OVAZZA, Ettore
OVAZZA, Ettore. – Nacque a Torino il 21 marzo 1892 da Ernesto e da Celeste Malvano, in una famiglia dell’alta borghesia ebraica.
Il padre era proprietario della banca Vitta Ovazza & C. (intitolata al nonno e fondata nel 1866), di cui Ettore, secondogenito, divenne socio gerente, assieme ai fratelli Alfredo e Vittorio.
Dopo gli studi nei licei classici D’Azeglio e Alfieri, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino nel 1912, recandosi l’anno seguente in Germania, a Friburgo, per apprendere la lingua tedesca e seguire studi di politica estera che, nelle sue intenzioni, avrebbero dovuto condurlo verso la carriera diplomatica. Gli anni universitari culminarono nella tesi di laurea dedicata a Il diritto internazionale e la conflagrazione europea. La proprietà privata (Torino 1915), che diede alle stampe quando era già stato mobilitato nell’esercito per l’intervento dell’Italia nella Grande Guerra. Combatté per 18 mesi in prima linea, ottenendo la Croce di guerra. Nel giugno 1918 venne chiamato al Comando supremo, dove svolse funzioni di segretario dello Stato Maggiore del generale Armando Diaz.
Nel dopoguerra assunse posizioni ultrapatriottiche e anticomuniste. Iscrittosi al fascio ufficiali combattenti in congedo il 15 giugno 1920, in seguito rivendicò di aver partecipato all’occupazione della Camera del lavoro di Torino e all’organizzazione per Torino della Marcia su Roma (Milano, Arch. del Centro documentazione ebraica contemporanea, Fondo Ettore Ovazza, Curriculum vitae), conducendo inizialmente l’attività politica sotto la guida del quadriumviro Cesare Maria De Vecchi e di Mario Gioda, fascista della prima ora. Una relazione prefettizia del 1928 lo definiva «uno dei più convinti e tenaci assertori delle nuove idee» fasciste fin dal dopoguerra (Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza).
Questo non esclude una fase di graduale transizione verso l’adesione esclusiva al fascismo: tra le sue carte si trova una tessera di iscrizione al Partito liberale, datata 24 febbraio 1923; inoltre, nel dicembre 1924, si trovava in corrispondenza con il senatore Francesco Ruffini, noto antifascista, a proposito delle «limitazioni per gli acattolici» nel decreto sulla stampa, corrispondenza in cui pure Ovazza confermava la propria fiducia «nel radioso avvenire del nostro Paese» (Fondo Ettore Ovazza, cit., lettere di Ruffini, 9 dicembre 1924, e di Ovazza, 12 dicembre 1924).
Nell’immediato dopoguerra sposò Nella Sacerdote, anch’ella di famiglia ebraica altoborghese e sua cugina prima; da questa unione nacquero i figli Riccardo e Elena.
Nell’ottobre 1925 fu nominato corrispondente da Torino del quotidiano L’Impero. Alcuni mesi più tardi ricevette l’elogio dei direttori Mario Carli ed Emilio Settimelli per un’intervista con il principe ereditario (la famiglia Ovazza era vicina agli ambienti della corte torinese). La collaborazione tuttavia cessò con le dimissioni nell’aprile 1927, ufficialmente presentate da Ovazza a causa dell’eccesso dei suoi impegni; ma un appunto manoscritto da lui stesso apposto sulla lettera di accettazione delle dimissioni rivelerebbe che queste vennero date «in seguito ad attacchi all’Ebraismo» (ibid., lettere di nomina, 6 ottobre 1925, di Carli e Settimelli, 5 aprile 1926, di Ovazza, 27 aprile 1927).
Il suo referente politico principale tra secondi anni Venti e primi anni Trenta fu Dante Tuninetti, segretario federale della Cirenaica e in seguito commissario del partito fascista in Trentino, direttore di Cirenaica italiana e Il Brennero, testate a cui non mancò la collaborazione – e probabilmente il sostegno economico – di Ovazza. Grazie a questa collaborazione, che in colonia si concretizzò anche con la donazione di piccole biblioteche ambulanti per i soldati, Ovazza ottenne alcuni riconoscimenti tra cui la nomina a cavaliere dell’ordine coloniale della Stella d’Italia (ibid., lettera di nomina, 28 dicembre 1934).
Fin dal 1915 Ovazza aveva dato prova di interessi letterari stendendo una romanza per le musiche dell’amico compositore Lorenzo Perigozzo, per il quale scrisse versi anche in altre occasioni; nel 1922 raccolse alcune prove poetiche nella collezione di liriche Ghirlande (Milano 1922; Pinto, 2011, p. 70). Nel 1921 pubblicò a Milano il dramma teatrale L’uomo e i fantocci che nel corso del 1922 fu rappresentanto dal fascio di Sesto San Giovanni – in un teatro vigilato dai carabinieri – probabilmente con intento di provocazione nell’atmosfera surriscaldata dell’anno della Marcia su Roma (fu nuovamente messo in scena nel decennale della Marcia al Teatro Vittorio Emanuele di Torino).
Il dramma verteva sulle difficoltà e delusioni esistenziali incontrate nel dopoguerra da un giovane combattente, mutilato e privato del suo amore precedente il conflitto. L’ultimo atto fu riscritto da Ovazza nel 1925 per esaltarne le conclusioni, facendole culminare con la Marcia su Roma.
Molto più consistente fu l’attività di «brillante giornalista e scrittore fascista» (così era definito in una relazione del prefetto di Torino del 16 luglio 1928; Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza; egli stesso si definì più volte scrittore fascista), iniziata con la collaborazione a L’Eco d’Italia, giornale torinese fondato nel 1922, che Ovazza contribuì a finanziare. La sua prova letterariamente più riuscita, e anche la più rivelatrice dei suoi sentimenti politici intrecciati a quelli familiari, fu senz’altro il Diario per mio figlio (Torino 1928), serie di annotazioni a partire dal 1923, intessute di riferimenti patriottici, di considerazioni storiche sul Risorgimento, di elogi della patria fascista.
In uno dei passaggi più emblematici di tutto il suo percorso e destino, Ovazza scrive rivolgendosi al figlio: «Queste grandi parole: religione, politica, nel cammino della tua vita tu le troverai ad ogni passo; saranno due grossi tronchi d’albero che ogni tanto ti sbarreranno la via» (pp. 86 s.). Questi due fattori non costituirono degli occasionali ostacoli nella vita di Ovazza, ma furono fuochi centrali della sua vicenda e infine ne segnarono tragicamente l’esistenza.
Ovazza ebbe almeno due incontri personali con Mussolini: nel maggio 1929, quando fu a capo di una delegazione che consegnò al duce un volume sugli israeliti italiani caduti in guerra, e nel giugno 1932, quando gli presentò personalmente un volume di lettere sulla guerra mondiale che gli erano state indirizzate da Paolo Boselli.
Fin dal dopoguerra si era espresso in modo aspramente critico contro il sionismo, una linea che mantenne ferma e anzi radicalizzò negli anni, sintetizzando infine il proprio profondo dissenso nell’opera Sionismo bifronte (Roma 1935), raccolta di articoli apparsi in La nostra bandiera. Dal 1934 la situazione politica di particolare tensione creatasi nei confronti dell’ebraismo italiano, innanzitutto per le aspre critiche rivolte da settori del fascismo verso il movimento sionista, lo condusse a impegnarsi in prima persona nelle organizzazioni ebraiche: nel marzo di quell’anno l’arresto di un gruppo di antifascisti torinesi, risultati per lo più ebrei, fece gridare alla ‘combutta’ tra ebraismo e antifascismo e Ovazza, che si era posto in prima fila tra i più severi censori di questo gruppo, in un contesto di repressione e ritorno all’ordine fu brevemente chiamato a reggere da commissario governativo la comunità israelitica torinese (Fondo Ettore Ovazza, lettera del prefetto di Torino, 24 aprile 1934), dopo che il segretario federale di Torino gli aveva personalmente raccomandato, in un incontro seguito agli arresti, l’affermazione di una linea di assoluta fedeltà al regime (ibid., appunto manoscritto del federale Andrea Gastaldi, 31 marzo 1934). L’impegno di Ovazza si concretizzò in quei mesi nella sua opera forse più nota e rappresentativa, la fondazione nel maggio del periodico, che si definiva ebraico e fascista, La nostra bandiera, espressione di una linea assimilazionista in termini religiosi, e recisamente antisionista in politica. Mentre si accentuava il controllo del Ministero dell’Interno, tra la fine del 1934 e il principio del 1935, tre membri del gruppo de La nostra bandiera, tra cui Ovazza, furono cooptati nel consiglio dell’Unione delle comunità israelitiche per sanare i conflitti interni all’ebraismo e rassicurare il governo. Ma già sei mesi più tardi Ovazza rassegnò le dimissioni (ibid., lettera di nomina, 9 gennaio 1935, e lettera in cui si respingono le dimissioni dal Consiglio, 2 maggio 1935).
Della polemica antisionista di Ovazza si servì Paolo Orano nel pamphlet antiebraico Gli ebrei in Italia (1937), nel quale prendeva a bersaglio anche gli ebrei fascisti come Ovazza, per la loro persistente separatezza e spirito di elezione. Nella replica di Ovazza (Il problema ebraico. Risposta a Paolo Orano, Roma 1938) si trovano la difesa della diginità ebraica e del contributo degli ebrei alla patria italiana e la critica della nuova propaganda antiebraica, assieme alla riaffermazione della propria completa adesione al fascismo. Le superstiti lettere di Orano a Ovazza dimostrano il persistere delle posizioni antiebraiche dello scrittore e uomo politico, ma anche la stima personale e l’impegno a favore di Ovazza: anche all’intervento di Orano presso Guido Buffarini Guidi, sottosegretario agli Interni, Ettore dovette il riconoscimento dello status di discriminato (Fondo Ettore Ovazza, lettere di Orano degli anni 1935-39, e lettere di Umberto Zuccucci della Casa Editrice Pinciana, 7 e 8 giugno 1939).
Le limitazioni imposte alle attività di Ovazza dalle leggi razziali del 1938 furono solo parzialmente attenuate dalla discriminazione della famiglia per meriti di guerra. Se, sopraggiunte le persecuzioni fasciste, egli aveva formalmente rinunciato all’iscrizione alla comunità israelitica di Torino, nell’ottobre 1939 chiese di esservi riammesso in quanto il suo «attaccamento alla Religione d’Israele» non si era «mai affievolito», mentre il suo precedente «distacco» era «avvenuto per un’affermazione nazionale italiana da cui ha esulato ogni motivo religioso» (Fondo Ettore Ovazza, lettera al presidente della Comunità Israelitica, 9 ottobre 1939).
All’indomani del Manifesto degli scienziati razzisti, Ovazza si era rivolto nuovamente a Mussolini con un’angosciata lettera, nella quale esprimeva la sua disperazione di fascista della prima ora, accettava dolorosamente le nuove posizioni del regime, ma chiedeva che agli ebrei venisse lasciata la loro «fiera e integra italianità» (Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza, lettera del 15 luglio 1938). Ancora nel 1939 aveva pubblicato un volume (Guerra senza sangue. Da Versaglia a Monaco, Roma) in cui celebrava la politica di appeasement di Mussolini a Monaco, concentrandosi volutamente sulla politica estera del regime e nemmeno ora facendo venir meno il proprio sostegno e i propri intenti apologetici nei confronti del fascismo.
I successivi sviluppi furono tragici. In fuga da Torino verso la Svizzera, stabilitisi temporaneamente a Gressoney, gli Ovazza (Ettore, la moglie Nella e la figlia Elena) furono arrestati dalle SS tedesche il 10 ottobre 1943, condotti al comando tedesco di Intra sul Lago Maggiore e lì barbaramente uccisi, in uno dei primi eccidi nazisti nella penisola. Il figlio Riccardo fu tradito da una guida che avrebbe dovuto condurlo in salvo in Svizzera e anch’egli ucciso da tedeschi su suolo italiano.
Opere: In aggiunta alle opere citate nel testo: In margine alla storia. Riflessi della guerra e del dopoguerra, Roma 1923; Lettere dal campo, 1917-19. Con note esplicative, Torino 1932; Politica fascista, ibid. 1933; L’Inghilterra e il mandato in Palestina, Roma 1935.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, f. Ettore Ovazza; Carteggio riservato, Cat. 480/R, f. Ettore Ovazza; Arch. di Stato di Torino, Partito Nazionale Fascista, b. 106, f. Ettore Ovazza; Fondo Prefettura, Gabinetto, I versamento, b. 561/2 Difesa della Razza, f. Ebrei discriminati; Milano, Arch. della Fondazione Centro Documentazione Ebraica Contemporanea, FondoEttore Ovazza (contiene carte private e corrispondenza). A. Stille, Uno su mille. Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo, II ed., Milano 1992, pp. 13-95; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, n. ed., Torino 1993, ad ind.; L. Ventura, Ebrei con il duce. “La nostra bandiera” (1934-1938), Torino 2002; V. Pinto, L’ebreo “fascistissimo”. Il fascismo ingenuo, estetico e sentimentale di E. O., 1892-1943, inNuova storia contemporanea, XV (2011), 5, pp. 51-72. Raccoglie ricordi familiari: P. Lazzarotto - L. Presbitero, Sembra facile chiamarsi Ovazza: storia di una famiglia ebraica nel racconto dei protagonisti, Milano 2009.