro vita.
Nel 1911 Roma fu sede di grandi festeggiamenti per il cinquantesimo dell’Unità d’Italia e l’evento principale fu l’Esposizione internazionale, tenutasi in una serie di padiglioni nazionali e regionali. L’edificio dedicato al Veneto fu uno dei più imponenti, poiché ripropose, a grandezza naturale, diversi palazzi rinascimentali veneziani. Tito venne invitato con sette quadri, tra cui il grande dipinto di forma circolare (400 cm di diametro) collocato al centro del soffitto della sala della Gloria di Venezia, con il tema L’Italia erede e custode dei tesori marittimi di Venezia, in seguito donato dall’artista al Museo di Ca’ Pesaro (Ettore Tito, 1998, pp. 209 s.).
Nel 1915, data l’imminenza del conflitto mondiale e ritenendo Venezia un luogo poco sicuro, Tito si trasferì con la moglie e i figli a Roma, dove ottenne molte commissioni; la più importante fu il ciclo d’affreschi di villa Berlinghieri (oggi ambasciata dell’Arabia Saudita).
Nel 1919 Ugo Ojetti presentò nella galleria Pesaro di Milano la più grande mostra personale di Tito (63 opere) al di fuori degli spazi della Biennale di Venezia. L’esposizione ottenne un successo tale che nello stesso anno l’Autoritratto entrò a far parte della collezione del corridoio vasariano degli Uffizi.
Nel 1929 l’artista fu nominato accademico d’Italia e gli venne offerto di realizzare la decorazione del soffitto della chiesa di S. Maria di Nazareth (chiesa degli Scalzi) a Venezia, anticamente decorato dall’affresco di Tiepolo, ma distrutto da una bomba della prima guerra mondiale. Tito cercò di sottrarsi all’inevitabile confronto con il grande maestro del Settecento veneziano cambiando il soggetto dell’opera: non ripropose il Trasporto della Santa Casa di Loreto, ma optò per la Gloria di Maria trionfante sull’eresia di Nestorio dopo il trionfo del Concilio di Efeso. L’opera fu realizzata su un’imponente tela di 100 metri quadrati, per lo spazio principale, mentre i sei pennacchi laterali ad affresco vennero dipinti dal figlio di Ettore, Luigi (v. la voce in questo Dizionario), anche lui pittore, e da Giovanni Majoli (Pajusco, 2014).
Nel 1936 alla XX Biennale venne dedicata a Tito l’ultima mostra personale, impreziosita da un allestimento di stoffe di Mariano Fortuny. Nel 1940 ci fu la sua estrema partecipazione all’esposizione lagunare, con un quadro simbolico per la sua carriera: I maestri veneziani.
Oltre all’illustrazione, alla pittura e alla scultura Tito si dedicò alla composizione musicale. Per esempio, nel gennaio del 1937 scrisse le musiche per la serata inaugurale del circolo artistico di Venezia, svoltasi nelle sale del liceo musicale Benedetto Marcello.
Il perdurare di un certo gusto collezionistico tardo-ottocentesco segnò il successo di pubblico e di vendite a favore di Tito: sue opere furono acquistate, negli anni, per le più importanti raccolte d’arte pubbliche e private, in Italia e all’estero.
Morì il 26 giugno 1941 nella casa di S. Barnaba a Venezia. Le sue spoglie riposano in una cappella privata della chiesa degli Scalzi, sotto il più monumentale dei suoi lavori.
Nel 1945 Domenico Varagnolo, poeta, commediografo e amico del pittore, redasse l’ultima storica monografia sull’artista. Al testo della commemorazione pubblica, tenuta da Luigi Marangoni nell’ottobre del 1941 nella Scuola grande di San Giovanni Evangelista, Varagnolo unì un ricco apparato documentario e illustrativo che trasse dall’Archivio della Biennale, di cui era conservatore (Marangoni, 1945, p. 28).
Nel 1998 la Fondazione Giorgio Cini dedicò a Tito una grande mostra retrospettiva, il cui catalogo presenta un ricco apparato critico curato da Anna Mazzanti.
L’archivio della famiglia Tito è ancora oggi conservato nelle residenze storiche dell’artista tra Venezia e Dolo.
Fonti e Bibl.: H. Perl, Venezia, London 1894; V. Pica, E. T., Bergamo 1912; I. Neri, E. T., Bergamo 1916; U. Ojetti, Mostra individuale di E. T., Milano 1919; F. Sapori, E. T. pittore, Torino 1919; A.M. Comanducci, I pittori italiani dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario, Milano 1934, pp. 731 s.; L. Marangoni, E. T., Venezia 1945; G. Perocco, E. T., 1859-1941, Milano 1960; S. Scarpa, Il soffitto della chiesa degli Scalzi a Venezia, in Arte documento, 1991, n. 5, pp. 238-243; A. Tiddia, E. T., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, p. 1040; P. Pistellato, E. T., in La pittura in Italia. Il Novecento, 1900-1945, a cura di C. Pirovano, II, Milano 1992, p. 1091; A. Mazzanti, La dimora di E. T. Studi in Toscana, in Artista, 1993, pp. 96-127; Ead., La maturità di E. T. (1920-1941), in Venezia Arti, IX (1995), pp. 97-104; E. T., 1859-1941. Archivi della pittura veneziana (catal., Venezia), a cura di A. Bettagno, Milano 1998 (in partic. A. Mazzanti, Biografia, pp. 96-101); A. Mazzanti, E. T., in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, a cura di G. Pavanello, Milano 2003, pp. 830 s.; Omaggio ai Tito, I, Opere scelte di E. T. (catal., Stra), a cura di F. Luser - M. Mazzato, Dolo-Trieste 2003; A. Mazzanti, E. T., in Ottocento veneto. Il trionfo del colore (catal.), a cura di G. Pavanello - N. Stringa, Treviso 2004, pp. 422-424; M. Piccolo, E. T., in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N. Stringa, Milano 2009, pp. 448 s.; V. Pajusco, E. T. e il nuovo soffitto degli Scalzi, in La chiesa di Santa Maria di Nazareth e la spiritualità dei carmelitani scalzi a Venezia, a cura di G. Bettini - M. Frank, Venezia 2014, pp. 209-218; L. Poletto, Le scuole di pittura e decorazione del primo Novecento, in L’Accademia di belle arti di Venezia, a cura di S. Salvagnini, I, Crocetta del Montello 2016, pp. 51-72.