DE RUGGIERO, Ettore
Nacque a Napoli il 20 ag. 1839 da Celestino ed Emilia Nudi. Il padre, ricco proprietario, non incolto, assicurò al giovane una buona educazione, che fu, secondo le consuetudini del tempo, prima religiosa e poi umanistica. Alla scuola degli eredi di B. Puoti il D. educò il gusto letterario e affinò la sua sensibilità estetica con la lettura dei nostri trecentisti, tra i quali predilesse il Petrarca.
Come il poeta di Laura, incline ad una religiosità pensosa e drammatica, affidò a versi mai dati alle stampe le sue ansie mistiche e, ancora adolescente, nel 1856, scrisse una Vita di messer Francesco Petrarca. Compì studi di eloquenza e si cimentò in dispute su temi di carattere giudiziario e storico (Accusa per un omicidio; Giovanni da Procida invita Pietro d'Aragona alla conquista del Regno delle due Sicilie). Lesse e meditò i filosofi tedeschi, appassionandosi soprattutto a J. G. Herder e agli studi di filosofia della storia; quindi, attraverso "Nozioni e riflessioni sulla storia universale di Cesare Cantù", giunse a sue teorie personali sul "Modo di studiare la storia d'Italia", che intendeva dividere in due parti, l'una riguardante la civiltà, l'altra l'eloquenza. Ma particolarmente interessanti per la comprensione della temperie culturale del D. sono due inediti: Monografia sul disboscamento (1859) e Dell'economia silvana e della legge forestale nelle provincie meridionali d'Italia (1861). Sono, infatti, due saggi di storia contemporanea con i quali il D. affrontava questioni di agronomia e di legislazione agraria, inserendosi nel dibattito sul latifondo nel Mezzogiorno, vivo negli anni che segnarono il trapasso dall'amministrazione borbonica a quella sabauda, rivelando una cultura socio-economica degna della migliore scuola giuridica napoletana (M. Delfico, M. Tenore, A. Scialoja, A. Magliano). Tale componente sociologica rimase costante negli studi del D. anche quando si volse a ricerche romanistiche (cfr. le voci Agrariae leges e Ager publicus, rispettivamente in Enciclopedia giuridica ital., Napoli 1883-84, e Diz. epigrafico di antichità romane, Roma 1886).
Nel 1861 a Napoli, nell'università appena riformata da F. De Sanctis, conseguì la laurea in lettere. Nel medesimo anno, grazie ad una borsa di studio ottenuta per la protezione del De Sanctis stesso, si recò in Germania, per il perfezionamento in filologia classica all'università di Berlino. Nella città tedesca rimase fino al 1866, specializzandosi in filologia alla scuola dei migliori intelletti che operavano allora nell'ambito delle discipline classiche: ebbero grande influenza sul D. il filologo A. Boeckh, l'archeologo E. Gerhard, ma soprattutto lo storico Th. Mommsen, che a Berlino aveva fondato e dirigeva in quegli anni un seminario di storia romana, di epigrafia, di diritto pubblico romano e di antichità. L'insegnamento storico del Mommsen, basato sulla lettura critica dei testi giuridici, epigrafici e numismatici, trovava un sensibile allievo nel D., che analoga attenzione verso i dati concreti dell'esperienza reale aveva mostrato nelle precedenti indagini di storia contemporanea. Ma era presente nella temperie culturale dello studioso napoletano una forte componente storicista che, negli studi di diritto romano, lo rese alieno dal rigore sistematico del suo maestro: tale atteggiamento critico, all'inizio quasi inconsapevole, divenne, negli anni maturi, esplicito.
Significativo a questo proposito è lo studio inedito sull'Adlectio discusso nel seminario dell'anno accademico 1864-65.
Il manoscritto, che reca in margine postille autografe dello stesso Mommsen, ci documenta un contrasto dialettico verificatosi tra maestro e allievo a proposito di una questione di diritto romano che è tuttora dibattuta, quella della doppia cittadinanza.
Il D., ventiseienne, affermava non necessario l'intervento dello Stato romano nell'adlectio di un cittadino romano in cittadinanza di uno Stato federato, lasciando aperta, anche se inconsapevolmente (allora non erano noti testi come gli editti cirenei di Augusto e la CostitutioAntoniniana del 212 d.C., Papiro Giessen 401), la possibilità d'una doppia cittadinanza. La soluzione proposta dal D., e ribadita in anni più maturi (cfr. La patria nel diritto pubblico romano, Roma 1921, p. 117), veniva respinta in quella sede dal Mommsen perché risultava inconciliabile con il suo rigore sistematico, ma ha avuto in seguito fortuna a partire dallo stesso Mommsen che, in Staatsrecht (III, 1, pp. 48 s.), si avvicinò alla posizione del discepolo.
Lo storicismo del D. emerge chiaramente dai suoi primi lavori a stampa: La dittatura a Roma nel periodo di transizione dalla monarchia alla repubblica, Napoli 1867; Ildiritto di cittadinanza romana, Napoli 1868; e la monografia da qui desunta La Gens in Roma avanti la formazione del Comune, ibid. 1872; Studi sul diritto pubblico romano da Niebuhr a Mommsen, Firenze 1875. In particolare, nella sua prima opera, scritta a Berlino fin dal 1863, egli mira a cogliere "la continuità logica e progressiva" di una magistratura come la dittatura, sulla cui origine le fonti tacciono e prospetta, sulla scia di B.G. Niebuhr, l'esistenza di un'età di transizione in cui il potere sia stato retto da un dictator, in origine un re con poteri limitati nel tempo.
Tale ipotesi, sostenuta contro il Mommsen, che invece pone l'inizio della dittatura contemporaneamente al sorgere della Repubblica, ha avuto fortuna presso gli storici moderni (cfr. F. De Martino, Storia della costituzione romana, Napoli 1972, I, p. 229). Il D. che anche in altri luoghi (cfr. Studi sul diritto pubblico romano, cit., p. 24) ribadiva la sua convinzione che "il Comune di Roma non sorge come Minerva dal capo di Giove tutto organizzato e fornito delle sue istituzioni fondamentali, ma gradualmente si forma attraverso l'opera di moltissime generazioni", più tardi, nel 1910, accolse nel suo Dizionario epigrafico l'articolo "Dictator" di B. Bruno, dove si afferma che la relativa dottrina del Mommsen ha un carattere troppo sistematico.Rientrato a Napoli, dopo la specializzazione in filologia, il D. ottenne da L. Settembrini, intermediario l'amico G. Minervini, l'incarico di antichità greche e romane, nonché di archeologia, all'università di Napoli per l'anno accademico 1868-69. Ed a Napoli esordiva con la brillante prolusione L'antichità classica e la cultura moderna, dove è chiaramente espresso, attraverso una breve storia della filologia, che è uno dei primi contributi in una materia allora pressocché inesplorata, l'indirizzo che egli conferì al suo magistero. Il D. perseguiva l'ideale altissimo di una filologia che studiasse il mondo antico senza perdere di vista la realtà contemporanea, politica e sociale e ne indicava la piena attuazione nella scuola filologica tedesca soprattutto negli storici Niebuhr, Savigny e Mommsen. Allievo del Mommsen, il D. era uno dei primi rappresentanti del "germanesimo culturale" che caratterizzò largamente gli studi classici della nuova Italia. Merita di essere chiarito alla luce della breve storia della filologia dettata dal D. a Napoli il senso del suo "germanesimo culturale".
Il neoclassicismo tedesco, dai cui fermenti era scaturita la filologia del secolo XIX, era per il D. espressione diretta dell'umanesimo europeo, che, già dei secoli XV e XVI, rinnovato recentemente sotto la spinta di fatti culturali (gli scavi di Pompei e di Ercolano) e politici (la guerra austro-prussiana), affratellava la cultura italiana a quella tedesca in un vincolo di amichevole solidarietà e di collaborazione internazionale. Così il Mommsen, ideatore del Corpus inscriptionum Latinarum (CIL), riconosceva il suo unico maestro di epigrafia in un italiano, B. Borghesi; il D. non solo trapiantava in Italia il metodo della ricerca epigrafica arricchito dalle esperienze della scuola storica tedesca, ma soprattutto faceva propria l'esigenza di passare dall'iniziativa personale di studiosi come il Borghesi alla creazione di grandi scuole universitarie e di imprese unitario-collettive.
D'altronde a Napoli, negli anni in cui il D. intraprese la carriera accademica, viveva la sua stagione migliore, esempio vivo di collaborazione internazionale, la scuola archeologica di Pompei, fondata e diretta da G. Fiorelli. Il D., come professore incaricato di archeologia, collaborò alla sua direzione e, preso dal fervido clima culturale che la contraddistinse in quegli anni, coltivò l'archeologia come suo interesse prevalente. Non fu archeologo di campo ma mise in luce la sua preparazione di storia dell'arte, mitologia, museografia e numismatica, acquisita alla scuola tedesca, in un discreto numero di contributi scientifici, dettati nel 1869 nelle Conferenze archeologiche nel Museo nazionale di Napoli o affidati alla Rivista critica di scienze, lettere ed arti, fondata e diretta a Napoli da F. Trinchera nel 1871. Legato al misticismo estetico (Winckelmann, Fr. Schlegel), egli privilegiava l'arte classica greca e, romanticamente, illustrava monumenti provenienti dall'area archeologica campana (cfr. Conferenze archeologiche, Roma 1873). Nel 1872 apparve a Napoli La numismatica e le discipline classiche: studio critico (dove, dopo una messa a punto dei più importanti contributi in materia, difendeva vigorosamente il metodo critico della scuola filologica tedesca contro il collezionismo antiquario imperante ancora tra certi eruditi locali ed esprimeva l'esigenza didattica di professare la numismatica come disciplina autonoma). Nello stesso anno pubblicava, sempre a Napoli, anche un Sommario delle lezioni di archeologia, ispirato al Handbuch der Archäologie der Kunst di K. O. Mueller (Breslau 1830), con integrazioni tratte dalle lezioni del Gerhard, e lo presentava come titolo al concorso per la cattedra di archeologia che si tenne in Napoli nel 1872. Giudice A. Salinas, il concorso fu vinto da G. De Petra.
In quello stesso 1872 il D. otteneva da R. Bonghi l'incarico di antichità greche e romane presso l'università di Roma e, nel 1874, in seguito a concorso, divenne professore ordinario della stessa disciplina. Sposato con Eloisa Lavoignat Agostini, si trasferiva nella capitale, dove gli fu conferito anche l'incarico di epigrafia nella Scuola archeologica. Così la sua Schulung mommseniana otteneva un altissimo riconoscimento.
Proprio in quegli anni, infatti, nel desiderio di conferire agli studi classici italiani un'impronta europea, furono chiamati ad insegnare nelle università italiane professori tedeschi e si diede preferenza ai nostri che avessero studiato in Germania. Affiancato dal 1879 da J. Beloch per l'insegnamento di storia romana e dal 1890 da E. Loewy per quello di archeologia, il D. coltivò in modo preminente gli studi antiquari ed epigrafici.
Di sentimenti cattolico-liberali, fu legato a R. Bonghi da viva amicizia e non mancò di incoraggiarne importanti iniziative culturali, come la fondazione della rivista La Cultura nel 1882; e nel 1896, dopo la morte del Bonghi (1895), gli succedeva nella direzione della rivista, conferendole un carattere esclusivamente bibliografico. E intanto, nel 1874, nel clima di propaganda politica che aleggiava allora intorno alle antichità, all'indomani dell'annessione di Roma capitale, di cui l'antica Roma rappresentava la naturale premessa e legittimazione storica, il D., in risposta ad una lettera del Bonghi (Sugli scavi ed oggetti d'arte, in Nuova Antologia giugno 1874, p. 322), interveniva con una serie di articoli apparsi prima su L'Opinione (poi raccolti nell'opuscolo Lo Stato ed i monumenti dell'antichità in Italia, Roma 1874) nel dibattito su di un problema che nell'Italia postunitaria si poneva in forma particolarmente grave, l'organizzazione e l'amministrazione dei musei. Convinto dell'alto valore educativo, morale e civile del museo, il D. auspicava l'intervento dello Stato per mettere fine al dilagante disordine in cui versavano i beni archeologici. E nello stesso anno 1874 il Bonghi, ministro della Pubblica Istruzione, gli affidava la direzione del Museo Kircheriano, che egli riorganizzò su basi scientifiche, iniziando con criteri filologici la pubblicazione del Catalogo, che vide la luce nel 1878; affidatagli anche la direzione del Museo nazionale delle Terme, ne operò un radicale riordinamento, che fu determinante per la sua attuale fisionomia. Collaborò alla Nuova Antologia, dove, dal febbraio 1874 all'ottobre 1875, apparvero, come altrettante monografle, i quattro capitoli del suo libro Studi sul diritto pubblico romano da Niebuhr a Mommsen, cit.
Frutto maturo di un filone di ricerche già esplorato a Napoli (cfr. recensione a F. Schuppfer, Storia del diritto pubblico romano), in Riv. critica di scienze, lettere ed arti, I [1871] pp. 11-16), l'opera presenta interessanti spunti per la valutazione storiografica del sec. XIX, segnatamente per Niebuhr e Monunsen, ed assume un valore programmatico nella produzione scientifica del D. stesso. Essa, infatti, inaugura una serie di monografie su singoli argomenti di diritto pubblico romano che il D. andò svolgendo negli anni successivi con un metodo, non privo di originalità, alla cui definizione perviene in quest'opera stessa. Non ostante il tono agiografico con cui esalta la figura e l'opera del Mommsen, sostanzialmente esatta è la valutazione che egli dà delle più importanti opere del maestro, la Römische Geschichte e lo Staatsrecht. In questo stesso lavoro, sulla linea che sarà propria della scuola giuridica italiana (V. Scialoja e V. Arangio Ruiz), egli auspica un più intimo congiungimento tra cultura classica e moderna, un rapporto più immediato con l'esperienza reale per meglio comprendere i rapporti tra Stato e diritto, non sempre riconducibili a regole dogmatiche. Tuttora valido, l'insegnamento giuridico del D. (cfr. Ildiritto di cittadinanza romana, Roma 1877; L'arbitrato pubblico in relazione con il privato presso i Romani, ibid. 1893; Le colonie dei Romani, Spoleto 1897) non fu, tuttavia, raccolto dalla sua scuola. Dopo il D., infatti, gli studi giuridici andarono organizzandosi in maniera autonoma rispetto a quelli storico-antiquari, con grave danno per l'intendimento della storia antica stessa. Sotto questo aspetto erede del D., più che G. Cardinali che gli successe sulla cattedra dell'ateneo romano nel 1919, può considerarsi il figlio Roberto, nato a Roma nel 1875, che a Napoli, dal 1920 al 1925, alla facoltà di giurisprudenza, insegnò diritto romano, mostrando larga cultura filologica e storica.
Va menzionata l'opera di divulgazione della moderna storiografia svolta dal D. con le traduzioni di opere significative, come la Storia di Roma e di Grecia di G.F. Hertzberg, apparsa a Napoli nel 1884, e Le provincie romane da Cesare a Diocleziano del Mommsen, apparsa a Roma tra il 1887 e il 1890, più volte edita fino ai nostri giorni.
Nel 1886 il D. dava inizio al Dizionario epigrafico di antichità romane, un'opera enciclopedica, basata sullo studio sistematico delle fonti epigrafiche, numismatiche e papirologiche, ispirata a due iniziative della cultura tedesca, la Real Encyklopedie (Stuttgart 1837) ed il CIL. I presupposti positivistici della ricerca epigrafica si sposavano felicemente con il largo senso della storia e del diritto, proprio del D., evitando il filologismo e l'ipercriticismo in cui erano caduti altri antichisti di scuola tedesca. Pur tra gravi difficoltà di ordine economico, il D. porto avanti l'opera fino alla lettera I (oggi essa è ferma alla lettera L), avvalendosi della collaborazione di studiosi italiani e stranieri. Alcune voci affidò agli esponenti del materialismo storico E. Ciccotti e G. Ferrero, ai quali, come a C. Barbagallo, lo avvicinavano gli interessi sociologici della sua ricerca.
Non immune da suggestioni nazionalistiche, nel clima patriottico delle celebrazioni del primo cinquantennio dell'Unità d'Italia, concepì il Foro romano (Roma-Arpino 1913), una guida erudita alla piazza di Roma antica, ricca di curiosità mitologiche e storiche.
Allo scoppio della prima guerra mondiale condivise l'antigermanesimo di C. Barbagallo e, nel 1917, aderì alla Nuova rivista storica, impegnata nella difesa della italianità della nostra cultura. Su questa rivista, nel 1918, il D. pubblicava il breve scritto di carattere antiquario Lo Stato e la città capitale nel mondo romano, di chiara ispirazione francofila. Problemi di amministrazione edilizia nel mondo romano vengono affrontati nell'ultima opera, Lo Stato e le opere pubbliche in Roma antica (Roma 1925), testimonianza della sua ininterrotta operosità, nonostante il continuo aggravarsi dello stato di salute della vista che ormai rasentava la cecità totale.
Il D. oramai cieco, assistito dalla seconda moglie Antonia Bianchi, si spense a Roma il 7 ag. 1926.
Gli inediti del D. sopra citati si trovano presso l'istituto di storia romana dell'università di Roma, non ancora catalogati. Essi sono stati in parte divulgati da S. Mazzarino in vari luoghi (cfr. soprattutto Storia e diritto nello studio delle società classiche, in La storia e il diritto nel quadro delle scienze storiche, Firenze 1966, pp. 41-55, dove è pubblicato e discusso il lavoro sull'Adlectio e sono elencati i titoli dei più significativi studi eseguiti dal D. a Berlino; Antico, tardo antico ed era costantiniana, Città di Castello 1974, pp. 22-31). Testimonianza della ricchezza interiore, che fu dell'uomo come del filologo, sono le scritture in versi, anch'esse inedite, del D. che la poesia coltivò intensamente, non solo come riflesso di giovanili suggestioni letterarie (cfr. un quaderno con 31 sonetti, senza titoli; un altro quaderno con 61 sonetti, con titoli: Sopra Napoleone, 1856; Sopra Giovanni Battista, La conversione di s. Paolo, Inno sacro per l'Addolorata) ma, come interesse "stravagante", anche in anni maturi (cfr. Tragedia Stefania ambientata nell'anno 1002, scritta nel 1888; Boezio, senza data).
Bibl.: Una bibliografia completa delle opere del D. è in Nuova Riv. stor., X (1926), p. 581. Sul D. mancano finora trattazioni monografiche. Si ricordano i necrol. ibid., p. 580, in Rend. di arch. let. e belle arti, XL (1926), p. 27, e in Riv. di filol. e istruzione classica, LV (1927), pp. 124-127. Numerose le recensioni al Diz. epigrafico: J. Beloch, in La Cultura, V (1886), p. 324; A. L. Frotingham, in The American Journal of archaeology, II (1886), pp. 351 s.; cfr. M. Mowat, in Bull. epigraphique, VI (1886); E. Pais, in Riv. di filol. e istruzione classica, XV (1887), p. 84, ed infine la più ricca di spunti critici e biogr. di C. Barbagallo, Un'impresa ital. nel campo della storiografia, in Nuova Riv. stor., I (1917), pp. 110-115. Brevi cenni al D. sono in: B. Croce, Storia della storiografia nel sec. XIX, Bari 1921, II, p. 130; L. Russo, Storia dell'Università di Napoli, Napoli 1924, p. 689; Id., F. De Sanctis e la cultura napoletana, Napoli 1983, p. 141; A. Sogliano, La scuola archeol. di Pompei, Napoli 1941, pp. 17, 21; A. Momigliano, Gli studi di storia greca e romana dal 1895 al 1939, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, I, Napoli 1950, pp. 100, 107 n. 5; R. Trifone, L'Università degli studi di Napoli, Napoli 1954, p. 137; P. Treves, L'idea di Roma e la cultura italiana nel sec. XIX, Milano-Napoli 1962, p. 85; Id., Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, Milano-Roma 1962, p. 1234 n. 2; A. Giuliano, in Rinascita, 18 maggio 1963, p. 29. Discussioni più estese sono in S. Mazzarino, oltre che nei luoghi sopra citati, in Germanesimo culturale negli studi romani dell'800 italiano, in Annali dell'Università di Padova, 1972-73, pp. I-II; si confronti, infine, M. Elefante, E. D., in La cultura classica a Napoli nell'800, a cura di M. Gigante, Napoli 1987, pp. 727-754.