COLLA, Ettore
Nacque a Parma il 13 apr. 1896 da Cesare e Angela Bussi. Primogenito di famiglia numerosa, frequentò l'Accademia di belle arti della sua città natale, unendosi in amicizia con Attanasio Soldati e con Bruno Barilli.
Dopo un breve periodo in guerra nel 1918, tornò a Parma, seguendo fino al '21 i corsi di scultura dell'Accademia di G. Spalmach. Nel 1922 interruppe definitivamente gli studi senza diplomarsi e iniziò un periodo particolarmente intenso con frequenti spostamenti.
In questi anni (1923-26) particolarmente significativi anche sul piano delle esperienze individuali, il C. ebbe modo di frequentare gli ateliers di alcuni dei maggiori scultori europei, come Maillol, Despiau e Bourdelle, la cui influenza si rivelerà decisiva nella sua formazione artistica.Nel '26, tornato in Italia, si stabilì definitivamente a Roma, fissando il suo studio in via Brunetti; iniziò a lavorare come abbozzatore sotto la guida dello scultore Angelo Zanelli. In questo anno iniziò ufficialmente la sua attività espositiva con la partecipazione alla XCII mostra della Società degli amatori e cultori in cui presentò un Ritratto di giovinetta non identificato nel catalogo dell'opera dell'artista a cura di S. Pinto (1972).
La produzione di questi anni, prevalentemente in gesso e terracotta e in gran parte dispersa, rivela da una parte l'influenza delle precedenti esperienze francesi e in particolare di Bourdelle, e dall'altra risente, specialmente nell'impianto compositivo, delle contemporanee elaborazioni neoquattrocentesche della scultura italiana.
La sua partecipazione alle più significative mostre nazionali prosegue negli anni seguenti: nel 1930 espone alla XVII Biennale di Venezia il Ritratto di Pitt. Yo-Lin Pan (bronzo, oggi disperso: un altro esemplare è conservato a Roma nella collez. M. Colla); nel '32 ottiene un discreto successo di critica presentando alla III mostra del Sindacato laziale fascista di belle arti tre busti-ritratto, in gesso o terracotta policroma, i quali presentano un impianto compositivo basato sulla costruzione di piani squadrati e sono caratterizzati da una tensione caricaturale che li differenzia in maniera precisa dalle opere precedenti. L'adozione di moduli fortemente espressivi tuttavia rimarrà un episodio limitato nella produzione dell'artista, probabilmente influenzato in questo momento dal clima culturale romano e in particolare da Antonietta Raphael e Mario Mafai che frequentavano il suo nuovo studio di via Margutta.
Le difficoltà economiche cui il C. aveva fatto fronte nei primi anni del suo soggiorno romano lavorando come abbozzatore nello studio di diversi scultori, tra cui Sivio Canevari, furono in parte superate negli anni Trenta grazie ad alcune commissioni per monumenti ufficiali e al conseguimento nel 1936 della cattedra di ornato modellato al liceo artistico di Napoli. L'attività del decennio 1930-40 è dunque subordinata alla partecipazione ai numerosi concorsi per opere ufficiali tra cui si ricordano quelli per il monumento al Bersagliere (1930) e per il monumento al Maresciallo Diaz (1935) a Napoli.
Condizionate dalle esigenze celebrative dei committenti, le opere del C., prevalentemente in pietra, si adeguano forzatamente al gusto ufficiale e risentono delle tendenze arcaizzanti e degli influssi stilistici del Novecento: sono documentate da bozzetti o fotografie degli stessi.
La produzione non legata alle commissioni ufficiali, ugualmente caratterizzata dall'uso della pietra, è prevalentemente orientata verso il ritratto.
Il C. prosegue in questi anni la sua partecipazione ad alcune esposizioni, tra cui si ricordano nel '36 e '37 quelle del Sindacato laziale fascista di belle arti. Nel 1935 trasferisce il suo studio a viale Castro Pretorio dove resterà fino al 1947-48. Nel '39 ottiene la cattedra di scultura al liceo artistico di Roma, presentando, tra l'altro, il bassorilievo in gesso Minotauro chitarrista. L'opera adotta nuovi moduli di ispirazione neocubista e rivela una generica attenzione alle contemporanee esperienze della scultura d'avanguardia europea e in particolare francese. Un'analoga ricerca di semplificazione geometrica in senso cubista si ritrova nelle opere degli anni seguenti fino al 1941-42 (Ragazza, Roma, coll. M. Colla; Uomo che si rade, Roma, coll. Laudisa De Sanctis e Ritratto, Roma, coll. A. Terenzi).
In questo periodo, nonostante la sporadica partecipazione a qualche mostra collettiva, l'artista abbandona la scultura ed inizia un'intensa attività di animatore e organizzatore culturale come consulente prima della galleria "Lo Zodiaco" (1941-44) e poi della "Galleria del secolo" (1944-45). Si tratta di un momento di pausa sul piano della creazione artistica che gli darà modo di entrare nel vivo del dibattito della cultura figurativa italiana. Lo scoppio della guerra offre al C., come del resto a molti artisti italiani, elementi di riflessione sul piano esistenziale, che saranno oggetto d'elaborazione nella sua successiva produzione. Nel dopoguerra partecipa del clima di rinnovamento culturale caratterizzato dalle accese polemiche su astrattismo e realismo, vivendo da protagonista ormai maturo le vicende della ricerca non-figurativa dell'ambiente romano. Fondamentali in questo momento i contatti con il poeta e critico Emilio Villa e con Alberto Burri. Assieme a quest'ultimo, a G. Capogrossi e a M. Ballocco il C. fonda nell'anno 1950 il gruppo Origine: questo proponeva una linea di ricerca non figurativa al di fuori delle tendenze dell'astrattismo classico, considerato come esperienza artistica ormai conclusa. Nel gennaio del 1951 si tenne la prima mostra del gruppo nella galleria che il C. aveva aperto in via Aurora, vicino all'abitazione in cui viveva sin dal '48 con Maria Carbone, che sposerà nel '54.
L'esposizione segna l'esordio del C. come pittore. L'artista presenta infatti una serie di quadri astratti iniziati nel '48. Queste opere, "esercizi astratti classici di ispirazione neoplastica" (Pinto, 1972, p. 53), denotano una completa adesione alle istanze antidecorative contenute nel manifesto del gruppo - pubblicato nel catalogo della mostra - per la "rinunzia ... ad una forma scopertamente tridimensionale", per la "riduzione del colore alla sua funzione più semplice ma perentoria ed incisiva" e soprattutto per la "evocazione di nuclei grafici, linearismi e immagini pure ed elementari". Dal '51 in poi il C. continua intensamente la sua attività culturale legata alla galleria "Origine", proponendosi di realizzare un programma didattico di aggiornamento e di orientamento. Tra le mostre organizzate si ricorda in particolare quella di Balla (1951), che offriva una prima occasione di riflessione sulla problematica culturale del futurismo. Nel '52 esce il primo numero della rivista Arti visive, di cui il C. è il principale ispiratore insieme con P. Dorazio ed E. Villa. L'artista vi pubblicherà numerosi scritti e curerà scrupolosamente la veste grafica fino alla fine del periodico (1958) eseguendo, in collaborazione con Nuvolo (G. Ascani) numerose copertine ed illustrazioni. Nello stesso 1952 la galleria "Origine", trasformatasi nella omonima fondazione, organizza la mostra Omaggio a Leonardo; il C. presenta tre rilievi in legno colorato in cui è evidente la ricerca di nuove soluzioni tridimensionali attraverso "una via più costruttivista che plastica" (de Marchis-Pinto, 1972, p. 18).
Parallelamente a questo tipo di lavori l'artista svolge negli stessi anni (1951-54) nuove elaborazioni plastiche astratto-geometriche che segnano il suo riavvicinamento alla scultura ed il progressivo abbandono della pittura e del rilievo. Si tratta di opere realizzate in lamiera di ferro, materiale di produzione industriale, che sviluppano e articolano nello spazio figure geometriche piane, servendosi di moduli che risentono a volte dell'astrattismo classico (si vedano tra le altre la Grande scultura in ferro, presentata nel 1952 al concorso per il prigioniero politico ignoto, oggi a Milano, coll. M. A. Levi, e la scultura pure in ferro presentata fuori catalogo alla già citata mostra Omaggio a Leonardo).
Dalla sperimentazione astratto-geometrica di questi anni il C. passa tra la fine del '54 e gli inizi del '55 ad una produzione lontana da ogni tematica geometrica ed orientata verso l'assemblage.
Seguendo un procedimento che rimarrà costante nella produzione successiva, lo scultore raccoglie dai depositi alla periferia della città rottami di ferro, residui inservibili di macchinari industriali. In questo primo momento si tratta soprattutto di materiali che provenendo in gran parte dalle rovine della guerra, ne costituiscono una significativa e drammatica testimonianza; dopo aver scelto alcuni pezzi l'artista li monta insieme assecondando, nel corso dell'operazione, l'immagine creativa che l'oggetto "trovato" gli suggerisce; questo tipo di operazione ha il suo antecedente nella poetica dadaista. L'azione del C. tuttavia si basa su un processo creativo che si allontana da ogni casualità ed automatismo nella sua rigorosa disciplina, nel suo rifarsi a precisi criteri sul piano sia manuale sia concettuale. Se anche alla base del gesto del C. si riscontra un atteggiamento di opposizione all'immobilismo della cultura contemporanea e alla civiltà dei consumi (come ammette lo stesso artista nell'intervista a cura di M. Volpi Orlandini, in Marcatrè, maggio 1968, pp. 72 s.), questo si esplica sul piano dell'ironia e non della polemica dissacratoria (intervista, a cura di M. Calvesi, ibid., luglio-settembre 1964, pp. 229-231), com'è ulteriormente sottolineato dal titolo degli assemblages. Nascono in questo momento Il re (Amsterdam, coll. P. Stuyvesand), Pigmalione (Torino, coll. C. Stein), Agreste. Queste ultime due assieme a Continuità (New York, Museum of Modern Art) vengono presentate nel 1955 alla VII Quadriennale di Roma, ma sono rifiutate l'anno seguente alla Biennale di Venezia. La genesi di questo tipo di realizzazioni è descritta dal C. in un articolo pubblicato nel 1957 sul n. 3-4 di Civiltà delle macchine (pp. 38-41), che costituisce anche una sorta di catalogo ragionato della produzione dell'artista dal '55 al '57. E. Villa (in Arti visive, 1956, e in Civiltà delle macchine, 1957, n. 3-4) individua nelle esperienze futuriste e dadaiste, in Calder e Pevsner, Picabia e Gonzales i punti di riferimento essenziali dell'operazione del Colla. G. C. Argan, nella presentazione della mostra allo Stedelijk Muscum di Amsterdam (1960), mette in luce oltre alla tematica dadaista e surrealista anche "il rigore costruttivista che muove da Tatlin e da Rodcenko, ma va via via caricandosi, tenuto conto di talune esperienze di Picasso e di Gonzales, di contenuti più drammatici e di una espressività più intenzionalmente allusiva".
Dopo la mostra a Gargnano del Garda (1956) presentata da M. A. Levi, il C. tiene una personale nel '57 alla galleria "La Tartaruga" di Roma, ottenendo un discreto successo; nello stesso anno partecipa sempre a Roma all'esposizione della Rome-New York Art Foundation e conosce il critico, Lawrence Alloway che lo presenterà con C. Delloye a una mostra presso I'Institute of Contemporary Arts di Londra (1959) e che l'anno seguente gli dedicherà una monografia. Dal '57 il C. si dedica, con interesse crescente fino al '61, alla creazionedi opere con destinazione murale realizzate con una superficie di fondo in lamiera di recupero su cui sono saldati oggetti di scarto, sempre in ferro. In questa serie di rilievi, la cui produzione più significativa (1958-59) viene presentata alla personale presso la galleria "La Salita" nel '59, gli oggetti trovati tendono ad essere assunti unicamente come elementi in ferro e non più come oggetti già costruiti che, rielaborati dall'artista, compongono sculture che rimandano a "personaggi e simboli noti o sconosciuti" (Colla, nel già citato articolo pubblicato in Civiltà delle macchine, 1957, n. 3-4). Significativo in tal senso l'abbandono dei titoli più propriamente allusivi in favore di quegli essenzialmente descrittivi come Concavo e convesso (1957), Rilievo con bulloni (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), Rilievo con spatola (Amsterdam, Stedelijk Museum), Rilievo con anello (Roma, coll. G. de Marchis).
Parallelamente al tipo di sperimentazione portata avanti con i rilievi, il C. prosegue la produzione delle sculture in assemblage. Dopo il '61 tuttavia si delinea con maggiore chiarezza una ricerca di forme pure, attraverso il recupero di elementi che denunciano una matrice geometrica. La linearità e l'interesse per "le cose pulite" a detta dello stesso artista (nella citata intervista di M. Calvesi) sono le caratteristiche dell'ultima fase del suo lavoro. Questo tipo di produzione viene presentato nel 1961 alle due personali alla galleria "La Salita" e alla galleria "Trastevere" di Roma. Nello stesso anno il C. affronta il tema della Spirale che segnerà una modifica nel procedimento d'esecuzione dell'opera. La Spirale infatti, realizzata prima con ferro di recupero in un esemplare alto tre metri, sarà successivamente elaborata in una scultura monumentale eseguita con materiale standard negli stabilimenti dell'Italsider di Bagnoli. Esposta alla mostra Sculture dentro la città a Spoleto nel 1962, la scultura è stata collocata nel 1968 di fronte alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
Negli anni '60 il C. ottiene numerosi riconoscimenti dalla critica che tende spesso ad inserire la sua operazione nell'ambito della poetica newdada.
Numerosissime in questi anni anche le partecipazioni a mostre collettive nazionali e internazionali. Si ricordano, tra le altre, quelle a New York nel '61 (The Art of assemblage, Museum of Modern Art, a cura di W. Seitz) a San Marino nel '63 (Oltre l'Informale, "IVBiennale internazionale d'arte"), a Torino nel '64 (Sculture in metallo, Galleria civica d'arte moderna), nel '65 a Roma (V Rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio e Mostra degli acquisti e delle donazioni dell'anno della Galleria nazionale d'arte moderna) e a Cannes (Aspetti dell'arte italiana contemporanea, organizzata dalla Galleria nazionale di arte moderna di Roma), nel '66 a Parigi (3e Exposition internationale de sculpture contemporaine, Musée Rodin) e ad Edinburgo (Twenty Italian Sculptors, Scottish National Gallery of Modern Art), nel '67 a Spoleto (Collettiva di scultori ed architetti, Modern Art Agency e Standard M.), Foligno (Lospazio dell'immagine, con presentazione di P. Bucarelli), Tokyo (Arte italiana contemporanea, Museo d'arte moderna) e New York (Sculptors from 20 Nations, The Solomon R. Guggenheim Museum), nel '68 a Varsavia (Cento opere d'arte italiane dal futurismo ad oggi, poi replicata a Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e a New York (Recent Italian Painting and Sculpture, The Jewish Museum).
A parte, oltre alle personali alla galleria "La Medusa" di Roma (1966) e alla galleria Stein di Torino (1967) con presentazione di M. Fagiolo, si ricorda la sala allestita nel 1964 alla XXXII Biennale di Venezia che segna il riconoscimento ufficiale dell'opera dell'artista. M. Calvesi, nella presentazione in catalogo, propone una interpretazione in chiave metafisica degli "objets trouvés", non accettata da altra parte della critica tra cui M. Fagiolo (Immobiles e metamorfosi di E. C., in La Botte e ilviolino, settembre 1965, pp. 35-41).
Il C. muore a Roma, nella sua casa di viale Parioli, il 28 dic. 1968, lasciando incompiute una serie di opere dal titolo Rilievi componibili e scomponibili.
Tra le molte mostre postume a lui dedicate vanno ricordate, oltre alla retrospettiva alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma (1970), le personali nel 1972 alla galleria Marlborough di Roma e alla Galleria Blu di Milano; nel '73 la mostra Le sculture di E. C. nella città di Pesaro, organizzata dal comune di Pesaro e dalla galleria "Il Segnapassi" con presentazione di G. Ballo; nel '76 la retrospettiva al Castello Svevo di Bari (catal. di P. Marino); nel '78 la personale organizzata in collaborazione con il comune di Parma alla galleria Niccoli; nel 1980 Sculture in piazza di E. C. organizzata dalla Galleria civica e dal comune di Modena.
Per un elenco completo degli scritti del C. pubblicati in parte su Arti visive, si rimanda alla monografia a cura di G. de Marchis e S. Pinto, Roma 1972, con bibliografia completa fino al 1970.
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