VIGANÒ, Ettore Giuseppe
– Nacque a Tradate (Como) il 27 aprile 1843 da Francesco e da Rachele Pancera.
Si arruolò, diciassettenne, come volontario garibaldino, e nel luglio del 1860 raggiunse i Mille in Sicilia aggregandosi al 1° reggimento fanteria dell’esercito meridionale, da cui fu congedato a novembre dello stesso anno con il grado di caporale. Deciso a intraprendere la carriera militare nell’esercito regolare del nuovo Regno d’Italia, nel settembre del 1861 si iscrisse alla Regia Accademia di Torino. Proseguì il cursus scalando i gradi della gerarchia militare fino a tenente colonnello, nel 1883, destinato al comando del corpo di stato maggiore.
Due anni più tardi il capo di stato maggiore, tenente generale Enrico Cosenz, gli commissionò uno Studio circa la difensiva e l’offensiva a nord-est, ipotesi di un conflitto contro l’Austria-Ungheria con particolare attenzione alla difesa da un’invasione austriaca lungo il confine friulano.
Era il 1885 e, dopo la stipula della Triplice Alleanza, sebbene la maggior parte dei piani militari riguardasse la linea di confine con la Francia e la Svizzera, i vertici delle forze armate non trascuravano la possibilità di un conflitto con l’Austria-Ungheria.
Viganò lavorò a lungo a questo studio, sotto la diretta supervisione di Cosenz, viaggiando spesso per ricognizioni sul terreno. La conclusione del piano difensivo, noto anche come Piano Cosenz, individuò come soluzione ideale in caso di invasione la concentrazione del grosso delle truppe italiane sul Piave, mentre raggruppamenti più piccoli sarebbero stati inviati a difendere il Cadore e altre zone; alcuni reparti, dislocati al confine già in tempo di pace per la difesa avanzata, avrebbero rallentato l’invasione nemica. Molti elementi del gruppo di giovani ufficiali dello stato maggiore alle dipendenze di Cosenz avrebbero fatto parte del futuro gruppo dirigente dell’esercito, svolgendo ruoli da protagonista nell’amministrazione militare nel periodo compreso tra le guerre coloniali e la prima guerra mondiale.
Tra costoro, il tenente colonnello Viganò, che partì per l’Africa orientale una prima volta all’inizio del 1886 (20 febbraio-4 maggio), poi nuovamente l’anno successivo (4 maggio 1887) in un’Eritrea ancora scossa dalla sconfitta di Dogali, nominato capo di stato maggiore del comandante in capo delle regie truppe in Africa, il generale Alessandro Asinari di San Marzano. In quella veste Viganò fu accusato dagli inviati del giornale Il Secolo presenti sul posto, Gustavo Chiesi e Giulio Norsa, di aver reagito con atteggiamento grossolanamente sprezzante alla lettera con cui nel 1888 il negus Johannes IV chiese agli italiani di aprire trattative di pace (G. Chiesi - G. Norsa, Otto mesi..., 1888, p. 166).
Al termine di questa prima, breve esperienza africana, Viganò rientrò in Italia (23 maggio 1888). Promosso al grado di colonnello, comandò il 4° reggimento alpini (1888-91), fu quindi nominato direttore in 2ª dell’Istituto geografico militare (1891-93), poi comandante in 2ª della scuola dei sottufficiali (1893-95). Promosso maggiore generale (1895), fu inoltre rappresentante del ministero della Guerra presso il Consiglio superiore pei lavori geodetici (14 maggio 1891-27 maggio 1894).
Il 20 settembre 1896, poco dopo il disastro di Adua, tornò in Eritrea con la nomina a vicegovernatore della colonia, allora governata da uno stanco generale Antonio Baldissera che a dicembre rientrò in Italia, così che Viganò si trovò a svolgere le funzioni di governatore. In quella veste dovette gestire l’attacco di circa 10.000 mahdisti sudanesi (dervisci) al comando di Ahmed Fadil, emiro di Ghedaref. A gennaio del 1897, nonostante le difficoltà del dopo-Adua, riuscì a far convergere su Agordat, meta dei dervisci, una forza piuttosto consistente, tanto da convincere l’emiro a rinunciare e ritirarsi verso il Sudan. Viganò espletò il suo ruolo mostrandosi predisposto verso una prudente gestione militare del territorio, fermamente contrario ai tentativi di colonizzazione agricola. A questo proposito, il 3 aprile 1897 inviò un rapporto al ministro degli Esteri nel quale suggeriva senza mezzi termini «di farla finita una buona volta con questi inutili anzi dannosi tentativi i quali sciupano energie, fanno perdere denari preziosi e creano disillusioni», suggerendo che fossero i soldati stessi a coltivare i dintorni dei presidi, in modo da raggiungere la (ancora irrealizzabile) autosufficienza alimentare della colonia (cit. in Aquarone, 1989, p. 105).
Viganò cessò le sue funzioni e rimpatriò il 16 dicembre 1897.
Circa le sue doti di governatore non parlò certo bene il primo governatore civile dell’Eritrea – Ferdinando Martini, che gli succedette nel gennaio del 1898 – nel suo diario, dove a più riprese accusò la gestione militare della colonia di incredibili sprechi, inefficienze e incompetenza.
La carriera militare di Viganò proseguì, in Italia, con la promozione al grado di tenente generale (1901). In quel periodo fu membro della Commissione geodetica italiana (23 aprile 1898-febbraio 1902) e direttore dell’Istituto geografico militare (9 dicembre 1897-26 gennaio 1902).
Di quest’ultimo, costituito nel 1872 come ente di supporto delle forze armate e in seguito divenuto organo cartografico ufficiale dello Stato, Viganò difese la qualità della produzione cartografica lamentando, nelle sue lettere private, il poco apprezzamento che trovava in Italia e la scarsa attenzione che l’Istituto riceveva da parte degli ufficiali superiori italiani.
Nel 1906 Viganò venne nominato senatore del Regno e ministro della Guerra nel III governo Giolitti. Nel periodo in cui fu in carica (29 maggio 1906-29 dicembre 1907), si trovò ad affrontare una contingenza difficile per l’ambiente delle forze armate, segnato da momenti di tensione e malcontento particolarmente tra i sottufficiali (che in base a una legge del 1902 avrebbero dovuto essere congedati se senza impiego o al dodicesimo anno di servizio all’atto della promulgazione) e gli ufficiali subalterni. Lo scontento si raccolse intorno alla rivista Il Pensiero militare e al suo direttore, l’ex capitano Fabio Ranzi (il quale, in forte polemica con lo stato maggiore, era stato rimosso dal grado nel 1904), che intercettava il disagio circa l’inquadramento, la retribuzione e la lentezza delle carriere. Alle invettive di Ranzi e della sua rivista, capofila della cosiddetta dottrina modernista, il ministro Viganò rispose facendo pubblicare articoli e rilasciando interviste in cui attaccava Ranzi negando l’esistenza del problema. La questione si sarebbe gradualmente risolta a partire dal 1907 con l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta nel giugno e una serie di provvedimenti legislativi come la legge 14 luglio 1907 n. 495, che stanziava una forte somma a beneficio degli ufficiali subalterni.
Altro snodo della breve esperienza di Viganò al ministero della Guerra fu la legge 15 dicembre 1907 n. 763, sul reclutamento che, in netta discontinuità con la fase precedente, allargò il gettito di leva riducendo i titoli consentiti per esserne esentati, in particolare eliminando quelli inerenti il legame tra la famiglia di appartenenza e le forze armate. Si trattava del passo di un processo di «prussianizzazione» (Del Negro, 1979, p. 223) che sarebbe stato proseguito da un successore di Viganò, il generale Paolo Spingardi, andando a ridurre il numero dei riformati e rivedibili per infermità o malattia. La riforma Viganò influì sull’esercito dell’Italia liberale non solo contribuendo, insieme alla successiva riforma Spingardi, ad aumentare il tasso di militarizzazione, ma anche modificandone la composizione sociale: aumentò la quota borghese e urbana, producendo quindi un «rafforzamento delle gerarchie tradizionali» (p. 234). Alla legge sul reclutamento Viganò unì la proposta di una riduzione biennale della ferma, che tuttavia venne stralciata per essere adottata nel 1909, in via amministrativa, dal ministro Spingardi.
Nel periodo in cui resse il dicastero della Guerra, Viganò dovette anche resistere alle notevoli pressioni dello stato maggiore, che chiedeva grandi somme di denaro per completare la fortificazione dei confini contro una possibile aggressione francese o austriaca; somme la cui richiesta al Parlamento era giudicata da Viganò «puerilmente pretenziosa» (in Gooch, 1994, p. 176). Conseguentemente, si risolse a ridurre le pretese dello stato maggiore da 332 a 200 milioni di lire.
Dopo aver lasciato la carica di ministro, Viganò ebbe, tra gli incarichi militari, la direzione di una grande manovra svolta da quattro corpi d’armata nella primavera del 1910, in un Nord-Est in via di fortificazione, ipotizzando la possibile reazione a una dichiarazione di guerra da parte dell’Austria. L’anno seguente lasciò il servizio attivo permanente, collocato in posizione ausiliaria per raggiunti limiti di età dopo quasi cinquantun anni nell’esercito, durante i quali era stato insignito di numerose decorazioni e onorificenze. Vittorio Emanuele III gli scrisse per l’occasione definendolo «l’ultimo fra i rappresentanti di quella balda gioventù che nell’anno 1860 arruolavasi, con patriottico slancio, nelle file garibaldine» (Roma, 22 aprile 1911, Archivio storico del Senato).
Negli anni seguenti proseguì nell’attività legata al suo incarico di senatore, per esempio quale membro della commissione parlamentare di inchiesta sulle spese di guerra, nel 1920. Nello stesso anno pubblicò un libro sulla prima guerra mondiale, offrendo un’interpretazione molto critica della ritirata di Caporetto, considerata da Viganò l’inevitabile conclusione degli errori commessi nelle precedenti azioni militari, e dando un severo giudizio sull’opera del generale Luigi Cadorna. Quest’ultimo, d’altro canto, considerò il libro di Viganò «un cumulo di falsità» e a Ugo Ojetti, che nel 1921 gli chiese ragione di «questo odio del Viganò per lui», Cadorna riferì di vecchi screzi: un intervento pubblico a Venezia in cui Viganò sarebbe stato «tanto maligno, insistente, villano contro Cadorna che molti ufficiali si alzarono e se ne andarono», episodio a seguito del quale i due generali si tolsero il saluto e iniziarono a danneggiarsi vicendevolmente: Viganò facendo in modo che Cadorna non avesse l’idoneità al comando di un’armata, quest’ultimo ottenendo «con una lettera violentissima» che Viganò fosse rimosso dal posto di capo della commissione per le ricompense. Il libro sarebbe stato quindi, secondo Cadorna, una «vendetta« nei suoi confronti (cit. in U. Ojetti, I taccuini..., 1954, p. 44).
Viganò sposò Carlotta Annunziata Operti, da cui ebbe un figlio, il 20 aprile 1896, e rimase vedovo l’11 febbraio 1900. Tra il 1904 e il 1905 ebbe un intenso rapporto epistolare, e forse un’infatuazione, con la cugina Dolores Faconti, di trentotto anni più giovane, che di lì a poco sarebbe diventata moglie di Giuseppe Prezzolini. Nel 1906 sposò la professoressa Ernestina Dal Cò.
Morì a Firenze l’8 agosto 1933.
Opere. La preparazione e la condotta della nostra guerra sino al novembre del 1917, in Nuova Antologia, 1919, n. 288, pp. 92-108; La cooperazione franco-italiana durante la guerra, ibid., 1920, n. 290, pp. 105-119; La nostra guerra. Come fu preparata e come è stata condotta fino al novembre 1917: contributo alla storia generale della Grande Guerra, Firenze 1920; Ricordi degli anni 1859 e 60, Milano 1932, 1992.
Fonti e Bibl.: F. Martini, Il diario eritreo, Firenze s.d., passim; G. Chiesi - G. Norsa, Otto mesi d’Africa, Milano 1888, passim; U. Ojetti, I taccuini 1914-1943, Firenze 1954, ad indicem.
M. Mazzetti, L’esercito italiano nella triplice alleanza, Roma 1974, passim; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, I, Dall’Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, ad ind.; P. Del Negro, Esercito, Stato, società. Saggi di storia militare, Bologna 1979, passim; Stato maggiore dell’esercito, Ufficio storico, L’esercito italiano dall’Unità alla grande guerra (1861-1918), Roma 1980, ad ind.; N. Labanca, Il generale Cesare Ricotti e la politica militare italiana dal 1884 al 1887, Roma 1986, ad ind.; A. Aquarone, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, Roma 1989, ad ind.; N. Labanca, In marcia verso Adua, Torino 1993, ad ind.; G. Prezzolini, Diario per Dolores, a cura di G. Prezzolini - M.C. Chiesi, Milano 1993, ad ind.; J. Gooch, Esercito, Stato e società in Italia, 1870-1915, Milano 1994, ad ind.; A. Saccoman, Il generale Paolo Spingardi ministro della guerra (1909-1914), Roma 1995, ad ind.; M. Ruffo, L’Italia nella Triplice alleanza. I piani operativi dello SM verso l’Austria-Ungheria dal 1885 al 1915, Roma 1998, ad ind.; J. Lorenzini, Uomini e generali. L’élite militare nell’Italia liberale (1882-1915), Milano 2019, ad ind.; Archivio storico del Senato, I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, s.v., http://notes9. senato.it/web/senregno.nsf/e56bbbe8d7e9c734c125703d002f2a0c/15ed684091dfddfd4125646 f00 617401?OpenDocument.