ROMAGNOLI, Ettore
– Nacque a Roma l’11 giugno 1871 da Giuseppe e da Annunziata Roberti.
Studiò nella città natale, dove fu allievo del grecista Enea Piccolomini e si laureò nel 1893 con una tesi sulla esegesi di alcuni passi di Aristofane.
Dopo un primo periodo di insegnamento ginnasiale, dal 1896 al gennaio del 1900 fu assistente al museo dei gessi al servizio della cattedra di archeologia tenuta da Emanuel Loewy: l’interesse per la storia dell’arte e l’archeologia classica attraversò costantemente la sua opera (cfr. per es. L’impresa d’Eracle contro Gerione su la coppa d’Eufronio, in Rivista di filologia e di istruzione classica, XXX (1902), pp. 249-254 o Ninfe e cabiri, in Ausonia, II (1907), pp. 141-185, e Vasi del Museo di Bari con rappresentazioni fliaciche, ibid., pp. 243-260).
Riprese quindi l’insegnamento di lettere latine e greche nei licei (Cosenza, Avellino, Spoleto), dal 1902 come reggente (Lucca, Tivoli, liceo Visconti di Roma).
Libero docente in letteratura greca presso l’Università di Roma dal novembre 1900, vinse nel 1905 il concorso per la stessa materia all’Università di Catania, dove rimase per un triennio ed ebbe anche l’incarico di insegnare lingua e letteratura tedesca. Nella prolusione catanese del 1906 (Fasi storiche nella concezione dell’ellenismo, in Atene e Roma, XI (1908), coll. 1-20, ripubblicata più volte) delineò un quadro della grecità in cui, oltre all’elemento dionisiaco, spiccano i tratti popolari e le componenti orientali e mediterranee. Dopo questo triennio, dal dicembre del 1908 al novembre del 1918 Romagnoli insegnò letteratura greca a Padova.
La prima fase della sua attività scientifica fu caratterizzata dall’adesione ai metodi e agli insegnamenti della filologia più rigorosa, con vari interventi, soprattutto sul teatro antico, apparsi negli Studi italiani di filologia classica diretti da Girolamo Vitelli.
Delineò una visione di ampia portata in Origine ed elementi della commedia d’Aristofane (in Studi italiani di filologia classica, XIII (1905), pp. 83-268). Il lavoro venne recensito con qualche riserva da Benedetto Croce (La Critica, V (1907), pp. 206-213, ripubblicato in Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari 1923, pp. 91-102) che definì Romagnoli, «traduttore eccellente» e «filologo valente» (p. 213), ma privo di capacità di vero critico (si veda anche E. Romagnoli, Polemica carducciana, Firenze 1911, pp. 197-199). Dal canto suo Giorgio Pasquali (1986) giudicò il saggio piuttosto negativamente («scarso di novità nei particolari ma nel suo complesso congeniale e adeguato al tema», p. 738).
Questi lavori, benché ancora influenzati dal metodo filologico di Piccolomini, sono già ricchi di traduzioni, come molto spesso i suoi contributi. L’allontanamento dalle pratiche della filologia della scuola fiorentina-pisana del suo maestro iniziò non molto dopo la sua laurea con il prevalere di un approccio estetizzante nei confronti dei testi antichi. Nel 1899 scoppiò una feroce polemica accademica tra gli esponenti più rappresentativi dei due indirizzi seguiti dalla filologia italiana di fine secolo, Giuseppe Fraccaroli da un lato e Vitelli dall’altro (rendiconto esaustivo della polemica in T. Lodi, Nota bibliografica, in G. Vitelli, Filologia classica [...] e romantica, Firenze 1962, pp. 134-142). Romagnoli, nonostante la sua formazione, sembrò propendere sin da allora per la tendenza ‘antifilologica’ (numerose sue lettere a Fraccaroli testimoniano lo stretto rapporto tra i due: Le carte di Giuseppe Fraccaroli presso la biblioteca civica di Verona, in Giuseppe Fraccaroli, a cura di A. Cavarzere - G.M. Varanini, 2000, p. 330; G.M. Varanini, Appunti dal carteggio di Giuseppe Fraccaroli, ibid., pp. 157 s.). In una cartolina del giugno 1899 a Giovanni Pascoli, con cui Romagnoli intrattenne una breve corrispondenza, così commentava gli sviluppi della polemica: «ma non Le pare che il Pistelli abbia indicibilmente trasceso contro il Fraccaroli? E ancora non Le pare che codesto sdegno della Scuola fiorentina per la genialità e per la metrica sia un po’ la favola della volpe e dell’uva?» (Barga Castelvecchio Pascoli, Case Pascoli, Archivio Pascoli, G.44.6.4).
Già nel periodo degli studi universitari, passato tra le varie e ricche suggestioni artistiche e culturali della Roma di fine secolo (si vedano in particolare i due volumi autobiografici Ricordi romani, Milano 1928, 1936, e Genii in incognito, Roma 1934), si era impegnato in traduzioni artistiche di teatro e lirica greca: un primo saggio apparve nel 1895 (Saggi di versione dagli Uccelli di Aristofane, in Nuova Antologia, s. 3, LX (1895), pp. 757-765; per i retroscena della pubblicazione dell’articolo cfr. Ricordi romani, 1928, pp. 179-193) e fu l’inizio della sua straordinaria attività di traduttore, cominciata con gli Uccelli di Aristofane (Firenze 1899) e proseguita con grande intensità fino agli ultimi giorni della sua vita (fu l’unico nel Novecento a tradurre in italiano tutti i drammi greci superstiti). In parte queste traduzioni, tutte in versi (sull’esempio di Pascoli l’esametro carducciano per Omero, l’endecasillabo per il trimetro), servirono alle rappresentazioni teatrali, ma in seguito si estesero anche a testi poetici non drammatici, in particolare quando l’editore Zanichelli prese a stampare la collana I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli.
Fu Aristofane l’autore al quale si dedicò inizialmente e anche quello la cui resa viene considerata la più efficace ed elegante. Dopo Gli uccelli tradusse Gli Acarnesi (Milano 1902) e Le tesmoforiazuse (Piacenza 1904) e poi tutte le commedie (Torino 1909; Milano 1916; Bologna 1924-1927, con numerose ristampe). All’Agamennone di Eschilo (Catania 1914) fece seguito la raccolta di tutte le sue tragedie che inaugurò la collana di Zanichelli nel 1921 (con varie ristampe). Anche di Euripide uscirono dapprima singole tragedie presso Quattrini a Firenze: Ciclope, 1911 (su questa traduzione, da cui dipende quella in siciliano di Luigi Pirandello, cfr. M. Napolitano, Il “Ciclope” di Euripide: riflessioni di un traduttore occasionale, in Scienze dell’antichità, XX (2014), pp. 99-119); Baccanti, 1912 (1913); Alcesti, 1913. Successivamente furono pubblicate presso Zanichelli (Alcesti, 1921; Baccanti, 1922; Medea, 1927), per il quale fu allestita infine un’edizione completa (1928-1931, con varie ristampe). Dell’Edipo re e di Antigone di Sofocle ci furono edizioni singole (rispettivamente Bologna 1918, 1922, 1923 e 1924), che furono poi comprese in quella di tutte le tragedie del 1926. Di Pindaro, dopo un’edizione fiorentina del 1921, la stampa completa presso Zanichelli fu del 1927. Romagnoli tradusse anche Odissea (1923), Iliade (1924), Omero minore (1925), Teocrito (1925), Eronda (1926), Esiodo (1929), i poeti lirici (1932-1936, rist. 1959, 1969), i poeti alessandrini (1938) e, postumi, furono pubblicati i poeti dell’Antologia Palatina (1940-1948).
Da ricordare anche le traduzioni dal latino, allestite per la collana Romanorum scriptorum corpus Italicum - Collezione romana da lui diretta e pubblicata a Villasanta (Milano, cfr. Serianni, 2012): Orazio (Epistole, 1928; Satire, 1929, rist. assieme Bologna 1937; Odi, 1933), Cesare (De bello civili, 1931), Plauto (Aulularia, Miles gloriosus, 1929; il secondo già Messina 1928). Tradusse anche dal tedesco: il S. Antonio da Padova di Wilhelm Busch (Roma 1920), alcune liriche di Eduard Mörike (Liriche scelte. Poemetto, Firenze 1923) e di Johann Wolfgang von Goethe (Liriche scelte, a cura di T. Gnoli - A. Vago, Milano 1932).
L’attività di traduttore si accompagnò sin dagli anni universitari a quella di poeta originale, nonché di autore di opere teatrali. Seguì anche con attenzione la vita teatrale milanese e collaborò da esperto musicista alla realizzazione di drammi musicali (vari gli interventi sulla storia della musica, antica e moderna: di lontana ispirazione nietzscheana la derivazione della poesia e della tragedia antica dalla musica). Sempre costante, spesso brillante, fu il contributo a giornali e riviste culturali in cui mostrò un vero e proprio talento di pubblicista.
Ricordiamo Miti e fantasie (Lanciano 1910), raccolta di poesie dedicata a Federico De Roberto, in gran parte già pubblicate su Nuova Antologia, dove frequenti furono i suoi commenti sulla lirica contemporanea. Di taglio più direttamente polemico e satirico sono i sonetti di Ottonovecentismo (Milano 1935). Numerosi i drammi ristampati poi in parte nella collana Il teatro di Ettore Romagnoli della casa editrice Zanichelli: Drammi satireschi, Milano 1914 (rist. Bologna 1928); Nuovi drammi satireschi (Bologna 1919, rist. 1928); Terzi drammi satireschi (Bologna 1922); Commedie moderne: il trittico dell’amore e dell’ironia (Bologna 1920, rist. 1922); Commedie liriche (Bologna 1925); Drammi arabi (Bologna 1931). L’ampia attività di critico teatrale è testimoniata dalle raccolte dei suoi numerosi e vivaci resoconti degli spettacoli milanesi – sempre molto briosi e colti – apparsi sull’Ambrosiano e poi ripubblicati nell’opera In platea. Critiche drammatiche (I-III, Bologna 1924-1926). Cronache letterarie e culturali (anche teatrali) sono riunite in Un anno di vita intellettuale (Milano 1923: ristampa delle cronache letterarie pubblicate in Industrie italiane illustrate del 1921) e nei Grotteschi. Serie prima (Bologna 1926). Furono musicati Giove a Pompei (scritta con Luigi Illica, musica di Alberto Franchetti e Umberto Giordano, Milano 1921), Il mistero di Persefone (musica di Romagnoli, Bologna 1929), Dafni (musica di Giuseppe Mulè, Milano 1928, rist. 1953). In prosa le Novelle (Bologna 1931).
Il 23 maggio 1909 tenne nell’aula magna dell’Istituto di studi superiori di Firenze una conferenza su Pindaro, già prolusione del corso di letteratura greca a Padova e già pronunciata in altre città, in cui criticava le interpretazioni filologiche del poeta, scagliandosi in particolare contro Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff e il servilismo degli italiani nei confronti degli studiosi stranieri. La conferenza diede luogo a una dura polemica con Vitelli sulle pagine del Marzocco (6 e 13 giugno), poi ristampata assieme al testo della conferenza nel Pindaro (Firenze 1910, pp. 9-99) e ancora Nel regno d’Orfeo: studi sulla lirica e la musica greca (Bologna 1921 (1953), pp. 73-109) e, assieme alle Polemiche pindariche, in Filologia e poesia (postumo, Bologna 1958, pp. 259-298, un volume in cui si trovano molti degli scritti, in gran parte giovanili, di taglio più filologico).
La polemica tra i diversi indirizzi della filologia italiana si riaccese nell’aprile del 1911 in occasione del IV Convegno della Società italiana per la diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici Atene e Roma a Firenze, in cui Romagnoli intervenne con una relazione su La diffusione degli studi classici (in Acropoli, aprile 1911, pp. 309-333, rist. in Vigilie italiche, Milano 1917, pp. 65-140, e in Lo scimmione in Italia, Bologna 1919, pp. 177-229), un intervento in cui compaiono tutti i temi a lui cari: l’importanza della traduzione e dell’esegesi dei testi antichi, la denuncia della prevaricazione dell’indirizzo meramente filologico, l’esigenza di una nuova versione italiana di tutti i classici greci.
Ancora nel 1911, con la pubblicazione della Polemica carducciana (poi Bologna 1936), aprì anche un altro fronte polemico intorno a Giosue Carducci, un poeta da lui amato e di cui aveva frequentato l’entourage (Mario Menghini, Giuseppe Chiarini). Il volume raccoglie i principali interventi apparsi tra maggio 1910 e maggio 1911, in particolare sulle Cronache letterarie dirette da Vincenzo Morello, in cui si confrontarono aspramente attorno alla valutazione di Carducci critico da un lato Benedetto Croce, Giuseppe Prezzolini, Giuseppe Antonio Borgese, Goffredo Bellonci – che ne ridimensionavano la portata –, dall’altro Romagnoli, Massimo Bontempelli, Emilio Bodrero, Vincenzo Morello, che condannavano la critica ‘filosofica’ degli avversari (cfr. G. Langella, L’alternativa a Croce. Carducciani umanisti e moralisti vociani, in Da Firenze all’Europa. Studi sul Novecento letterario, Milano 1989, pp. 3-78, in partic. pp. 3-12).
L’intervento polemico più noto è quello affidato in piena guerra a Minerva e lo scimmione (Bologna 1917, 1917, 1935), un «libro di battaglia» (p. XII) che raccoglieva articoli usciti su Gli avvenimenti del 1915-1916 e si scagliava contro il ‘metodo scientifico’ di provenienza tedesca che avrebbe inquinato ormai da decenni la filologia classica italiana: la filologia «da ancella divenne padrona» (p. 76) e con il proprio metodo avrebbe preteso di imporre la verità assoluta a tutte le discipline della cosiddetta scienza dell’antichità. Romagnoli contestò la trasformazione in scopo ultimo di quella che era una tecnica, divenuta ormai fine a se stessa, e l’internazionalismo filologico che rischiava di annullare le più sane tradizioni italiane. Il libro ebbe ampia risonanza e fece di Romagnoli il campione dell’antifilologismo, provocando vivaci reazioni: la più lucida e durevole fu quella di Pasquali (Filologia e storia, Firenze 1920, 1963, 1998). Più circoscritta la portata del coevo L’aurora classica boreale (Bologna 1917), a proposito della collana italiana di edizioni critiche dei testi classici (secondo Romagnoli sarebbe stata sufficiente quella diretta da Carlo Pascal e sarebbero stati piuttosto necessari studi di ampio respiro, commenti e traduzioni). Meno riuscito il tentativo polemico di accreditarsi come punto di riferimento per la politica universitaria in Paradossi universitari (Milano 1919), in cui proseguiva in parte la polemica antigermanica e proponeva una visione decisamente elitaria dell’università. Il suo nazionalismo culturale si palesò in continue battaglie e appelli al recupero delle tradizioni italiane in tutti i campi, come testimoniano, ad esempio, il discorso inaugurale dell’anno accademico 1918-19 a Pavia, ancora in pieno clima bellico, L’italianità della cultura, e gli altri scritti raccolti in L’antica madre. Studi sull’italianità della cultura (Milano 1923) o quelli ristampati in Lo scimmione in Italia. La sua estetica misticheggiante di ascendenza romantica lo portò al di là del neoidealismo italiano, che pure aveva inizialmente accostato come alleato contro il filologismo, ma che poi accusò di essere troppo dipendente dal pensiero tedesco.
Altrettanto significativo per la storia della cultura italiana fu l’impegno di Romagnoli per il recupero sulle scene del teatro classico nella sua interezza e complessità, comprese danza e musiche (forse nel ricordo della proposta dannunziana di fine Ottocento di ripresa del teatro greco con il progetto del ‘teatro di Albano’), come aveva avuto modo di manifestare nella già citata relazione del 1911 al IV Convegno di Atene e Roma su La diffusione degli studi classici.
Iniziò a far rappresentare drammi greci a Padova con i suoi studenti come attori (tra questi Giosuè Borsi – commemorato con partecipazione nel 1916: cfr. Come nacquero le rappresentazioni classiche, apparso nel maggio 1924 nel Secolo XX e poi in Filologia e poesia, cit., pp. 503-517). La prima rappresentazione fu quella delle Nuvole al teatro Verdi di Padova nel 1911, seguita nel 1912 dalle Baccanti. Nel 1913 furono tenuti spettacoli a Milano, Trieste, Vicenza, nell’anfiteatro di Verona e nel teatro romano di Fiesole. Su invito di un comitato di appassionati guidati da Tommaso Gargallo, curò nel 1914 la rappresentazione al teatro greco di Siracusa di Agamennone, da lui tradotto, messo in scena e musicato, che diede inizio alla lunga stagione degli spettacoli classici siracusani.
A lui fu affidata la prima tragedia rappresentata dopo l’interruzione bellica nel 1921, le Coefore, con musiche di Giuseppe Mulè. Nel 1922 furono rappresentati Edipo re e Baccanti (il primo con musica di Romagnoli, il secondo di Mulè), nel 1924 Sette a Tebe e Antigone, entrambi con musica di Mulè. Nel 1925 il Comitato per le rappresentazioni classiche venne trasformato in Ente morale nazionale, prendendo il nome di Istituto nazionale del dramma antico. Romagnoli ne fu nominato direttore artistico nell’aprile 1927 e in quell’anno furono rappresentati Medea, Ciclope, Nuvole, Satiri alla caccia, tutti con musica di Mulè. Nel 1928 l’incarico di direzione artistica gli venne però revocato dal nuovo ministro (probabilmente su pressione del locale comitato).
Svolse opera costante di divulgazione. Insegnò anche nell’Università popolare di Milano (dalle lezioni nacquero La lirica greca. Discorso inaugurale per i corsi del 1911 all’Università popolare di Milano, Firenze 1913, ristampato in Nel regno d’Orfeo, cit., pp. 25-72 e Il teatro greco, Milano 1918, rist. Milano 1924, Bologna 1957).
Alla morte di Fraccaroli fu chiamato come suo successore a Pavia dove insegnò letteratura greca (poi lingua e letteratura greca) dal dicembre del 1918 all’ottobre del 1935. La successione, sostenuta in particolare da Pascal, fu intesa esplicitamente come un segnale di continuità di indirizzo: «egli può dare lustro a questa Università continuando negli spiriti e nella forma l’opera di Giuseppe Fraccaroli» (Università di Pavia, Archivio storico, Verbali, Verbale del Consiglio di facoltà di filosofia e lettere del 29 ottobre 1918).
Il periodo pavese lo vide impegnato in numerose iniziative ufficiali in Italia e all’estero, specialmente dopo la nomina ad accademico d’Italia (il 18 marzo 1929, nella prima tornata). Fu tra i classicisti più noti all’inizio del Novecento, in particolare durante il fascismo, che lo inglobò tra i suoi esponenti più illustri (fu tra gli intellettuali che avevano aderito al Convegno per la cultura fascista tenutosi a Bologna nel marzo 1925). Su invito di Giovanni Gentile, nonostante le perplessità di Pasquali, collaborò con vari contributi alla Enciclopedia italiana.
Particolarmente solenni furono nel 1930 le celebrazioni in occasione del bimillenario della nascita di Virgilio che culminarono nel discorso commemorativo pronunciato da Romagnoli in Campidoglio di fronte al re e a Mussolini il 15 ottobre 1930 (Virgilio. Discorso pel bimillenario pronunciato in Campidoglio il 15 ottobre 1930, Roma 1931, rist. in Discorsi critici, Roma 1934, pp. 123-148), una retorica esaltazione di Virgilio, «l’eterno vate della gente latina» (p. 23) che incarna lo spirito e l’essenza della stirpe italica, originariamente agricola, ma anche «poeta dell’impero» (p. 14), conscio che il disordine e la forza bruta andavano regolati con la forza disciplinata (p. 15).
Pronunciò anche il discorso solenne per il bimillenario della nascita di Orazio (Orazio. Discorso pel bimillenario pronunziato in Campidoglio il 17 novembre 1935, Roma 1935, rist. in M. Cagnetta, L’edera di Orazio. Aspetti politici del bimillenario oraziano, Venosa 1990, pp. 35-47; cfr. pp. 11 ss. per l’inquadramento nell’ambito delle celebrazioni ed Ead., Bimillenario della nascita, in Enciclopedia oraziana, III, Roma 1998, pp. 615-640). Gli furono affidati i discorsi celebrativi dei centenari di Ludovico Ariosto (Roma, 9 novembre 1933) e di Giacomo Leopardi (Napoli, 14 giugno 1937); altri, raccolti in Discorsi critici, cit., ne aveva già tenuti per Dante (1921), Pascoli (1925), Ugo Foscolo (1928), Goethe (1932), Carducci (1933). Celebrativo anche il discorso su Mussolini, «filosofo e poeta», elemento di continuità tra passato e presente (Mussolini (nel decennale della rivoluzione fascista), Bologna 1933, rist. in Discorsi critici, cit., pp. 205-225).
Nell’anno accademico 1935-36 fu chiamato a Milano dove insegnò filologia classica ‘per il greco’. Passò infine dal 29 ottobre 1936 a Roma alla cattedra di filologia greco-latina, dal 29 ottobre 1937, in seguito al pensionamento di Nicola Festa, a quella di letteratura greca e fu nominato direttore dell’Istituto di filologia classica per l’anno accademico 1937-38.
Cavaliere, commendatore e poi grande ufficiale della Corona d’Italia, fu ufficiale della legion d’onore, cittadino onorario di Siracusa e di Gela. Nel 1933 fu nominato professore honoris causa dell’ Università d’Atene e socio onorario dell’Accademia Parnassos di Atene, nell’anno successivo cittadino onorario di Atene e ricevette il gran cordone dell’Ordine della fenice di Grecia.
Fu socio corrispondente dell’Istituto veneto, dell’Istituto lombardo, dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Ateneo veneto. Ricevette la tessera onoraria del Partito nazionale fascista il 23 marzo 1925.
Morì a Roma il 1° maggio 1938. I funerali si svolsero a spese del governo. Suo successore sulla cattedra di letteratura greca, come già a Pavia, fu Gennaro Perrotta.
Dal primo matrimonio, con Eugenia Monzani, nacque la figlia Tullia coniugata Carettoni (1918-2015), partigiana e senatrice socialista; dopo la morte prematura della prima moglie, nacquero dal secondo matrimonio con Maria Aldisio di Bona (1894-1965) – sposata a Gela il 15 ottobre 1922 – Emilio, giurista (1923-2004), e Lucio, architetto (1925-1982).
La sua biblioteca è stata donata dagli eredi all’Accademia degli Agiati di Rovereto.
Opere. Per un elenco delle opere si veda L.A. Stella, Contributo ad una bibliografia di E. R., in Dioniso, XI (1948), pp. 136-141 (incompleta). Oltre alle raccolte di saggi e articoli citate si veda: Musica e poesia nell’antica Grecia, Bari 1911; Nel regno di Dioniso. Studi sul teatro comico greco, Bologna 1918 (1923, 1953). Opere scolastiche e divulgative: Il libro della poesia greca, Milano 1921 (1937); Antologia per uso delle scuole secondarie inferiori, Bologna 1922 (con F. Palazzi); Piccole e grandi storie del mondo antico, Firenze 1925; Aretusa. Introduzione allo studio dei grandi autori greci, Bologna 1926 (con G. Lipparini); Idd., Manuale della letteratura greca, Bologna 1931; Il libro della poesia greca per i fanciulli, Firenze 1927.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Centrale dello Stato, Pubblica Istruzione, Direzione generale dell’istruzione superiore (II versamento), Serie II, b. 133, ad nomen; Pavia, Archivio dell’Università degli studi di Pavia, Fascicoli docenti, ad nomen; Facoltà di filosofia e lettere, Verbali, 18 giugno 1917-19 febbraio 1927; Roma, Archivio storico dell’Università La Sapienza, Personale docente, AS 414, ad nomen; Accademia nazionale dei Lincei, Archivio Accademia d’Italia, Tit. XI, b. 18, f. 117; Tit. XIII, b. 13, f. 13/1.
V. Ussani, E. R., in Università degli Studi di Roma, Annuario per l’a. a. 1938-39, pp. 531-536; C. Formichi, E. R. Commemorazione tenuta il 26 febbraio 1939 nella Reale Accademia d’Italia, in Annuario della Reale Accademia d’Italia, XI (1939), pp. 172-190; G. Perrotta, E. R., in Maia, I (1948), pp. 85-103 (con qualche modifica in Letteratura italiana. I critici. Per la storia della filologia e della critica moderna in Italia, II, Milano 1969, pp. 1448-1459); i saggi compresi in Dioniso, XI (1948), pp. 67-141 (fasc. dedicato alla memoria di E. R.); A. Rostagni, Gli studi di letteratura greca, in Cinquant’anni di vita intellettuale italiana. 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni - R. Mattioli, I, Napoli 1950, pp. 404-406; E. Paratore, E. R., in Dioniso, XII (1959), pp. 23-39 (rist. in Id., Spigolature romane e romanesche, Roma s.d., pp. 353-371); G. Cucchetti, E. R. A venticinque anni dalla sua morte, a cinquant’anni dalla prima delle rappresentazioni classiche di Siracusa, Urbino 1964 (rist. Palermo 1968); E. Degani, E. R., in Letteratura italiana. I critici, cit., II, pp. 1431-1448, 1459-1461 (ripubblicato in Filologia e storia. Scritti di Enzo Degani, a cura di M. G. Albiani et al., Hildesheim-Zürich-New York 2004, pp. 937-954); L.A. Stella, E. R. umanista nel centenario della sua nascita, in Studi romani, XX (1972), pp. 169-180; G. Pasquali, Arti e studi in Italia nell’ultimo venticinquennio. Gli studi di greco, in Scritti filologici, a cura di F. Bornmann - G. Pascucci - S. Timpanaro, Firenze 1986, pp. 738-740 (già in Leonardo, I (1925), pp. 261-275; II (1926), pp. 4-7; rist. in Belfagor, XXVIII (1973), pp. 168-182); E. Degani, La filologia greca nel secolo XX, in La filologia greca e latina nel secolo XX. Atti del congresso internazionale, Roma... 1984, II, Pisa 1989, pp. 1100-1104; M. Cagnetta, Antichità classiche nell’Enciclopedia Italiana, Roma-Bari 1990, pp. 31, 33, 39 n. 27, 43 s., 50 s.; P. Treves, E. R. fra positivismo ed estetismo, in Tradizione classica e rinnovamento della storiografia, Milano-Napoli 1992, pp. 277-298; L. Gamberale, Le scuole di filologia greca e latina, in Università degli studi di Roma La Sapienza. Facoltà di lettere e filosofia, Le grandi scuole della Facoltà, Roma 1994, pp. 52-57; Università degli studi di Roma La Sapienza, Commemorazione di E. R. nel cinquantenario della morte, Roma 1995; M. Cagnetta, Croce vs. Pasquali: quale storicismo?, in Quaderni di storia, XLVIII (1998), pp. 6-12; P. Zoboli, Sulle versioni dei tragici greci in Italia (1900-1960). Traduttori e traduzioni, in Aevum, LXXIV (2000), pp. 833-874; Giuseppe Fraccaroli (1849-1918). Letteratura, filologia e scuola fra Otto e Novecento, a cura di A. Cavarzere - G.M. Varanini, Trento 2000; P. Zoboli, La rinascita della tragedia. Le versioni dei tragici greci da D’Annunzio a Pasolini, Lecce 2004, pp. 33 s., 85-108, 125-131, 138 s.; G. Bordignon, “Musicista poeta danzatore e visionario”. Forma e funzione del coro negli Spettacoli classici al Teatro greco di Siracusa, Siracusa 2012, pp. 17-94; L. Serianni, E. R. latinista, in Venuste noster. Scritti offerti a Leopoldo Gamberale, a cura di M. Passalacqua - M. De Nonno - A.M. Morelli, Hildesheim 2012, pp. 639-654.