CONTI, Ettore
Nacque a Milano il 24 apr. 1871 da Carlo, fabbricante e negoziante di mobili e tappezziere, e da Giuseppina Palazzoli. Completati gli studi liceali, durante i quali compì nel 1898 un anno di volontariato nel reggimento Nizza Cavalleria, si iscrisse all'istituto tecnico superiore di Milano conseguendovi nel 1894 la laurea in ingegneria civile. Dietro insistenze del direttore dell'istituto F. Brioschi fu per breve tempo assistente di A. Sayno, attività di cui rimase insoddisfatto. Importanza decisiva ebbe invece per il C. la frequentazione dell'istituto di elettrotecnica "Carlo Erba", settore di punta della scuola politecnica milanese, che vantava fra i suoi animatori (e futuro direttore dal 1897) uno dei maggiori pionieri dell'elettrotecnica e dell'industria elettrica italiana, G. Colombo. Questi aveva promosso nel 1881 quel Comitato per l'applicazione dell'elettricità sistema Edison in Italia che nel giugno 1883, con la centrale termica situata in via S. Redegonda, aveva dato avvio ad una prima rete di distribuzione a Milano, trasformandosi nel gennaio 1884 in società anonima. Fu appunto nell'ambito della Edison che il C. trovò inizialmente la sua strada.
In un primo tempo con l'amico C. Clerici, laureato anch'egli al politecnico milanese e perfezionatosi a Liegi, aveva pensato, se non di farle concorrenza, almeno di procedere in modo indipendente. L'accomandita Clerici e Conti, sorta con un modesto capitale, ebbe tuttavia breve vita, trovando più vantaggioso accordarsi con la società maggiore, cui cedette l'impianto di distribuzione nel settore di via Principe Umberto. In seguito all'accordo, nel febbraio 1895, il C. venne assunto nella direzione tecnicoamministrativa della Edison, allora impegnata nella costruzione dei primo grande impianto idroelettrico a Paderno d'Adda, destinato a funzionare in parallelo con la nuova centrale termoclettrica costruita a porta Volta. Responsabile principale per la parte elettrica dell'impianto di Paderno era l'ing. G. Semenza; al C. toccò seguire più particolarmente le questioni del collocamento dell'energia e delle tariffe relative.
Fu allora, "disegnando una pianta industriale di Milano, con la indicazione di tutti gli opifici che avranno interesse a sostituire il motore elettrico al vapore o al gas" e iniziando le trattative con i potenziali clienti, che il C. poté rendersi conto delle enormi e inesplorate possibilità del settore. Clienti principali delle officine elettriche erano ancora solamente "i teatri, caffè, grandi magazzini di lusso ed appartamenti di persone facoltose, od almeno dei ceto medio", quanti cioè preferivano la comodità e sicurezza dell'illuminazione elettrica al minor costo dei gas. Veniva però trascurata "tutta la numerosissima clientela degli impianti privati di piccola entità", "le piccole botteghe aperte fino a tardi, i cui padroni inoltre vivono spesso superiormente alla bottega stessa, accrescendo la possibilità di un lungo orario". Senza dire che era ormai indispensabile "iniziare gradualmente l'uso dell'energia elettrica per forza motrice" facendo anzitutto in modo "che nello spirito degli industriali entri a poco a poco la persuasione che questo sistema può avere, sugli altri, indiscutibili vantaggi". Il "pubblico" aveva già per suo conto iniziato un felicissimo orientamento verso l'"elettricità"; "osservando gli splendidi risultati ottenuti" aveva dissipato "i dubbi concepiti dapprincipio", si era "andato mano a mano famigliarizzando colle applicazioni elettriche" apprezzandone i vantaggi. Ma toccava agli "ingegneri" saperne profittare, non limitando la loro attenzione "allo studio dettagliato delle condizioni di produzione e di distribuzione", ma occupandosi altresì attivamente delle condizioni di vendita, guidando anche per questa via "meglio e più di quanto non si sia fatto finora" l'orientamento in atto (E. Conti, Le tariffe per la vendita dell'energia elettrica, Milano 1898, pp. 25, 33, 38). Era un ammonimento che il C. lanciava in una conferenza dei gennaio 1898 alla Federazione delle società scientifiche tecniche di Milano: ed era anche, per alcuni aspetti, per quel che più direttamente lo riguardava, l'individuazione d'una precisa vocazione di pioniere della diffusione delle applicazioni dell'elettricità e della loro commercializzazione.
Ambizioso, brillante, consapevole delle proprie capacità e del valore delle proprie intuizioni, energico, dotato di eccellenti qualità manageriali, non rimase a lungo alla Edison dove, come riconosceva, apprese "molte virtù borghesi".
Il direttore A. Bertini, "uomo di modesta apparenza, ma di solida coltura temica", gli forniva "ogni giorno esempio di assiduità, diligenza ed anche dei più sani criteri amministrativi". Il consigliere delegato C. Esterle, "più geniale, dotato di una mentalità sintetica, Preparato alle più ardue situazioni finanziarie", lo avviava "alla comprensione delle vaste concezioni industriali" (E. Conti, Daltaccuino di un borghese, Milano 1946, nuova ediz. Milano 1971, p. 17). Con G. Colombo, allora momentaneamente costretto dagli impegni politici a lasciare la presidenza, ebbe ugualmente proficui rapporti.
Nell'ambito della società, favorito dalla tendenza di Esterle a valorizzare le capacità e lo spirito d'iniziativa dei singoli, il C. ebbe modo di iniziare la sua personale ascesa divenendo consigliere delegato della Società monzese di elettricità, da lui promossa con capitali per metà della Edison e per metà di industriali locali. La sua maggiore ambizione - nel frattempo, nel maggio 1897, s'era sposato con Giannina Casati, nata nel gennaio 1877 - era però di conquistare una maggiore autonomia. Un primo passo fu rappresentato dalla costituzione, col Clerici ed il cognato G. Gadda, d'una società per la fabbricazione di macchinario elettrico. un settore per il quale si era ancora quasi totalmente dipendenti dall'estero. Un successivo aumento di capitale e la trasformazione in accomandita per azioni portarono alla costituzione della Gadda e Conti. Il C., gerente col Gadda, non appose il nome in quanto era già decisa la costituzione di un'altra società, la Conti e C.: "la prima fabbricherà il macchinario, la seconda si occuperà degli impianti e relativi esercizi, clienti l'una dell'altra" (ibid., p. 22).
Lasciava così la Edison per lo stabilimento della Gadda in via Castiglia, oltre porta Garibaldi, senza però perder di vista l'altro obiettivo, destinato a coinvolgerlo più direttamente. Continuava pertanto a seguire lo sviluppo della Società monzese, destinata nei suoi progetti a rappresentare il primo nucleo della sua futura e più definitiva attività. Accanto al lavoro non trascuravalo svago, la vita di relazione, l'affermazione sociale: se doveva "a malincuore" smettere l'equitazione perché "troppo costosa per un novellino capo di famiglia", non mancava le lezioni di scherma alla Società del giardino, giocava alla domenica a tennis nella villa dei Camperio alla Santa di Monza, era invitato ai pranzi in casa Pirelli, dove non poteva "fare a meno di ammirare la distinzione di ogni dettaglio" e dove aveva modo di incontrare altri nomi di primo piano della Milano dell'epoca, industriali come E. De Angeli o A. Riva o letterati e arti i sti come G. Giacosa, C. Boito, G. Rovetta (ibid., pp. 23 s.).
Il 27 nov. 1901 veniva costituita la Società per imprese elettriche Conti e C., con capitale di tre milioni, di cui metà della Gadda e scicentomila della Edison, con Esterle presidente e il C. consigliere delegato. La raggiunta autonomia non aveva significato una rottura con la società maggiore, nel cui ambito, al contrario, la Conti avrebbe continuato a muoversi, sfruttando lo spazio che la Edison le lasciava. Rientrava d'altronde fra le caratteristiche di Esterle, come Semenza ricordò alla sua morte (in L'Industria elettrica, XIV [1918], 9), rendersi conto di "quale incentivo sia Per un uomo d'azione l'essere il duce in una piccola azienda, anziché il semplice direttore di riparto in una grande" (p. 103): un criterio che al C. si attagliava particolarmente. Obiettivo principale della nuova società era l'esecuzione dell'impianto sul Brembo, fra San Pellegrino e i Ponti di Sedrina, destinato a servire la zona di Monza, ceduta dalla Edison che preferiva destinare tutta l'energia prodotta da Paderno su Milano. Il progetto incontrò ostacoli per l'ottenimento delle concessioni d'acqua nei comuni interessati, sostenuti dal deputato locale G. Finardi, spalleggiato da alcuni giornali, in particolare dalla Gazzetta provinciale, ma andò infine in porto nel 1904.
L'impianto comportò fra l'altro la costruzione d'una diga, d'un canale di m 7.663, di cui parte in roccia e parte in galleria, con un salto di m 56,60; la forza motrice generata era di 7.700 HP. Tra le novità tecniche adottate. l'uso per il trasporto dell'energia di pali in ferro elastici. Motivo di particolare compiacimento fu che tutto il materiale necessario era stato fornito da ditte italiane: in particolare, per la parte elettrica, dal consorzio che nel frattempo la Gadda aveva costituito con la Brioschi, Finzi e C.
Lungo il Naviglio Sforzesco, dove dal 1900 era già in funzione una centrale di 450 HP, utilizzati principalmente dagli industriali tessili della zona, era stata nel frattempo attivata una seconda centrale, a Trecate, di 500 HP. Anche per questi impianti si ricorse a ditte nazionali, con soluzioni d'avanguardia per i tempi. La Conti, che nel 1904assunse la ragione sociale definitiva (Soc. an. per imprese elettriche Conti) aveva già provveduto ad incorporare la Società monzese (il cui buon andamento era testimoniato dall'utile dell'11% distribuito agli azionisti nel 1903) e ad aumentare il proprio capitale a sei milioni (aummtabile a sette per delibera del Consiglio d'amministrazione).
L'espansione era stata rapidissima: ma appariva d'altronde giustificata dai risultati. Agli introiti previsti per il 1904 in L. 1.320.000 facevano riscontro spese per appena lire 280.900, che consentivano di provvedere largamente agli ammortamenti e alle tasse, nonché all'estinzione graduale del credito di L. 1.150.000 contratto con la Cassa di Risparmio di Milano (cfr. L'Economista italiano, VIII [1904], 14, pp. 6 s.).
L'aumento di capitale era collegato ai programmi di sviluppo, fra i quali, particolarmente impegnativo, l'impianto sul Ticino, presso Vigevano, destinato a fornire ulteriore energia alla rete Edison di Milano. Inaugurato nel gennaio 1906, esso avrebbe prodotto una potenza di circa 6.000 HP, trasportati su pali dei tipo di quelli inaugurati per l'impianto del Brembo sino alla stazione di trasformazione della Edison a porta Vigentina a Milano.
L'elezione del C. a consigliere comunale nel 1902, nella lista moderata allora all'opposizione, sanzionava l'ormai raggiunto successo. Nel dicembre 1903, quando si trattò di votare la rescissione della convenzione del comune con la Edison e l'avvio ad una azienda elettrica municipale, il C. si astenne (cfr. F. Nasi, Da Mussi a Mangiagalli, Milano 1969, p. 32). Dimissionario con gli altri consiglieri della minoranza nell'ottobre 1904, dopo lo sciopero generale del mese prima, il C. fu rieletto con buona votazione alle elezioni del 29 genn. 1905, in seguito alle quali si costituì a Milano una giunta moderata presieduta da E. Ponti.
Pur assiduo alle sedute, non risultò neppure in questa seconda fase molto attivo. Tra i suoi interventi, non troppo numerosi, si possono ricordare le raccomandazioni a potenziare i giochi all'aria aperta (cfr. Atti dei Comune di Milano, 22 dic. 1905, p. 128; 21 maggio 1906, p. 437), nonché i rilievi circa l'insufficienza nel piano regolatore della città degli spazi per giardini e zone verdi, "ancora di molto inferiori a quelle che nelle grandi Metropoli estere hanno l'identica destinazione" (ibid., 16 luglio 1906, pp. 554 s.).
Restio ad impegni propriamente politici (nel 1909 e nel 1913 avrebbe rifiutato la candidatura alla Camera), esplicò invece un'intensa attività in associazioni di categoria ed in organismi economici, divenendo nel 1905 vicepresidente della Associazione fra esercenti imprese elettriche in Italia (A.E.I.E.), presieduta da Esterle (che anche a questo riguardo esercitò una sicura influenza sul C.) e presiedendo il Circolo industriale agricolo e commerciale, moderato, in contrapposizione al radicale Circolo degli interessi comm iali ed industriali.
Al centro delle sue preoccupazioni, in tale ambito, erano i problemi tariffari e di tassazione dell'energia elettrica e soprattutto le questioni (di cui aveva avuto modo di sperimentare direttamente l'incidenza) connesse con le derivazioni e con l'uso delle acque pubbliche, chiaramente centrali per Pindustria idroelettrica, e sulle quali si succedettero nel periodo vari interventi ministeriali e alcune proposte di legge tendenti ad aggiornare le norme in vigore, risalenti al 1884. Particolari ostilità suscitò il progetto presentato in Senato il 6 marzo 1907 dal ministro F. Massimini, cui gli industriali elettrici imputarono la tendenza ad assecondare esageratamente le pretese degli enti locali, ad aumentare in maniera proibitiva i canoni riducendo drasticamente la durata delle concessioni, ad istituire vere e proprie forme di privilegio e di monopolio a favore dei comuni contro l'industria privata. Caduto il progetto anche per le obiezioni dell'Ufficio centrale del Senato, una nuova proposta di legge, assai meno ostica agli interessati, venne presentata nel dicembre 1908 e su di essa il C. prese posizione con Particolo Il nuovo progetto di legge sulle derivazioni ed usi di acque pubbliche (apparso in LaRiforma Sociale, XVI [1909], 1-2, pp. 150-70), augurandosi che, "emendata in qualche sua parte" che comportava condizioni ritenute ancora troppo gravose per l'industria, essa potesse venir presto approvata. In realtà ad una ridefinizione delle disposizioni in materia si sarebbe arrivati solo nel corso della prima guerra mondiale. Al di là dell'esito specifico, l'intervento era comunque un sintomo della accresciuta preoccupazione riscontrabile nei settori più dinamici dell'economia nazionale per una più attenta salvaguardia degli interessi industriali e per una maggiore convergenza delle "classi produttrici" nei loro rapporti con lo Stato, in particolare per reagire a quella che veniva ritenuta una intollerabile esosità in materia fiscale. Rientrava in tale ambito, con altre iniziative, la co tituzione nel 1910 della Associazione fra le società italiane per azioni, voluta e presieduta anche questa da Esterle (che continuava ad essere il presidente della Conti, mentre la partecipazione in questa della Edison si era, coi tempo, molto accresciuta).
Sempre operando nell'area della Edison il C. ebbe un ruolo importante nella costituzione di nuove società, destinate ad un brillante avvenire: l'Orobia, l'Adamello (per la quale trattò con un gruppo belga guidato dal conte C. Cicogna per conto della Société belge d'entreprises électriques), la Società idroelettrica ligure, la Società elettrica Riviera di Ponente R. Negri. Quanto poi alla sua impresa, tramite società di cui acquisiva il controllo o che fondava. il C. estese l'area della distribuzione verso Novara, Vercelli, Pavia e l'Oltrepò. Contemporaneamente avviava un ambizioso progetto, lo sfruttamento integnde delle acque del Toce e del Devero, mediante una serie di derivazioni, serbatoi e centrali di cui la più importante doveva sorgere a Verampio. In vista del progetto il capitale fu portato a tredici milioni, con la garanzia di copertura della Banca commerciale italiana e della Banca Zaccaria Pisa.
Riferendo dell'operazione al comitato centrale della Commerciale, il direttore di questa O. Joel sottolineava come la Conti fosse "diretta da persone assai esperte nel loro ramo" e si presentasse con un avvenire "molto promettente", specie appunto in relazione al nuovo progetto del Toce "che le permetterà di estendere la sua sfera d'azione ad altro dei più importantì centri industriali dell'Alta Italia". Per il periodo in cui si sarebbe effettuata l'operazione la Banca commerciale apriva alla Conti un credito di un milione (Arch. stor. della Banca commerciale italiana, Verbali del Comitato centrale, III, adunanza del 25 febbr. 1907), elevato a due nel marzo 1909, quando l'ulteriore aumento di capitale a 17 milioni, già deliberato nel marzo 1907, dovette essere ancora rimandato di un anno, per le non buone condizioni dei mercati (ibid., adunanza del 23 marzo 1909). Per far fronte al fabbisogno si emisero 10.000 obbligazioni al 4,5% per totali cinque milioni di lire, ottenendone il totale collocamento presso la Società per le strade ferrate meridionali, scelta che il C. spiega nelle sue memorie come dettata da volontà d'autonomia rispetto alla Banca commerciale. Fu comunque con quest'ultima che nel 1911 il C. realizzò un'operazione analoga, per una cifra doppia (dieci milioni), parte destinata a sostituire l'emissione di due anni prima e parte riservata alle Meridionali (ibid., V, adunanza del 29 marzo 1911).
Nel giugno 1909 era entrato in funzione l'impianto di Foppiano, con un salto di 350 m e una potenza di 10.000 HP. A partire dal secondo semestre 1910 aveva cominciato a funzionare la centrale di Goglio, con una derivazione a 1.620 m dal torrente Devero nel comune di Baceno, una condotta in galleria di 1.420 m., un salto di 520 m e una potenza di 20.000 HP. Tutta l'energia così prodotta poteva venir avviata a Novara, profittando dei progressi compiuti nel campo dei trasporti delle alte tensioni. Proseguendo nel metodo, rivelatosi assai proficuo, di potenziare gli impianti in coincidenza con la prevedibile crescita della domanda, si avviavano i lavori per la seconda derivazione dal Devero, destinata ad alimentare la centrale di Verampio, anzitutto con la realizzazione di un serbatoio a 1.850 m ottenuta con lo sbarramento del lago di Codelago.
La Conti era cosi divenuta "una delle più importanti Società produttrici e distributrici di energia elettrica" (A.E.I.E., Notizie..., p. 143). Nel 1914 la produzione oltrepassava i 150 milioni di Kwh. L'impianto di Verampio non era ancora in funzione (sarebbe stato attivato l'anno dopo) e il C. si preoccupava dell'architettura della centrale, affidata per la progettazione a P. Portaluppi, marito della nipote Lia: fu lui a volere che il materiale fosse "assolutamente locale", dunque "granito e beole; niente cotto, niente marmi", qualcosa che s'avvicinasse affla chiesa di St. Moritz: ma che all'esito pratico avrebbe piuttosto fatto pensare a qualcosa d'intermedio fra la grande villa e l'austero castello, secondo un modulo non inconsueto nell'architettura industriale del tempo.
La guerra agì da potente acceleratore sui programmi già in cantiere. Nell'ottobre 1915 il capitale venne portato a ventiquattro milioni. Cominciava a funzionare la centrale di Verampio (20.000 HP), e già si pensava a nuovi impianti per far fronte ad una domanda molto accresciuta dalle esigenze dell'industria di guerra e dal rincaro del carbone. In meno di due anni veniva costruito l'impianto di Crego (15.000 HP), si ricostruiva la centrale di Zogno distrutta da un incendio, si completava lo sbarramento del lago Vannino in alta Val Formazza e del serbatoio di Pian Boglio in Val di Devero, si aggiungevano nuove unità alle centrali di Rivasco e di Goglio.
Ormai riconosciuto - si legge in un rapporto su di lui - "come il rappresentante dell'industria elettrica italiana" (Arch. di Stato di Milano, Prefettura, Gabinetto, b. 59), il C. cumulava un numero ragguardevole di cariche: oltre a quelle già ricordate, era presidente della Società di elettricità del Ticino, delle Officine elettriche novaresi, della Società Brioschi; vicepresidente della Società imprese elettriche Piemonte orientale e della Unione telefonica italiana; consigliere d'amministrazione della Società Dinamo, della Adamello, della Orobia, della Società elettrochimica di Pont-Saint-Martin (la futura S.I.P.), della Società elettrica coloniale, della Società toscana per imprese elettriche, della Società per la distribuzione di energia elettrica ing. Banfi, della Società idroelettrica ligure, della Società per lo sviluppo delle imprese elettriche e del Consorzio per la elettrotrazione. A guerra scoppiata era stato chiamato a far parte della Commissione tecnico-amministrativa per le industrie di guerra, assumendovi un ruolo di rilievo; era altresì entrato nell'ufficio di presidenza dell'Opera pro mutilati e dell'Opera Pia Bonomelli.Con l'autorità che gli derivava dalle posizioni raggiunte, sulla Nuova Antologia del 6 febbr. 1916 nell'articolo Per una politica nazionale delle forze idroelettriche in Italia (pp. 646-62) sollecitava una diversa attitudine dello Stato nei confronti dell'industria e degli industriali, considerati nelle sfere governative "piuttosto come ricercatori di privilegi, che come operosi collaboratori della ricchezza del paese e della conseguente floridezza dei bilanci statali" (p. 656). In quello stesso tomo di tempo si ventilò per la prima volta una sua nomina a senatore, secondo l'indicazione anche del "vecchio professore" G. Colombo (a Boselli, 14 nov. 1916: in Arch. centrale dello Stato, Carte Boselli, b. 2, f. 22). In Senato sarebbe entrato tre anni dopo, nel febbraio 1919, in seguito alla nomina avvenuta il 15 dic. 1919 a sottosegretario del Tesoro per la liquidazione dei servizi delle armi e munizioni e dell'aeronautica, secondo il progetto elaborato dal ministro Nitti nel governo Orlando (ottobre 1917-giugno 1919).
Di tale importante attività, proseguita anche nel successivo governo Nitti (giugno 1919-maggio 1920), e che comportava la presidenza della giunta esecutiva del Comitato interministeriale per la sistemazione delle industrie di guerra, sarebbe opportuno un esame dettagliato, qui non possibile. A Orlando, nell'agosto 1919, il C. scrisse di aver cercato di assolverla nel miglior modo possibile, "tenendo presente soprattutto che per eccitare il risveglio delle nostre industrie era indispensabile provvedere con la massima rapidità a tutto ciò che dallo Stato esse avessero il diritto di attendersi per la loro trasformazione dallo stato di guerra all'assetto di pace" (Arch. centrale dello Stato, Carte Orlando, b. 3).
L'incarico fu portato a termine nel giro di nove mesi: il sottosegretariato fu soppresso ai primi dell'ottobre 1919, e il C. si dimise alla fine del mese, passando subito a presiedere la missione che sarebbe partita qualche mese dopo per la Transcaucasia, per verificare le possibilità di espansione economica M quelle Repubbliche (Georgia, Azerbaigian e Armenia) non ancora "bolscevizzate".
Partita da Taranto il 6 febbr. 1920, della missione facevano parte rappresentanti dei ministeri interessati e del mondo economico, esperti, giornalisti (fra i quali L. Barzini e P. Nenni). All'ultimo momento venne invece a mancare la partecipazione di B. Mussolini, che sul Popolo d'Italia aveva sostenuto con particolare calore l'iniziativa, e non solo sulla base di motivazioni economiche. La lunga relazione, inviata a fine marzo dal C. al ritorno della missione al sottosegretario agli Esteri C. Sforza, rilevava le ampie possibilità che si erano accertate (approvvigionamento di nafta, legname e altre materie prime; possibilità di lavori pubblici, ecc.), ma non nascondeva le difficoltà, soprattutto dipendenti dalla precarietà del quadro politico, oltre che dalla concorrenza inglese e americana (quest'ultima per il petrolio di Baku) che non poteva vedere di buon occhio un tentativo di penetrazione italiana. Il C. si dimostrava in ogni modo convinto che specie in Armenia si aprisse "un enorme campo di attività per l'Italia" anche "come intermediaria della Persia" (a Nitti, 30marzo 1920, in Arch. centrale dello Stato, Carte Nitti, f. 63, sf. 15).
Nel marzo 1920, durante la momentanea tregua nel contrasto con i Perrone, unitamente a Pio Perrone - e a riequilibrare quest'ultimo - il C. fu designato a vicepresidente della Banca commerciale italiana, nel cui consiglio era entrato nel luglio 1918. Tre mesi dopo, nel giugno 1920, fu chiamato a succedere a G. Silvestri alla presidenza della Confederazione generale dell'industria, che resse fino al gennaio dell'anno successivo.
In tale carica, di lì a poche settimane, si sarebbe trovato nella non gradita condizione di dover passare le giornate "in riunioni esasperanti con gli industriali o coi rappresentanti degli operai o coi prefetti" in seguito alloccupazione delle fabbriche dei settembre. L'impressione che sulla vicenda egli si faceva era delle più preoccupate. "Comunque la cosa finisca, ed anche ammesso che non si continui in un più generale sconvolgimento - egli scriveva a Nitti il 6 settembre - l'autorità statale e il giudizio del nostro Paese di fronte all'estero ne usciranno disfatti" (ibid.). Ansioso anche per questo di metter fine all'episodio, con un atteggiamento condiviso dai dirigenti della Banca commerciale, e mostrandosi sensibile alle esigenze fatte valere dal presidente del Consiglio G. Giolitti, unitamente al segretario generale della Confindustria G. Olivetti il C. cercò di individuare un possibile punto di intesa con la Confederazione generale del lavoro. Fu appunto lui, unitamente ad Olivetti, a predisporre la bozza di accordo che prevedeva la costituzione d'una commissione paritetica incaricata di presentare proposte sulla eventuale partecipazione degli operai al controllo tecnico ed amministrativo delle aziendc, soluzione che sarebbe stata fatta propria da Giolitti. Nel prospettarla il C. era in realtà convinto che non se ne sarebbe fatto nulla; la posizione da lui assunta fu peraltro osteggiata dai settori industriali più intransigenti, a cominciare dalla potente Lega degli industriali di Torino, e alla assemblea generale del gennaio 1921 il mandato non gli fu rinnovato.
Nel marzo 1922 veniva nominato presidente della Associazione fra le società italiane per azioni, il che comportava la partecipazione al Comitato centrale industriale, organo di raccordo con la Confindustria e in pratica il vero "organo direttivo della politica economica e finanziaria delle categorie industriali" (F. Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, Milano 1953, I, p. 7).
Anche in tale veste il C. prendeva la parola in Senato il 21 di quello stesso mese sulle comunicazioni dei nuovo governo Facta per denunciare "nella politica degli ultimi anni, come un continuo senso di'avversità alla produzione". In questa prospettiva rilevava gli effetti a suo dire perversi, al di là delle intenzioni o delle ragioni che li avevano suggeriti, di provvedimenti come la nominatività dei titoli, l'avocazione dei profitti di guerra, l'istituzione della commissione per l'inchiesta sulle spese di guerra. Altri nodi dolenti erano gli eccessi della pressione fiscale e i servizi pubblici, gonfiati di dipendenti pochissimo efficienti e nei confronti dei quali si era largheggiato in concessioni ed indulgenze, con deprecabili ripercussioni anche sull'impiego privato.
Intanto si faceva ricorso, nell'aprilemaggio, alle sue qualità di ábile negoziatore, allorché L. Facta lo incaricò dapprima di avvicinare in modo informale i delegati russi in Italia per la conferenza economica di Genova, e quindi di guidare le trattative per un nuovo trattato di commercio, che fu firmato il 24 maggio 1922 da C. Schanzer, ministro degli Esteri, e dal C. per l'Italia, e da G. V. Citerin e L. B. Krasin per lo Stato sovietico.
Le "continue agitazioni, suscitate ed alimentate da una instancabile propaganda", si leggeva nella relazione all'assemblea degli azionisti della Conti del 31 marzo 1922, avevano "messo a dura prova anche le imprese elettriche, alle quali, con la minaccia costante di arresto della produzione, si tentò bene spesso di togliere la possibilità di una giusta resistenza". Ma già nella relazione dell'anno successivo si poteva leggere che le maestranze dimostravano "una spiccata tendenza alla pacificazione ed al ritorno a quel lavoro ordinato e tranquillo che costituirà il miglior coefficiente dei loro benessere morale e materiale". Quanto alla svolta che da tempo, e in modi sempre più recisi, il C. propugnava nel rapporto tra Stato e mondo imprenditoriale, essa, ai suoi occhi, poteva benissimo aver luogo entro la cornice politica tradizionale. Fondamentalmente, il C. era allineato con la posizione della Confindustria, che sospettava dell'ala rivoluzionaria e del sindacalismo fascisti, e spingeva per un gabinetto di coalizione allargato a Mussolini. Con altri industriali di Milano, il 13 ottobre auspicava un ritorno di Giolitti, e ancora il 28 pomeriggio, insieme ad esponenti dell'industria e della politica milanesi, cercava in un colloquio di indurre Mussolini ad entrare in un gabinetto Salandra, e declinava poi l'offerta di quello di entrare nel suo governo come ministro dell'Industria e Commercio.
Anche il C. fu favorevole al fascismo "liberista" di quegli anni. Dal nuovo governo, come mostra l'intervento in Senato del 26 nov. 1922, si aspettava in ogni modo economie e riduzione di spese, e un ambiente finalmente favorevole alla "produzione". Nello stesso tempo, anche come correttivo alla disoccupazione conseguente alla politica economica da lui stesso proposta, chiedeva che si facilitasse l'afflusso di capitali esteri da destinare agli investimenti. La "psicologia delle masse" era profondamente mutata e di pari passo era "migliorato il rendimento del lavoro": a Mussolini il C. chiedeva di profittare di tali condizioni "eccezionalmente favorevoli" per imporre a tutti, contribuenti, capitani d'industria, lavoratori, funzionari, ma anche a gregari e "capi della nuova classe dirigente", la necessaria "disciplina".
Della favorevole congiuntura che si aprì allora in Italia, più in concomitanza che come diretta conseguenza della marcia su Roma, la Conti poté abbondantemente profittare. Nel giugno 1922 il capitale era stato portato a cento milioni per far fronte ad un ulteriore programma di potenziamento. Ultimata la nuova centrale di Valdo (10.000 HP), veniva avviato l'impianto di Crevoladossola, destinato a raccogliere alla loro confluenza le acque del Toce e del Devero. I dividendi distribuiti agli azionisti conoscevano una continua ascesa: 8% nel 1922, 9% nel 1923, 10% nel 1924, 11% nel 1925, 12% nel 1926. "Le prospere condizioni in cui si sono svolte le altre industrie - si rilevava a commento dell'esercizio 1924 -, la mancanza di scioperi, le nuove iniziative nei vari campi della produzione, hanno aumentato notevolmente le richieste di energia con un ritmo molto più celere di quello del passato". Il capitale veniva portato a centosessanta milioni: e a questo punto, con l'avvio dell'esensione degli impianti di Cadarese e di Ponte, il programma dello sfruttamento integrale del bacino del Toce e del Devero poteva considerarsi avviato a conclusione.
In seguito al delitto Matteotti, e nel quadro conseguente di turbamento e agitazione che sembrò attestare l'incapacità di Mussolini a procedere ad un'effettiva normalizzatone, con Olivetti, Benni e Pirelli il C. fece parte della delegazione confindustriale che, dopo la assemblea tenutasi a Milano il 4 sett. 1924 sull'eco d'una vivace presa di posizione di L. Einaudi sul Corriere della sera del 12 agosto e degli interventi che le erano succeduti, si fece ricevere il 9 settembre dal capo del governo presentandogli un memoriale di tono fermo e critico.
In esso, richiamate le ragioni che avevano motivato il consenso degli industriali per un governo che aveva riconosciuto la necessità "di assicurare alla produzione in genere ed all'industria in particolare un ambiente più favorevole", si precisava che le classi industriali non richiedevano però né ritenevano possibile "alcuna politica di compressione della classe operaia", giudicando invece essenziale "l'assoluto rispetto delle leggi tutelanti la libertà di industria, la libertà di lavoro e la libertà di organizzazione". La legge andava applicata con obiettività "senza tenere presenti distinzioni di partiti e al di fuori di influenze politiche particolari o locali" (Abrate, pp. 485-88).
Personalmente il C. era contrario a fratture insanabili, e non aveva condiviso la tattica aventiniana. In settembre apprezzò che la prosa del Corriere della sera sifosse fatta "meno sovversiva" e auspicò che Albertini attenuasse "la sua campagna, in modo da non fomentare le discordie che ci angustiano anche troppo" (ad A. Casati, 16 sett. 1924: in Arch. centrale dello Stato, Carte Casati, sc. 1, f 1.53). In ottobre comunicava al Casati, ministro della Pubblica Istruzione e parente di sua moglie, l'"unanime parere degli amici" milanesi (citando in particolare G. Gallavresi e A. Pirelli) secondo cui i ministri liberali dovevano "restare al loro posto, eventualmente dopo una amichevole spiegaziore col Presidente" (7 ott. 1924: ibidim). Il 3 dicembre prendeva in ogni modo la parola in Senato dichiarandosi interprete del "pensiero di moltissimi produttori". Respinte le accuse secondo cui le simpatie manifestate dagli industriali nei confronti del fascismo sarebbero dipese dal desiderio di comprimere le masse con la violenza, il C. precisava che, piuttosto, ai risultati positivi conseguiti dal fascismo sul terreno della "restaurazione materiale" non aveva fatto riscontro la non meno necessaria "restaurazione morale". Nell'attesa che una "nuova classe possa essere formata" - e nel dirlo non faceva che ricalcare un passo del memoriale di tre mesi prima - era dunque "giuoco-forza ricorrere alla provata competenza della classe che credevamo superata". Né mancava nella parte finale del discorso un invito abbastanza trasparente a Mussolini perché si dimettesse.
Il regime riuscì invece a stabilizzarsi, ed il C. mostrò in larga misura di adattarsi. L'entrata nel governo di G. Belluzzo e di G. Volpi, col quale in particolare era da tempo in rapporti d'amicizia, rappresentò d'altronde un fattore di più generale ammorbidimento degli ambienti finanziari e industriali nei confronti di Mussolini. Nell'aprile 1926 lo stesso C. veniva designato da Mussolini e Volpi quale presidente del nuovo ente parastatale petrolifero allora in via di costituzione, l'Azienda generale italiana petroli (A.G.I.P.). In quello stesso periodo maturava il suo forzato distacco dalla Conti, regista dell'operazione G. Motta, successore di Esterle alla guida della Edison, e alla presidenza della Conti. All'assemblea societaria del 3 ag. 1926 in cui fu presentata per la ratifica la proposta di fusione con la Edison (poi in effetti realizzata in novembre) si disse ch'essa era consigliata dall'esempio di altri "grandi concentramenti" allora effettivamente attuati in campo industriale, nonché dalla maggiore facilità di ottenere finanziamenti "da parte di un grande Ente la cui irnportanza sarà indubbiamente maggiore della somma di quella dei due componenti".
Nel maggio 1927 il C. prendeva la parola in Senato come relatore dei bilancio dell'economia nazionale. Riconosciuto che il paese godeva di "una invidiabile tranquillità e di una perfetta disciplina", "merito indiscutibile ed indiscusso dell'attuale regime"; rilevate le conseguenze positive del discorso pronunciato da Mussolini a Pesaro il 18 ag. 1926, grazie al quale la tensione dei cambi, nel giro di poche settimane s'era calmata, il C. esprimeva tuttavia non velate riserve circa i limiti ai quali sì intendeva ancorare la rivalutazione della lira allora in corso. Il discorso era soprattutto una vivace e convinta rivendicazione dei meriti e del ruolo dell'industria nazionale che non poteva a nessun costo essere sacrificata, come invece temevano gli interessati, anche sulla base delle ricorrenti accuse di speculazione e di utili smodati che si sentivano in quel tomo di tempo rivolgere, accuse che non avevano mancato di colpire personalmente anche il Conti.
Il discorso suscitò reazioni particolarmente negative in ambito fascista. Lo stesso C. accennò in giugno a Volpi all'eventualità di dimettersi dalla presidenza dell'A.G.I.P. per il timore "di aver perduto la fiducia dei Capo dei Governo" lieto peraltro di riceverne parere negativo, non desiderando egli lasciare quella carica "in un momento in cui ciò sarebbe stato sicuramente interpretato come la manifestazione di un dissenso che per parte mia non era né vero né desiderabile" (a Volpi, 11 genn. 1928: in Arch. stor. della Banca commerciale ital., Copialettere sen. Conti, I).
L'allontanamento dalla "sua" società, per di più avvenuto in un modo che l'aveva particolarmente amareggiato, se in parte lasciò un vuoto incolmabile, fu però presto surrogato da altre attività. Nella sua qualità di vicepresidente della Banca commerciale fu incaricato di seguire in particolare alcune società: entrò nel Consiglio e fu nominato presidente del Comitato esecutivo della Temi; assunse la presidenza della Châtillon, per la quale negoziò in America nell'aprile 1928 una vantaggiosa combinazione, preoccupandosi poi di difendere la sua quota di mercato nazionale dall'invadenza della Snia di Gualino; si impegnò a fondo nel risanamento della S.I.P. - Società idroelettrica Piemonte; mantenne ancora per qualche tempo la presidenza dell'Unione esercizi elettrici; fu presidente della Riva, della Vizzola, del Tecnomasio italiano, della Società lombarda per distribuzione di energia elettrica, di altre società. Come presidente dell'A.G.I.P., provvide a organizzarla in forma di holding confunzione direttiva sui due enti autonomi operanti nel settore del petrolio e degli oli minerali. Per i rifornimenti si ricorse all'U.R.S.S.; successivamente si acquisì il controllo di due società romene e venne realizzato un accordo con la Anglopersian. Ricerche furono avviate anche in Italia. Nel settembre 1928, dissentendo dalla decisione, allora presa, dì diminuire il prezzo della benzina, si dimise.
Nel dicembre 1930 giungeva la designazione a presidente della Banca commerciale. In tale posizione seguiva la crisi dell'istituto milanese, ormai non più in grado di reggere agli eccessi di partecipazioni industriali e finanziarie in cui erano immobilizzati i suoi fondi. Unitamente all'amministratore delegato G. Toeplitz, al suo principale collaboratore - e presto suo successore - R. Mattioli, e al legale C. Giussani (che aveva conosciuto trent'anni prima come legale dell'A.E.I.E.), il C. partecipò alle riunioni romane dell'ott.-nov. 1931 da cui uscì una prima sistemazione della banca.
In una lettera del 19 giugno 1935 a G. Treccani degli Alfieri (in Copialettere, cit., vol. 7), in vista della pubblicazione di un "riassunto biografico degli Italiani che hanno raggiunto una certa notorietà" in cui sperava di essere inserito, il C. sottolineava in particolare le due attività alle quali forse con più passione si era dedicato "nel secondo (ahimé, meno giovanile) periodo della mia esistenza": "l'istruzione della classe operaia e la ricostruzione di qualche opera d'arte architettonica".
Come presidente dal 1920 della Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri , oltre a ristabilirne le "finanze pericolanti", ne aveva in effetti potenziato le scuote serali, fondando nel 1925 una scuola superiore, cui era stato apposto il suo nome, destinata ai "migliori fra gli allievi degli altri corsi" in modo da formare "valorosi capitecnici". Nel 1938, quando si celebrò il centenario della Società, gli iscritti ai vari corsi erano quasi cinquemila, di cui cinquecento alla "Ettore Conti". Per il C. si trattava della vivente riprova della conciliabilità dei rapporti fra capitale e lavoro, e forse di qualcosa di più: "E contatto costante con questa elettissima massa operaia che, dopo essersi assoggettata durante tutto il giorno alla dura disciplina del lavoro, volontariamente e lietamente dedica le sue serate ad assoggettarsi alla non meno dura disciplina dello studio, mi commuove e mi dà una grande fiducia nell'avvenire dei mio Paese al quale auguro di sapere esprimere da queste masse le future gerarchie..." (a G. Bottai, 7 nov. 1938: in Copialettere, cit., vol. 9).
Quanto all'altra attività richiamata, essa era iniziata con l'acquisto nel 1919 della casa di corso Magenta 65, già abitata dagli Atellani nel primo '500, e con i lavori ivi compiuti dal Portaluppi che ne avevano messo in luce le antiche strutture e le parti affrescate. Successivamente, nel 1929, aveva assunto le spese per il ripristino d'una cappella della chiesa di S. Maria delle Grazie, già di patronato della famiglia Atellani. Completato questo primo intervento, ne erano seguiti altri, e infine, nel 1935, l'assunzione dell'onere complessivo del restauro.
Da qualche tempo aveva cominciato a diradare gli impegni, amando offrire di sé l'immagine dun uomo che con serenità s'avviava verso "un placido tramonto". In realtà, anche in passato, il suo attivismo, evidente specie quando si dedicava a qualcosa di nuovo (la moglie ad A. Casati, 3 febbr. 1928: Arch. centrale dello Stato, Carte Casati, sc. I, f. 1-53), non gli aveva mai impedito di godere della vita di relazione, dei momenti di riposo, degli agi che la ricchezza e la ragguardevole posizione sociale raggiunta potevano consentirgli. Nel 1937, chiusa la casa di campagna di Galbiate, acquistava una nuova residenza autunnale a Parravicino d'Erba, più vicina a Milano, e più agevolmente raggiungibile dagli amici. I viaggi, legati a missioni ufficiali o di diporto, s'erano succeduti: Egitto, U.S.A., Spagna, Grecia, Turchia, India, Brasile, U.R.S.S., Sud Africa. Nell'aprile 1938, con le credenziali di ambasciatore straordinario e di ministro plenipotenziario, partiva per il Giappone e il Manciukuo, lo Stato fantoccio creato dai Giapponesi m Manciuria dopo l'invasione del 1931, alla testa d'una missione incaricata di negoziare un trattato di amicizia, commercio e navigazione col Manciukuo e un accordo con questo Stato e col Giappone per lo scambio di merci e il regolamento dei relativi pagamenti. L'episodio fu rievocato dallo stesso C. in una conferenza all'Istituto per gli studi di politica internazionale (I.S.P.I.) di Milano (Ricordi della miaintistone in Giappone e Manciukuo, in Storia e politica internazionale, [1939], 2, pp. 116-37).
Con decreto 9 maggio 1939 fu insignito dal titolo di conte, cui, con lettera patente del 2 apr. 1940, sarebbe stato aggiunto il predicato "di Verampio". Il motto prescelto era in linea col personaggio e coll'immagine che di sé s'era costruita: "Agere non loqui". Di questo periodo era la decisione di adottare come figli i nipoti Lia Portaluppi e Piero Gadda Conti.
Altro motivo di soddisfazione fu la visita nel marzo del 1939 di Motta, venuto a chiedergli di entrare nel Consiglio della Edison. Il C. accettava anche "per le ragioni affettive" che lo legavano ad un ente che disponeva degli impianti da lui creati "in altri tempi", e come se si trattasse d'una parziale riparazione dei torti subiti (a Beneduce, 20 marzo 1939: in Copialettere, cit., vol. 9). Nello stesso torno di tempo ventilava il progetto dì "scrivere qualche cosa sulla nascita ed i primi sviluppi dell'industria in Italia" e, ciò, per suo "divertimento", senza, "per ora, l'idea preconcetta di pubblicare il frutto della mia fatica" (a L. Allievi, 21 luglio 1939: in Copialettere, cit., vol. 9).
Quello che in concreto avrebbe scritto, il Taccuino di un borghese, elaborato a Parravicino negli anni della guerra, ebbe invece un carattere nettamente autobiografico: a suggerirglielo era stato G. Malagodi, che il C. aveva conosciuto alla segreteria di Toeplitz (testimonianza del senatore Malagodi). La struttura di diario, anche se il C. effettivamente utilizzò, con altro materiale, i diari tenuti dalla moglie, è da considerare almeno in parte un artificio. Specie in alcune pagine e nell'accentuazione data a taluni aspetti (in particolare alle riserve sul fascismo) è molto probabile che sia intervenuto un ripensamento posteriori. Nell'insieme l'opera corrispondeva in ogni caso al personaggio e dava bene conto della sua scala di valori, dei suoi criteri di vita.
Dopo la guerra il C. si dedicò di nuovo al restauro di S. Maria delle Grazie, rimasta danneggiata dai bombardamenti. Sottoposto a procedimento d'epurazione, quindi reintegrato, dopo il '45 fu sostituito da C. Giussani alla presidenza della Banca commerciale, ma svolse ancora per diversi anni una certa attività. Nel giugno 1954 ebbe la medaglia d'oro di benemerito della scuola, della cultura e dell'arte. L'anno dopo fu fatto grande ufficiale al merito della Repubblica. Nel maggio 1967 ebbe il dolore di perdere la moglie, assidua compagna di tutta la sua vita. Morì a Milano, centenario, il 13 dic. 1972.
Fonti e Bibl.: In mancanza di carte personali si deve ricorrere alla documentazione sparsa in archivi e fondi, dei quali si indicano alcuni tra i principali. A Roma, nell'Arch. centrale dello Stato: Carte Boselli, Carte Casati, Carte Nitti, Carte Orlando, Ministero Armi e Munizioni, Presidenza del Consiilio dei ministri;a Milano, nell'Archivio, di Stato: Fondo prefettura, Gabinetto;ancora a Milano: Archivio storico della Banca commerciale ital.: Verbali del Comitato centrale, Copialettere sen. Conti. Si aggiungano, a stampa: Atti del Comune di Milano, 1902-1907, passim; Atti parlam. Camera dei deputati, Discussioni, leg. XXIV, 7 marzo 1919, pp. 18-712-17; Atti Parlam. Senato del Regno, Discuss., legisl. XXVI, 21 marzo 1922, pp. 172-126; 16 giugno 1922, pp. 2591-94; 26 nov. 1922, pp. 4228-35; 14 febbr. 1923, p. 4489; legisl. XXVII, 3 dic. 1924, pp. 344-48; 4 giugno 1925, pp. 2998-3003; 25 maggio 1926, pp. 5716-19; 21 maggio 1927, pp. 8202-16 (anche in opuscolo: E. Conti, Sul bilancio dell'economia nazionale, Roma 1927); 9 giugno 1927, pp. 8967-71, legisl. XXVIII, 27 marzo 1930, pp. 2621-28; 21 maggio 1931, pp. 3742-47; 11 marzo 1932, p. 4952; 3 genn. 1934, pp. 6991 ss.; Società anonima per imprese elettriche Conti, Statuto e Assemblee, Milano, ad annos;L. Albertini, Epist. 1911-1926, a c. di O. Barié, Milano 1968, ad Indicem. Della notevole bibliografia si vedano, per un primo inquadramento e per alcuni riferimenti, Assoc. fta esercenti imprese elettr. in Italia (A.E.I.E.), Notizie sui principali impianti elettr. d'Italia, Milano 1910, pp. 143-51; L'Italia elettrica, I (1919), 2, pp. 35-48; Nel cinquant. della Società Edison, Milano 1934; A. Monticone, Nitti e la grande guerra (1914-1915), Milano 1961, pp. 313, 326, 338; M. Abrate, La lotta sindacale nella industrializzazione ital., Milano 1967, pp. 274, 297, 340, 375, 421-25, 485-88; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino 1965, p. 582;Id., Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, ad Indicem;II, Vorganizz. dello Stato fascista 1925-1929, Torino 1968, pp. 87, 254 s.; V. Castronovo, G. Agnelli, Torino 1971, ad Indicem;P. Melograni, Gli industriali e Mussolini, Milano 1972, ad Indicem;R. A. Webster, L'imperialismo industriale italiano. Studio sul prefascismo 1905-1915, Torino 1974, pp. 47, 76 s., 440;E. Serra, Nitti e la Russia, Milano-Bari 1975, pp. 19, 72-78; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, III, Milano 1976, pp. 244 s., 252; G. Mori, Il capitalismo industriale in Italia, Roma 1977, ad Indicem;E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditoriale in Italia, Milano 1977, pp. 77-84, 98, 125-53;S. Romano, G. Volpi. Industria e finanza tra Giolitti e Mussolini, Milano 1979, ad Ind.;G. Petrocchi, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana 1917-1925, Bari 1982, ad Indicem.