FRATTARI, Ettore
Nacque a Ravenna il 9 sett. 1896 da Guglielmo, manovratore ferroviario, e da Paola Carlini. Diplomatosi perito agrimensore all'istituto tecnico di Ravenna, il 22 nov. 1915 venne chiamato alle armi. Frequentò l'accademia di artiglieria di Torino e il i° ag. 1916 venne inviato al fronte come sottotenente di complemento.
Il 6 febbr. 1917, durante la sua prima licenza, ottenne l'iscrizione d'ufficio, retrodatata all'anno accademico 1915-16 in quanto sotto le armi, alla scuola d'agraria dell'università di Bologna. Nel maggio del 1919 da Genova, dove era ancora in servizio col grado di tenente, il F. inviava la richiesta per sostenere i primi esami universitari che avrebbe portato a compimento l'anno successivo. Sostenne l'esame di tesi oralmente, avvalendosi dell'apposito decreto luogotenenziale per gli studenti reduci di guerra, e si laureò il 31 luglio 1920.
Rientrato a Ravenna, svolse per un certo periodo attività in qualità di tecnico presso la locale cattedra ambulante di agricoltura, per conto della quale fu, nel novembre, membro della commissione arbitrale per la stipulazione del capitolato per la colonia dei fondi rustici nel territorio di Alfonsine. Nel gennaio 1921 il F. fu assunto dall'Associazione degli agricoltori di Ravenna. Nel frattempo le simpatie nazionaliste lo avvicinavano agli ambienti sindacali fascisti organizzati e, dal marzo 1922, egli entrò nella Federazione provinciale dei sindacati nazionali diretta da un fraterno amico, V. Nardi.
L'ingresso, nel gennaio dello stesso anno, degli agrari ravennati nell'associazione sindacale fascista risultò un avvenimento fondamentale per il Frattari. Lo scioglimento della vecchia Associazione degli agricoltori e la riorganizzazione dell'intero settore sindacale portarono a una ridistribuzione degli incarichi affidata a una commissione presieduta dallo stesso Nardi. Con l'autorevole protezione di G. Frignani, che pose il veto alla candidatura di un grande possidente terriero quale era il conte G. Manzoni, il F. venne nominato direttore del Sindacato fascista degli agricoltori per il circondario di Ravenna (divenuto poi provinciale con la riorganizzazione del gennaio 1927). Nel giugno 1923 (il mese precedente si era iscritto al Partito nazionale fascista) fu eletto nella prima amministrazione fascista della provincia, restando in carica sino al 1927 e svolgendo anche, per un breve periodo, le funzioni di propresidente.
Il F. appartenne a quella generazione in gran parte emiliana di laureati in agraria, formati al credo del ruralismo tecnocratico legato al primato dell'agricoltura, che costituì il nerbo del sindacato fascista; egli fu, più che un tecnico, un abile organizzatore e la sua carriera costituisce un vero e proprio cursus honorum all'interno della burocrazia sindacale di Stato. Affrontò con perizia le più importanti questioni che si posero all'agricoltura provinciale in quegli anni, rafforzando inevitabilmente, in una realtà in cui il settore primario fungeva di gran lunga da motore dell'economia, anche la propria posizione personale.
Nel settembre 1923 fu tra i promotori del Gruppo di competenza di bonificazione agraria che indicava alla possidenza terriera, secondo il modello promosso da A. Serpieri, la via amministrativa di occupazione privatistica degli organi statali, mentre dalle colonne dei periodici locali si faceva portavoce della protesta contro l'imposta sui redditi e le prerogative tributarie di Comuni e Province, invocando una nuova struttura creditizia a disposizione degli agricoltori, la difesa dei prezzi e il sostegno alle esportazioni.
Su queste richieste pesava certamente la convinzione della necessità di "aiutare la massima nostra industria: l'agricoltura" (Santa Milizia, 28 luglio 1923) contro la paventata subordinazione al settore industriale protetto dal reticolo delle tariffe doganali e che nel Ravennate si traduceva concretamente nell'ingombrante presenza della Montecatini. Su questa stessa linea s'inserisce lo scontro esploso tra bieticultori e industriali zuccherieri i quali, accampando l'esosità dei prezzi stipulati, nell'autunno del 1924 provvidero a bloccare i pagamenti delle bietole consegnate. La questione assumeva notevole rilevanza per una consistente fetta dell'agricoltura padana, ma risultava particolarmente spinosa nel Ravennate, dove le bietole occupavano circa 10.000 ettari particolarmente adatti a questa coltivazione.
Il F. fu tra gli animatori della resistenza degli agricoltori (fu lasciata cadere una mediazione dello stesso Mussolini) sia come responsabile sul piano locale, sia come membro (faceva parte dal 1921 del comitato di presidenza della Federazione bieticultori) della commissione nazionale incaricata di seguire le trattative. Lo scontro fu aspro e giunse a soluzione solo con l'aumento della tariffa daziaria sullo zucchero che portò alla stipulazione, per il 1926, di un contratto che migliorava leggermente quello del 1923, e che rafforzava il ruolo delle organizzazioni sindacali degli agricoltori rese uniche garanti, con preferenza per i propri iscritti, dell'esecutività degli accordi. Il riconoscimento ottenuto sancì di fatto, nel Ravennate, il controllo del sindacato dei proprietari sulle altre organizzazioni rurali, con cui era aperto, fin dall'aprile 1923, il contenzioso per l'affiliazione sindacale dei piccoli conduttori e affittuari diretti, interessati anch'essi, insieme all'estesissimo numero dei compartecipanti, alla produzione bieticola. Le contestazioni mosse dal sottosegretario generale provinciale dei sindacati fascisti, R. Passeretti, provocarono infine il "prudente ma energico intervento" del prefetto (Arch. di Stato di Ravenna, Prefettura, Gabinetto, b. 38, fasc. 5, "Situazione politica della provincia", 24 giugno 1927).
La battaglia del grano (il F. fu membro della commissione provinciale per la propaganda granaria), "quota 90", i primi segni nella primavera del 1926 della grande crisi agricola internazionale e, infine, la legge sulle Corporazioni del 3 apr. 1926 rafforzavano nel frattempo enormemente il sindacato fascista. Nel settembre 1928 - dopo averne denunciato il dissesto coperto con falsi di bilancio -, il F. divenne commissario governativo (e poi presidente sino al 1932) del Consorzio agrario di Ravenna, riuscendo abilmente a risanarlo e a riorganizzarlo su base provinciale attraverso la fusione con i consorzi di Lugo, Bagnacavallo e Faenza (1933). Ciò determinò l'allontanamento dalla principale organizzazione agricola locale di quei possidenti che mal sopportavano la tutela imposta dal protezionismo e dal corporativismo statali.
Nell'ottobre 1932 il F. passò a dirigere come commissario ministeriale il sindacato degli agricoltori di Venezia, dove creò un consorzio produttori del latte e guidò la campagna contrattuale del 1933, ottenendo un generale ritorno ai capitolati d'affitto sui livelli precedenti a quelli del 1920-21. All'inizio del 1934 era, con le stesse mansioni, a Treviso, dove organizzò un consorzio di produttori della seta, e infine a Verona. Nello stesso 1935 passò a dirigere l'Ufficio di coordinamento della organizzazione sindacale degli agricoltori per le quindici province delle Tre Venezie.
A guerra d'Africa ancora in corso venne inviato in Etiopia, su incarico del sottosegretario al ministero dell'Agricoltura G. Tassinari, per svolgere una dettagliata analisi sulle possibilità organizzative dell'agricoltura locale. Il ritorno coincise con il trasferimento a Roma a capo della segreteria particolare dello stesso Tassinari.
Gli eventi internazionali precedenti la guerra mondiale determinarono l'accentuarsi del dirigismo statale nella vita economica italiana legato ai programmi dell'autarchia. In agricoltura esso sfociò nella creazione, nel giugno 1938, dei Consorzi provinciali tra i produttori dell'agricoltura, in cui vennero obbligatoriamente inquadrate tutte le organizzazioni consortili degli agricoltori suddivise per specifici settori. I consorzi erano organizzati in una Federazione nazionale (guidata dalle massime gerarchie sindacali e, in ultima istanza, dal ministro dell'Agricoltura), che tracciava le linee organizzative fondamentali concernenti piani produttivi, autorizzazioni, conferimenti, ammassi, contingentamenti e regolamentazione dei prezzi.
L'avvento del Tassinari al ministero dell'Agricoltura il 31 ott. 1939 portò, il 1° dicembre, il F. alla direzione della Federazione e, di conseguenza, all'ingresso nel consiglio di amministrazione della Banca nazionale dell'agricoltura.
Dopo il giugno 1940, in un clima di diffuso malcontento tra gli agricoltori, che non di rado sfociava nella evasione speculativa degli ammassi, la necessità di far fronte ai bisogni alimentari di un paese in guerra accentuò ulteriormente il trasferimento delle istanze organizzative dalla gestione privatistica della Confederazione nazionale fascista degli agricoltori e delle associazioni locali verso i nuovi percorsi burocratici centrali e periferici. Proprio in questo ambito il F. poté e seppe assumere un ruolo centrale, che lo portò a ricoprire, in rapida successione, mansioni e cariche organizzative di primo piano. Nel marzo 1941 venne nominato commissario ministeriale per l'acceleramento delle operazioni di ammasso obbligatorio dei cereali e per il coordinamento e il controllo delle organizzazioni sindacali ed economiche in agricoltura.
Partendo dalla priorità degli ammassi per la risoluzione del delicato problema alimentare, il F. svolse efficacemente il suo compito, avvalendosi del potere a lui conferito sulle organizzazioni sindacali ed economiche per vanificare il ruolo dei rappresentanti locali, quasi sempre agricoltori, con l'invio di circa trecento funzionari provvisoriamente trasferiti da altre province. Riottenuto l'incarico per l'annata successiva, egli, in un promemoria inviato al duce, rilevava le aumentate difficoltà legate, oltre che ai produttori, alle resistenze delle amministrazioni provinciali, propense a trattenere sul luogo la maggior quantità di risorse, all'allargarsi del commercio clandestino e al disordine delle normative sulla macinazione.
Il F. proponeva la creazione di un'unica organizzazione dedita all'ammasso di tutti i prodotti alimentari, con un unico responsabile subordinato al solo ministro dell'Agricoltura, libero di servirsi a propria discrezione delle organizzazioni di categoria e sostenuto dalla collaborazione di tutti i ministeri interessati e dal partito. Riteneva inoltre inopportuno il disegno di C. Pareschi, che stava per assumere il dicastero dell'Agricoltura, di riformare l'organizzazione del settore agricolo (disegno che sfociò, nel 1942, nella trasformazione dei Consorzi tra i produttori in enti economici dell'agricoltura che implicava un certo decentramento esecutivo affidato all'ordinamento sindacale e alla Federconsorzi), sostenendo l'inefficienza delle unioni sindacali.
Proprio nell'ottica di pianificazione in funzione dell'economia di guerra (ma anche del dopoguerra) si può leggere l'ascesa del F., il 15 genn. 1942, alla presidenza della Confederazione generale dell'agricoltura. Pur impegnato nella difficile mediazione, all'interno della stessa Confederazione, tra possidenza meridionale e imprenditoria capitalistica padana e, all'esterno, tra i diversi settori economici, il F., nella nuova campagna per l'ammasso cerealicolo del marzo 1943, creò infatti il Servizio confederale per il controllo delle discipline agricole e degli ammassi, posto agli ordini diretti del partito e fondato sul libero uso di quelle strutture burocratiche confederali e ministeriali, non ultimi i prefetti, di cui si era avvalso nelle precedenti esperienze.
Come presidente della Confederazione dell'agricoltura divenne membro di diritto del Gran Consiglio del fascismo e, come tale, partecipò alla famosa seduta del 24 luglio 1943 votando contro l'ordine del giorno Grandi.
Riassumendo il senso del discorso pronunciato in quell'occasione, nella deposizione rilasciata durante la fase istruttoria del processo di Verona il 22 dicembre, motivò la sua opposizione con "la sensazione precisa che si fosse voluto capovolgere la situazione politica, arrivando financo a una pace separata", e indurre il duce all'abbandono del potere (Cersosimo, p. 183).
Sino alla fine della guerra si ritirò a Boara Pisani, il centro padovano di origine della moglie, dove assunse la presidenza della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, rifiutando la nomina, suggerita dai Tedeschi, a ministro dell'Agricoltura della Repubblica sociale italiana. Qui iniziò le pubblicazioni di una sua rivista, Nuova economia agricola. Terminata la guerra, si rifugiò a Milano per poi tornare, alla fine del 1945, a Roma, dove venne arrestato, processato e infine prosciolto. Nel 1947 entrò come dirigente (per poi divenirne dal 1965 consulente) in una grossa industria chimica, la Bombrini Parodi-Delfino, curandone il settore antiparassitari di cui l'azienda di Colleferro divenne in pochi anni la maggiore produttrice nazionale. Dalla fine degli anni Cinquanta assunse la presidenza della sezione ortofrutticola e, dal 1967, dedicò ogni energia alla cura della sua rivista, rinata nel 1947 come Rassegna dell'agricoltura italiana.
Il F. morì a Roma il 12 luglio 1976.
Il 6 febbr. 1939 aveva sposato Lucia Aggio; dal matrimonio nacquero tre figli: Paola, Roberto e Guglielmo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Ravenna, Fondo Deputazione provinciale, 1923, bb. 1333, 1350; Prefettura, Gabinetto, b. 6; b. 13, fasc. 6; b. 23, fascc. 12, 32; b. 26; b. 31, fasc. 14; b. 32, fascc. 4, 10, 13; b. 34, fasc. 8; b. 35, fasc. 19; b. 38, fasc. 5; b. 39; b. 45, fasc. 6; Ravenna, Arch. dell'Ist. storico della Resistenza, Agrari, b. 1926, doc. 6; Agricoltori, b. 1923, doc. 30; b. 1925, docc. 126, 202; b. 1927, doc. 96; Bonifiche, b. 1923, docc. 76, 84, 154; Cattedra ambulante d'agricoltura, b. 1923, doc. 202; Consorzio agrario, b. 1923, docc. 41, 171; b. 1930, docc. 89, 90; Sindacati, b. 1923, docc. 26, 54, 66, 70, 75/a, 98/a, 124; b. 1924, doc. 85; b. 1925, docc. 14, 46/a, 49, 91; b. 1926, docc. 4, 6, 9, 106; b. 1927, docc. 6, 60, 68, 76; b. 1928, docc. 43/a, 46, 53, 73, 110, 111, 151; b. 1929, docc. 5, 14, 204; b. 1930, doc. 13; b. 1932, doc. 28; Bologna, Arch. univ., Regia scuola superiore di agraria, fasc. E. F.; Roma, Arch. centr. dello Stato, Segr. partic. del Duce, cart. ord. 1922-1943, b. 783, fasc. 500003/i; b. 1254, fasc. 509800; b. 2274, fasc. 545834; b. 2434, fasc. 552802; b. 2439, fasc. 552802; cart. ris., b. 73, fasc. E. F.; Presid. del Cons. dei Min., 1940-41, fasc. 14, subfasc. 3, n. 8842; fasc. 15, subfasc. 2, n. 2777: E. F.; 1941-43, subfascc. 3.3, 3.6, nn. 3200, 3233; Enti economici dell'agricoltura, 1937-57, bb. 1, 2, 3, 9, 16, 25, 30; Partito naz. fascista, fasc. pers. di senatori e consiglieri nazionali, b. 12, fasc. E. F.
Impossibile, data la frequenza delle citazioni, l'indicazione specifica per le fonti periodiche, di cui resta comunque fondamentale almeno il rinvio per annate: Boll. dell'Associaz. agraria ravennate, 1922; Santa Milizia (Ravenna), 1923-32, 1942; Conf. gen. dell'agr. ital. Bollettino settimanale, 1932-42; si veda inoltre: Consorzio agrario cooperativo di Ravenna, Bilancio dell'esercizio 1928, Ravenna 1929; Id., Bilancio dell'esercizio 1929, ibid. 1930; Conf. gen. dell'agr. italiana, Annuario 1941, Roma 1942, p. 406. Utili le voci dell'Enc. agraria italiana (I, Roma 1954): Confederazione (A. Zappi Recordati, pp. 950-955) e Consorzio tra i produttori (D. Guzzini, pp. 1011-1022). Altre notizie: B. Mussolini, Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota, Milano 1944, p. 81; V. Cersosimo, Dall'istruttoria alla fucilazione. Storia del processo di Verona, Milano 1961, pp. 182 s.; F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, pp. 447, 627; A. De Stefani - E. Frattari, Alberto De Stefani e E. F. sulla storica seduta del Gran Consiglio, in Il Messaggero, 14 marzo 1967; G. Bianchi, Perché e come cadde il fascismo. 25 luglio, crollo di un regime, Milano 1970, pp. 462, 465, 476, 531, 538, 546, 696; G. Bocca, La repubblica di Mussolini, Roma-Bari 1977, p. 36; T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, a cura di R. De Felice, Milano 1983, pp. 378, 418, 470; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF. Gran Consiglio, Direttorio nazionale, federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma 1986, pp. 54, 56, 210, 323; P.P. D'Attorre - P.L. Errani - P. Morigi, La città del silenzio. Ravenna tra democrazia e fascismo, Milano 1988, pp. 125 s., 179, 218, 295.