PIGNATELLI, Ettore
PIGNATELLI, Ettore. – Nacque attorno al 1465 da Carlo Pignatelli, signore di Monticello, e da Mariella Alferi. Milite napoletano, sposò nel 1489 donna Ippolita Gesualdo, figlia di Sansone conte di Conza e di Costanza di Capua. Dal loro matrimonio nacquero Camillo, Isabella e Costanza.
Acquistò nel 1501 da re Federico d’Aragona le terre di Borrello, Rosarno, Misiano e Monteleone, Torre di Bivona, Cinquefrondi, con il feudo detto Morbogallico (8 giugno) e ottenne il titolo di conte di Borrello (12 giugno).
Luigi XII, mentre era re di Napoli, lo assolse nel marzo 1502 dal reato di fellonia per avere partecipato alla ribellione contro Carlo VIII e lo reintegrò nel godimento dei suoi beni. Gli concesse inoltre il titolo di ciambellano e di consigliere e lo volle alla sua corte. Durante il regno di Ferdinando il Cattolico, fu insignito nel 1506 del titolo di conte di Monteleone (oggi Vibo Valentia), eretto a Ducato nel 1527 per privilegio di Carlo V. Un anno dopo, nel giugno 1507, gli fu conferito l’ufficio di scrivano di razione e di revisore della Real Camera di Sommaria; fu poi nominato luogotenente del Gran Camerario. Partecipò alla battaglia di Ravenna e fu prigioniero dei francesi a Milano nel 1512. Si trovava nelle Fiandre, alla corte di re Carlo d’Asburgo, quando il 22 gennaio 1517 fu nominato luogotenente del Regno di Sicilia e capitano generale, mentre era viceré Ugo Moncada, il quale, dopo la rivolta del 1516, era fuggito dall’isola. Poté insediarsi solo il 1° maggio 1517, poco prima che in estate maturasse a Palermo la congiura di Giovan Luca Squarcialupo.
Nominato viceré di Sicilia il 28 maggio 1518, l’11 novembre successivo il Parlamento siciliano lo abilitò a esercitare qualunque ufficio e beneficio nel Regno come cittadino di Palermo e regnicolo siciliano, privilegio grazie al quale nel 1524 ottenne l’ufficio di maestro portulano per tre vite, già posseduto dal conte di Cammarata Federico Abatellis.
Malgrado il perdono concesso nel 1519 da Carlo V ad alcuni esponenti della nobiltà titolata, allontanati dalla Sicilia e successivamente reintegrati, che avevano giocato un ruolo di primo piano nelle vicende di quegli anni, almeno sino al 1522 il panorama politico nel Regno rimase fluido e il clima avvelenato da sospetti: nell’aprile 1523 fu scoperta da Luis Fernández de Córdoba y Zúñiga, conte di Cabra e duca di Sessa, ambasciatore di Carlo V a Roma, la congiura filofrancese dei fratelli Giovan Vincenzo, Federico e Francesco Imperatore, maturata negli anni del loro esilio a Roma per la partecipazione ai fatti del 1516 e nella quale risultarono implicati anche il cardinale Francesco Soderini e Marcantonio Colonna. La repressione fu esemplare e senza alcun cedimento. Oltre ai tre fratelli Imperatore, furono condannati a morte tra gli altri il barone di Cefalà Federico Abatellis, omonimo cugino del conte di Cammarata, Nicolò Vincenzo Leofante e lo stesso conte di Cammarata, e i loro beni confiscati.
Il viceré riuscì a riportare la calma nell’isola grazie anche all’aiuto determinante del baronaggio, che in cambio egli rivalutò come strumento di potere nel tentativo di garantirsene la fidelitas, e nei cui confronti adottò un atteggiamento tollerante quando i suoi esponenti si resero protagonisti di atti violenti e criminosi. Inoltre la sua linea d’azione morbida fu orientata a risolvere attraverso mediazioni e compromessi la conflittualità interna, come nello spinoso ‘caso di Sciacca’ (1528-29), che contrappose le famiglie Luna e Perollo, ma con esiti incerti. Ne risultò ostacolato il corso della giustizia e vanificata l’azione dei magistrati, come ebbe a denunziare all’imperatore Carlo V l’avvocato fiscale del tribunale della Regia Gran Corte Antonio Montalto, che con Pignatelli era entrato in contrasto. E se Montalto chiedeva di fatto a Carlo V di rafforzare la componente ministeriale nel governo siciliano, il viceré invece cercò di porre sotto controllo giudici e ufficiali regi, disciplinandone l’attività: incaricò i giuristi messinesi Pietro de Gregorio e Salvo Sollima di curare l’edizione dei capitoli del Regno, editi nel 1522; fece pubblicare nel 1526 le Pandectae reformatae et de novo factae circa solutionem iurium officialium regni Siciliae con l’obiettivo di mettere ordine nella complessa materia del funzionamento dei tribunali; emanò diverse prammatiche sull’esercizio della giustizia e disciplinò il diritto di foro per gli stranieri. Particolarmente rilevanti furono i provvedimenti assunti in materia di finanza pubblica, soprattutto in relazione al problema della circolazione della moneta falsa. Pignatelli diede inoltre un forte impulso allo sviluppo dello Studio catanese, ratificandone nel 1522 l’approvazione dei capitoli di riforma generale.
Sul fronte dell’organizzazione militare la sua attività fu volta a contrastare le incursioni barbaresche sulle coste dell’isola, offrendo aiuto logistico a Ugo Moncada, che nel 1519 era stato nominato comandante dell’Armata reale e nel 1520 aveva occupato l’isola di Gerbe, rendendola tributaria del re di Sicilia. Nel contesto della guerra nel Mediterraneo, nel 1523 Pignatelli accolse a Messina Philippe de Villiers de l’Isle-Adam, gran maestro dell’Ordine gerosolimitano di S. Giovanni, e i suoi cavalieri, appena estromessi dall’isola di Rodi; il 29 maggio 1530 ricevette nelle sue mani il giuramento di fedeltà dell’Ordine prima dell’insediamento a Malta, feudo del Regno di Sicilia concesso ai cavalieri da Carlo V. Il viceré Monteleone promosse inoltre l’opera di fortificazione delle principali città costiere dell’isola (Palermo, Trapani, Milazzo, Siracusa e qualche anno più tardi anche Messina), affidandone l’incarico all’ingegnere padovano Piero Antonio Tomasello, attivo in Sicilia dal 1523 al 1537, anno della morte, con il quale collaborò negli ultimi anni anche l’ingegnere Antonio Ferramolino, che fu in seguito al servizio del viceré Ferrante Gonzaga.
Nell’attività cantieristica fu coinvolto anche Antonio Belguardo, uno dei protagonisti dell’architettura palermitana del primo Cinquecento, particolarmente esperto nella costruzione di superfici voltate. A lui Pignatelli affidò i lavori di ampliamento e trasformazione della chiesa dei Sette Angeli, destinata a divenire la sede della Confraternita imperiale dei Sette Principi Angeli fondata dallo stesso viceré (1523) ed espressione di una complessa costruzione politico-religiosa di cui devozione angelica e fedeltà all’imperatore furono componenti fondamentali. Successivamente, nel 1529 il viceré Monteleone fondò, annesso alla chiesa, un monastero delle minime dell’Ordine di S. Francesco di Paola, di cui era devotissimo. Nel 1533 fondò a Palermo la Compagnia della Carità, il cui scopo era la visita e il servizio degli infermi dell’Ospedale di S. Bartolomeo; a Borrello (1512) e a Rosarno (1526) conventi di domenicani; a Monteleone il convento dei Frati minori osservanti annesso alla chiesa di S. Maria di Gesù (1533).
Mostrò interesse verso la cultura figurativa e plastica, come testimoniano non solo i numerosi oggetti di pregio presenti nella sua dimora di Palermo, ma soprattutto le committenze affidate a Vincenzo degli Azani da Pavia e Antonello Gagini, artisti apprezzati nel panorama culturale dell’epoca. Particolarmente ricca era la sua biblioteca, come documenta l’inventario redatto pochi giorni dopo la sua morte.
Morì da viceré il 7 marzo 1535 a Palermo, dove gli furono tributati solenni funerali, e secondo le sue volontà testamentarie fu sepolto a Monteleone presso la chiesa di S. Maria di Gesù, dove aveva fatto traslare – disponendo che fossero riposte in un sepolcro di marmo bianco opera dello scultore Antonello Gagini – le spoglie del figlio Camillo, conte di Borrello, a lui premorto nel 1529 a Bari, combattendo contro le truppe di Francesco I che avevano invaso la Calabria.
Nel testamento del 5 ottobre 1527, Pignatelli lo aveva designato suo erede universale, dopo aver vincolato la successione al grado di primogenitura in perpetuo secondo l’istituto del maggiorascato per il quale aveva ottenuto regolare licenza regia (privilegio di Granada del 7 dicembre 1526). In un successivo testamento, del 24 ottobre 1531, istituì il nipote Ettore, primogenito di Camillo e di Giulia Carafa, come erede universale di tutti i suoi beni mobili e immobili nel Regno di Napoli, nel Regno di Sicilia e nell’isola di Malta (il feudo La Marsa), del Ducato di Monteleone e della Contea di Borrello così come erano uniti e vincolati in un unico corpo indivisibile.
Il suo epitaffio fu scritto dal poeta e umanista Antonio Minturno, vescovo di Crotone, che era stato precettore dei suoi tre figli: «Hectora qui destrera excessit, qui mente Catonem / Minoem sepiro, relligione Numam, / Pignatellus hic est Hector, Trinacrius annos / Ter senos presess, dux, comes, hicque iacet».
Su Pignatelli pesò il giudizio di Tommaso Fazello, suo contemporaneo, che ne tacciò il comportamento negli anni delle rivolte di ignavia e di viltà, giudizio poi ripreso anche da Giovanni Evangelista Di Blasi.
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