COZZANI, Ettore
Nacque a La Spezia il 3 genn. 1884 da Leonardo e Valdemira Ricco.
Compì gli studi nella città natale e poi a Pisa, dove frequentò i corsi universitari. Ebbe maestri V. Cian, C. Formichi e Pascoli. Laureatosi in lettere nel 1907, insegnò per dieci anni nella scuola normale di La Spezia. La formazione del C. poggiò particolarmente su quella tradizione culturale enfatizzata nell'istruzione scolastica dell'epoca. Costante, nell'oratore come nello scrittore, fu una vena retorica rigurgitante vitalismo ed esaltazione, eccessiva e narcisistica. Quella vena retorica trovava esca, sul piano letterario, nella produzione poetica di Carducci, D'Annunzio e Pascoli e in una concezione estetica fondata su forme diverse di privilegio superomistico; e, sul piano ideologico-politico, si alimentava del nazionalismo emergente nel panorama storico-culturale agli albori del Nocevento. Certo, quando il C. bussò alle porte di La Voce per pubblicarvi i suoi scritti, Prezzolini ebbe l'impressione di essere venuto a contatto con un uomo dabbene, ma gonfio di una retorica fastidiosa e così sovrabbondante da risultare inattuale: quella di cui lo scrittore ligure aveva già dato prova, e neppure tra le più evidenti, in Per un eroe (La Spezia 1909).
Respinto dall'ambiente vociano, il C. fondò, nel 1911 a La Spezia, L'Eroica, una rassegna di arte e di letteratura assai pretenziosa anche nella veste editoriale.
Più che una linea estetico-letteraria definita, il periodico mensile proponeva una serie di ricognizioni, prevalentemente documentarie, all'interno dell'arte contemporanea ed ospitava prose e poesie di scrittori come Pezzani, Operti, Cinelli. Modello da ricalcare era quello di Il Convito; principio ispiratore era una sorta di misticismo estetico, sollecitato ora dal parossismo nazionalistico aggregatosi intorno alla guerra libica, che investiva il poeta di un naturale primato intellettuale e gli attribuiva una missione automaticamente sottratta ad ogni forma di controllo sociale. Il C. guardava soprattutto all'esempio, non solo letterario, di D'Annunzio; eclettico per virtù di genio, si candidava ad essere poeta, narratore ed oratore vibrante, a scrivere indifferentemente di arte e di letteratura, indistinte sotto il segno di una romantica ispirazione. Generica ed impressionistica doveva così risultare la nota critica al Decamerone di Boccaccio, curato nel 1913 per le edizioni Formiggini di Genova.
Il clima della prima guerra mondiale trovò il C. su posizioni di esaltato interventismo mentre veniva precisando scelte ideologiche in senso decisamente reazionario. Nel 1917 egli trasferì la sede di L'Eroica a Milano, vi organizzò una scuola di poesia e costituì, nel nome della rivista da lui diretta, una casa editrice. Tra le prime pubblicazioni, Orazione ai giovani, dello stesso anno, recava la firma del direttore della rassegna e condensava, fino al delirio, la retorica dell'attivismo bellico. Dopo avere giustificato, con il motivo patetico dell'impegno letterario gravoso e debilitante, la sua impossibilità di battersi al fronte, l'autore suonava la grancassa di una guerra sacra e nobilitante, da affrontare con gioia e spirito di sacrificio. La orazione era tutto un pullulare di vergini italiche che invitavano all'olocausto, di soldati feriti, senza braccia e gambe, che non indietreggiavano, ma gridavano un eroico "avanti".
Quell'orazione era la carta statutaria della Giovane Italia, un'organizzazione che richiamava i giovani "ai più alti doveri civili e morali". Il C. si impegnò, per un quinquennio, in un'opera di proselitismo che, nel nome dell'associazione, propagandava un patriottismo sfrenato, impregnato di un mazzinianismo di destra, e che finì per saldarsi con le posizioni dei gruppi politicamente più retrivi, proliferati all'indomani della guerra e della crisi ideologica e sociale che le corrispose. Una serie di articoli cozzaniani, apparsi su La Sera e su Il Corriere mercantile e raccolti poi in Canto di maggio (Milano 1921), vedevano infatti con molta simpatia la "mano vendicatrice del fascista" e contenevano una manifestazione di viscerale antisocialismo ed una consacrazione della inevitabilità delle discriminazioni in classi, con la borghesia definita "cervello, nervi e cuore della civiltà". La stessa impronta reazionaria caratterizzava le prove letterarie del C. di quegli stessi anni. I Poemetti notturni (ibid. 1920) racchiudevano, sin nel titolo, un leit-motiv della letteratura italiana contemporanea e andavano traducendolo, se possibile, in forme ancor più logore e scontate. L'ispirazione si fingeva dettata da una bella donna, che il poeta ospitava ignuda nella sua stanzetta e rispettava, rimboccandole le coltri, ed essendone spinto ad un impegno indefesso. Quell'ispirazione, per altro, suggeriva unicamente una metrica consunta e sforzata, qualche immagine di conio dantesco ed un maledettismo e un esotismo di maniera, con il protagonista che rinunciava al paradiso per una donna, e con i due amanti vegliati, ai piedi del letto, da una tigre superba. Il C. era, del resto, particolarmente attento alle presunte aspettative del pubblico dei lettori. Ai giovanetti lo scrittore ligure si rivolgeva con La siepe di smeraldo, pubblicato nel 1920 dalla Bemporad di Firenze, presso la quale egli stava curando l'edizione delle Vite del Vasari, e con Le sette lampade accese (Milano 1921).Nei due libri vigeva particolarmente un pascolismo deteriore ed un crepuscolarismo di maniera con tutti i suoi clichés fedelmente riprodotti ed un finale richiamo alla nobiltà del lavoro. Agli adolescenti il C. dedicava, invece, Il regno perduto (ibid. 1927), la storia dell'iniziazione di un ragazzo che, estrinsecando il suo io volitivo, si volgeva dal particolare della Liguria alle sorti universali dell'Italia, chiudendo con la speranza che "essa, l'Italia, mi udisse, mi capisse, mi guardasse con affetto". Il volume, destinato all'adozione nelle scuole del Regno, ottenne il premio Fondazione Gautieri. Ma anche il pubblico adulto era sollecitato, dal gestore dell'Eroica, con la ripresa delle mitologie letterarie più in uso in quegli anni. Le strade nascoste del 1921, I racconti delle Cinque Terre del 1930e Isabella e altre creature del 1933, sempre pubblicati dalla casa editrice milanese, erano abilmente confezionati per questo scopo. Il C. rispolverava e cuciva insieme alcuni motivi di successo: una certa sensualità erotica, che lasciava spumeggiare veli aderenti a corpi femminili, e un'insistenza morbosa e feticistica su oggetti di vestiario e su patetici rapporti d'amore, con lei, magari epilettica, a suggere "liquore denso" dalla bocca del l'amante. Non mancavano nemmeno le agnizioni miracolose, i rimorsi tormentosi, le scene lacrimevoli di funerali, con padri piangenti su figli morti e con il marito tradito che scopriva nella bambina salvata dall'annegamento la figlia della moglie e del suo amante. Nei racconti l'uomo, e il narratore alle sue spalle, era l'eroe puro e positivo; la donna, invece, veniva sdoppiata nell'immagine demoniaca della seduttrice voluttuosa e in quella, consolatrice, della madre. Erano gli ingredienti del romanzo d'appendice che il C. riproduceva banalizzando ulteriormente e riproponendo in chiave di fruibilità di massa tematiche e stilemi dei suoi maestri riconosciuti. Quando era inevitabile il riferimento diretto alla situazione storica del tempo, allora gli scioperi del 1920venivano banditi quali enormi mostruosità e si plaudeva alla servetta, che rinunciava al suo amore pur di non infrangere, sposando il signorino, la logica dei rapporti sociali vigenti. Il linguaggio inclinava al manierismo, sebbene di registro minore rispetto a quello dannunziano: una prova evidente era la trascrizione turgida delle Leggende della Lunigiana (Milano 1931).
Con Il Poema del mare e con Un uomo il C. tentò la realizzazione del suo massimo disegno letterario. Il libro di poesie (che, presso L'Eroica, ebbe molte edizioni, la prima nel 1928, l'ultima nel 1961), organizzato in sestine di endecasillabi, voleva essere l'epopea delle civiltà marine. I canti furono in definitiva una mescolanza di luoghi comuni: forti marinai e madri eroiche, Colombo genio italico, vele al vento e bianche criniere di onde, poeti come gabbiani, scafi muggenti, prodezze in battaglie navali: il tutto in una forma che pagava vigorosità e ricercatezza a prezzo di slittamenti nel ridicolo. Né Un uomo (Milano 1934;ma medesima fu la sorte di Ceriù, ibid. 1938)riusciva ad evitare la palude degli stereotipi della più banale narrativa. La storia del protagonista, "con passioni, tormenti, speranze d'uomo d'azione", era quella dell'onesto lavoratore, premiato per il suo spirito di sacrificio dal matrimonio con Barbara, giunta in tempo per fare le veci della madre di lui morta: "Sarò io la tua mamma, vuoi?".
I miti del fascismo erano tutti attentamente considerati e riproposti: il C., che nel 1930 aveva ottenuto la cattedra di italiano e di italianità al Politecnico di Milano e, nel 1933, la stessa cattedra presso l'università per stranieri di Perugia, aveva da tempo iniziato un'opera biografica tesa a mettere in luce le vicende umane più adatte ad esemplare l'ideologia del regime. La collezione "Vite di artisti, di pionieri e di eroi", per i tipi dell'Eroica, ebbe appunto tale significato. Anche la rivista diretta dal C. fin dal 1911 rispose alla stessa funzione. In connivenza con il fascismo, essa limitò arte e letteratura in uno spazio privilegiato di separatezza. Sulle sue pagine protagonisti assoluti erano Carducci, D'Annunzio e Pascoli; fungeva da comprimario qualche poeta-soldato. Di altre realtà della letteratura del periodo nessun cenno, meno che mai nomi stranieri: l'unico citato era "Nietzscke", con una grafia che sembrava volerne evidenziare l'origine ariana. La stessa autarchia culturale - che in un'opera realizzata tra il 1937 e il 1955 impaginava la poesia di Pascoli secondo i criteri della romanità e della italianità - improntava le scelte artistiche del C. e rivalutava la magniloquenza dell'arte di regime. Dunque una piena collimanza ideologica che si espresse anche apertamente: quando fu il caso, il retore spezzino non esitò a fornire il suo diretto sostegno, dedicando alcuni numeri della rivista a problematiche sociali e politiche. Così il numero di L'Eroica del maggio 1928 fu consacrato al pane in arte e letteratura, nell'intento di favorire gli indirizzi di politica economica dei fascismo; e il numero di maggio-luglio del 1940 fu votato alla guerra e rispolverò un furente nazionalismo mai del tutto sopito. Rigurgitavano frasi come "in Mussolini si è incarnato un destino non solo Italiano e europeo, ma umano" e censure ad una "dolciastra fraternità", in nome di una guerra da combattere con fede e cieca obbedienza. A ragione, un anno dopo (novembre-dicembre 1941), facendo il bilancio dei trent'anni della sua attività pubblicistica, il C. poteva concludere che L'Eroica aveva contribuito "a la ascesa civile, sociale e politica dell'Italia" e che mai aveva "tradito la Causa", la causa del fascismo.
All'indomani della guerra lo scrittore ligure continuò a produrre, ma ormai nella condizione di un sopravvissuto. Scrisse qualche saggio criticamente approssimativo: Leopardi (Milano 1944), Foscolo il poeta civile dei Sepolcri (ibid. 1950). Confezionò un libro per l'infanzia, Quattro ragazzi e un cane (ibid. 1953), e un volume di poesie, Motivi per un poema d'amore (ibid. 1958), ristampò alcune opere giovanili, mai recedendo da una posizione estetico-ideologica battuta dalla storia. Più intensa fu invece la sua attività di oratore. Vero e proprio rapsodo, si spostò di frequente da Milano, dove risiedeva, per tenere conferenze un po' dovunque e su tematiche le più svariate. Michelangelo e Dante furono i suoi cavalli di battaglia: sostenne, raccogliendo poi le sue tesi in Chi è Beatrice? (ibid. 1968), che Beatrice fosse la Madonna. Sempre le prolusioni erano caratterizzate dal gusto impressionistico e dall'attenzione alle mode culturali, che avevano innervato tutta la sua opera. Motivato dalle coeve avventure spaziali, l'argomento dell'ultima conferenza, tenuta all'Angelicum, di Milano il 14 giugno 1971, fu "Preannuncio del volo astrale nella poesia italiana".
Otto giorni dopo il C. si spense nel capoluogo lombardo, in casa di amici.
Fonti e Bibl.: T. Rovito, Letterati e giornalisti ital. contemp., Napoli 1922, p. 116; G. Casati, Diz. degli scrittori d'Italia, II, Milano s. d., p. 211; C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929, pp. 87, 413, 453; V. Boscarino, Gli scrittori de "L'Eroica" Perugia 1934; G. Raya, Il romanzo, Milano 1950, pp. 413 ss.; G. Prezzolini, Il tempo della "Voce", Firenze 1960, pp. 209, 211 ss.; A. Galletti, Il Novecento, Milano 1967, pp. 519 ss.; A. Corsetti, Ricordo di E. C., in Liguria, luglio-agosto 1971, p. 35.