BIGNONE, Ettore
Nato a Pinerolo il 17 dic. (non il 16 luglio) 1879 da Carlo e da Anita Matteucci, il B. si laureò a Torino in lettere (con una dissertazione su Lucrezio) nel 1901 e in filosofia nel 1902. Seguì le lezioni di G. De Sanctis che portava il verbo della scuola romana del Beloch e avrebbe tosto polemizzato cortesemente col Fraccaroli.
Eppure, fra i giovani "classicisti" che, a cavaliere fra i due secoli, frequentavano l'università di Torino (P. Ubaldi, G. Corradi, G. Bertoni, L. F. Benedetto), il B. fu probabilmente il primo, o il più risoluto, ad insorgere contro il "metodo" dominante; ad avvertire, quanto meno, l'insoddisfazione per esso, soprattutto nell'ambito della filologia classica lato sensu intesa. Perciò i maestri più veri, i soli cui si professasse obbligato e si mantenesse fedele, furono in minor misura il Graf e, in primissima istanza, il Fraccaroli.
Devotissimo a quest'ultimo, come attestano anche le sue molte lettere conservate fra le carte del Fraccaroli nella Biblioteca municipale di Verona, il B. dovette sentirsi avvinto e convinto soprattutto dalla sua insurrezione antifilologica, nonché dalla educazione di buon letterato italiano, e dal proposito di un raccordo dialettico fra la scienza e la vita. Ma se il maestro e il discepolo potevano convenire, allora e di poi, massime negli anni della prima guerra mondiale, nella condanna del filologismo, radicalmente però divergevano quanto alle fonti, origini e indirizzi della rispettiva formazione. Veneto e lato sensu carducciano-neoguelfo il Fraccaroli, e uomo risolutamente di ottocentistico "realismo"; piemontese, invece,lato sensu decadente il B., maturatosi nella Torino dell'anticarducciano Thovez e del crepuscolarismo di Guido Gozzano. Ora, da quell'atmosfera fra "morbida" e protestataria, comunque fortemente impegnata, il B. derivò una sua intima componente, che lo differenzia, con la sola eccezione del carducciano Valgimigli, da tutti i nostrani classicisti suoi coetanei. Ebbe, invero, e gli fu rimproverata né gli fu di vantaggio nella "carriera" accademica, un'esperienza filosofico-letteraria, una conoscenza di poesia e di estetizzante letteratura europea, che i filologi né possedevano né desideravano di possedere, considerandola, anzi, uno sviamento. Questa educazione letteraria, d'altronde, difetta, nel B., di un saldo fondamento e metodo storico, di un concreto interesse per la storia e la ricerca storica. Tale deficienza di "storicismo" spiega altresì come il B. poco risentisse della "lezione" crociana, poco applicasse gli strumenti d'intellezione storicistica e storicizzante dell'Antico, apprestati dall'idealismo alla cultura del nostro secolo; e meno citasse o capisse specialmente il Croce, sebbene del Croce interprete dei poeti latini trattasse ex professo nel '46, nel fascicolo celebrativo della Rassegna d'Italia (I, nn. 2-3, pp. 197-206).
Il B., mentre iniziava il suo ventennale tirocinio d'insegnante medio, da un ginnasio di Sicilia al liceo "Manzoni" di Milano, quasi naturalmente venne a consociarsi non con l'antifilologismo, a così dire, filosofico della Critica, ma con l'antifilologismo dei filologi estetizzanti. Non stupisce quindi che, nella scia del Fraccaroli, collaborasse a un periodico imparzialmente anticrociano e antivitelliano, com'erano, o credevano di essere, le fiorentine Cronache letterarie. Quiil B., prima ancora di emergere per il suo lavoro di filologo, diede singolare prova di sé con articoli sul Kierkegaard e sulle condizioni degli studi classici italiani (1910).
Letterato, con parola generalmente aborrita dai filologi, era, e amò proclamarsi, il B., e del letterato italiano ebbe il gusto, quasi il problema e la smania del tradurre in versi conforme all'esempio delle grandi strofe dannunziane di Elettra e d'Alcyone. Anzi qui ebbe la sua ambizione più vera, e meno giustificata o felice.
La dispersa attività e la poco tecnica produzione spiegano perché il B. restasse vittima, nel 1914, in un concorso universitario successivamente annullato, del dissidio fra i due commissari antitetici, il Romagnoli e il Vitelli; sicché il riconoscimento che meritava, di salire in cattedra, a Palermo, gli fu ritardato fino al 1º genn. 1922.
Dell'indirizzo "fraccaroliano" e delle disavventure universitarie si direbbe risentano i suoi scritti negli anni della prima guerra mondiale. Ma essi sono forse più meritevoli di menzione di quanto solitamente non ritengano i critici, dimentichi delle tendenze forse più intime del B. ma non più fruttuose, perché inficiate di decadentismo, dannunzianesimo e rhétorique.
Nella conflagrazione mondiale il B. avvertì un rivolgimento anche di cultura in cui sperò si sarebbe logorato il filologismo germanicizzante, effettivamente poi sostituito, sebbene per scarso merito e contributo del B., dallo storicismo idealistico. Non per mera fedeltà discepolare, quindi, aderì a quell'"esame di coscienza" che si ebbe per molti, e tra i migliori, con la fondazione della Nuova rivista storica. Vicollaborò piuttosto attivamente fin quando perdurò la battaglia filologico-politica, e vi stampò il meglio che in quegli anni scrivesse.
In primo luogo l'articolo (ristampato nel volumetto di vari autori,Per l'italianità della coltura nostra, Milano-Roma-Napoli 1918, pp. 81-92) Le discipline storiche e l'Italia presente, in cui attualisticamente rivendica il carattere storico dell'attività filologica e il carattere etico-filosofico dell'attività storiografica, mentre agl'imitatori della Germania, quand'anche convertitisi all'antigermanesimo "di guerra", rimprovera di aver conosciuto e imitato la "sola" Germania guglielmina, senz'avvedersi di quanto fosse inferiore alla Germania dell'idealismo romantico: anche, e soprattutto, nell'ambito degli studi classici. Sempre sulla stessa rivista scrisse di Antifonte e la sofistica (tutta la serie dei saggi in materia fu quindi ripubblicata, Napoli 1938, negli Studi sul pensiero antico). È rimasta classica, e acquisita alla scienza, la distinzione che, grazie alle scoperte papiracee, il B. istituì fra Antifonte oratore oligarchico,leader della rivoluzione ateniese dei Quattrocento (411 a.C.), e Antifonte sofista; il quale ultimo, ben lungi dall'essere un sovvertitore della polis, si poneva anzi sul terreno della città per l'educazione democratica dei cittadini, ed era quindi in quella traiettoria di pensiero pedagogico, politico-pratico che da Protagora condusse, nel secolo successivo, ad Isocrate. Donde altresì un'esegesi della sofistica assai più concreta e storica che non prevalesse al tempo del B., e che per gran parte si è poi affermata e ha prevalso, grazie ai suoi studi, dopo di lui.
Questa felice stagione nell'attività del B. fu però breve, perché tosto acquistarono maggiore spicco presso i suoi critici, e più amore in lui, gli scritti che non è detto siano i suoi migliori. Erano, e restano, comunque, i più indicativi del suo gusto e del suo indirizzo l'Empedocle e la versione di Epicuro (rispettivamente Torino 1916 e Bari 1920), l'Epigramma greco (Bologna 1921) e le versioni di poesia greca cui diede il titolo di Eros (Torino 1921).
L'Empedocle rivela il meglio e il peggio del B.: cioè l'incontinenza verbale, il girare intorno a un problema senza né formularlo esattamente né centrarlo per avviarne la soluzione, lo strafare per amore di letteratura. Altrettanto è da dire dell'Epigramma greco.
La scelta dei temi è, tuttavia, significativa. Benché abbia successivamente scritto sui tragici greci, su Orazio e su Cicerone, il B. ha infatti preferito sempre le età "crepuscolari", il tardo medioevo ellenico o l'età ellenistica, al classico (vuoi dell'età di Pericle vuoi dell'età di Augusto). Si direbbe che abbia voluto mettere in luce segnatamente quanto di decadentistico e umbratile offriva, o pareva offrire, quella Grecia ch'egli vide pressocché sempre attraverso lo Swinburne, i francesi fin de siècle e l'antropologismo anglosassone, conforme alla traccia e alla suggestione del primo Romagnoli. Non è per altro né superficiale né di maniera il quadro che dell'Alessandria di Tolemeo Filadelfo colorisce il capitolo centrale del Teocrito (Bari 1934).
Teocrito parve al B. tanto più meritasse le sue cure di poetico traduttore (Palermo 1924) e d'interprete, in quanto era egli stesso ritornato a godere e a comprendere nella stessa Sicilia l'animus dello scrittore.
Allorquando fu trasferito dalla cattedra di letteratura greca in Palermo alla cattedra di filologia classica nell'università di Firenze (16 genn. 1925), tali sue impostazioni quasi divennero un modo di affermarsi, e distinguersi, di contro alla perdurante tradizione vitelliana e alla personalità prepotente di G. Pasquali.
Non fu, peraltro, né armonica né felice la collaborazione di due spiriti antitetici, storicistico il Pasquali e sensibilistico-letterario il B.: onde la filologia rimase in quest'ultimo inerte deità, invano cantata nel proemio alla nuova serie di Atene e Roma (della quale il B. assunse la direzione nel 1933).
Prima d'un infelice decennio di "ufficialità" (ebbe nel '38 il premio Mussolini, fu ascritto nel '39 all'Accademia d'Italia, e quasi a corrispettivo intraprese l'immensa e sterile mole d'una Storia della letteratura latina - dopo aver rinunziato ad analogo progetto grandioso d'una Storia della letteratura greca appunto per dare la priorità alla rivendicazione d'una, fra littoria e umanistica, "romanità" - i cui soli tre volumi usciti giungono fino ai prosatori dell'età ciceroniana), il B. poté tuttavia dare il meglio di sé, l'opera sua più durevole, i due volumi dell'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro (Firenze 1936).
Con l'entusiasmo dello scopritore, e gl'inevitabili difetti di quest'entusiasmo, venne redigendo tutta una serie di capitoli sulla genesi della filosofia di Epicuro, che per il B. nasceva in opposizione alla persona, alla filosofia, e soprattutto agli scritti "essoterici", di Aristotele, col fermo proposito di screditare, anche politicamente, gli uomini della scuola peripatetica e di sostituire ad essa la propria. Talune scoperte sono rimaste inconcusse: massime il trapasso di Aristotele dalla endelechia, o quinta natura, della sua mistica giovanile, alla entelechia del suo pensiero più maturo e più proprio; il ribadimento della popolarità degli scritti protrettici rispetto agli scritti "acroamatici"; le probabili intese di Epicuro con Antigono Monoftalmo e Demetrio Poliorcete (dunque, un Epicuro assai più impegnato a cogliere gli umori e a corteggiare i potenti del tempo che la tradizionale atarassia e la presunta apolitica del filosofo, della speculazione ellenistica in genere, non avessero finora indotto a supporre). Né, ovviamente, il B. sarebbe giunto ai risultati che poté conseguire se non avesse amato di costante amore Lucrezio, non avesse avvertito in se stesso una forte - quantunque incoerente - passione filosofica, non avesse studiato a fondo Epicuro ed Empedocle, né avesse colto simpateticamente l'atmosfera e la humus della grecità ellenistica. Che è il compito proprio dello storico quale, nell'Aristotele, al suo meglio il B. si rivela.
Il B. si spense a Firenze, e nella solitudine di aspri dolori, l'11 ag. 1953.
Una incompleta bibliogr. degli scritti del B. fu compilata dall'allieva M. R. Posani in Atene e Roma, XI-XII (1953), pp. 171-76; vi manca però il rinvio all'articolo "crociano" nella Rassegna d'Italia citato nel testo. Fra gli inediti sono compresi la completa traduzione poetica di Catullo e il grosso di quello che doveva essere il IV volume della Storia della letteratura latina. Oltre a quelli citati, i libri più importanti del B. sono: Poeti apollinei (Bari 1937); Sofocle,Le tragedie, traduzionecon saggi critici introd. (Firenze 1937-1939); Eschilo,Le tragedie (traduzione, Firenze 1939); Il libro della letteratura greca (Firenze 1942); Il libro della letteratura latina (Firenze 1946).
Bibl.: Necrologi di U. E. Paoli, E. B., in Atene e Roma, XI-XII (1953), pp. 161-164 ; E. Garin,E. B. storico della filosofia,ibid., pp. 165-170; L. Alfonsi,Ricordo di E. B., in Convivium, XXII (1954), pp. 373-377; D. Pesce,E. B. interprete del mondo classico,ibid., n.s., I (1956), pp. 127-140; V. Bartoletti, in Gnomon, XXVI (1954), pp. 429-431. Saggi critici di G. Semerano,Scienza e dolore. Un grande filol. classico: E. B. (Firenze 1960), e nel miscellaneo volume IX (1965) dei Quaderni della Biblioteca filosofica di Torino (specie il discorso di V. E. Alfieri,Ricordo di E. B., ristampato col titolo La filosofia e la poesia greca nell'opera di E. B., in Filosofia e filologia, Napoli 1967, pp. 198 ss., e cfr. anche nello stesso volume alle pp. 142 ss.). Giudizi di M. Valmigigli, in Poeti e filosofi di Grecia, II, Firenze 1964, p. 539, e in Carducci allegro, Bologna 1968, pp. 543 ss.; G. A. Piovano,Gli studi di greco, Roma 1924, pp. 23, 37-38; G. Calogero, A. Rostagni ed E. Paratore, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, I, Napoli 1950, pp. 53-56, 404, 431-432 (rispettivamente). Recensioni: al Teocrito, M. Pohlenz, in Gött. geleh. Anzeigen, CXCVII (1935), pp. 378-399 (ristampata in Kl. Schriften, Hildesheim 1965, II, pp. 84-96); alla versione di Sofocle, V. E. Alfieri, in La nuova Italia, X (1939). pp. 1 ss.; all'Aristotele, fra le molte e importanti di L. Limentani, V. E. Alfieri e altri nelle maggiori riviste italiane e straniere, anni 1936-1937, memorabili quelle di M. Pohlenz, in Gött. geleh. Anzeigen, CXCVIII(1936), pp. 514-531 (ristampata in Kleine Schrifte, I, pp. 589-605) e A. Omodeo,Il senso della storia, Torino 1955, pp. 75-77.