BERTOLE' VIALE, Ettore
Nacque a Genova il 25 novembre 1829 da Felice Francesco, generale dell'esercito sardo, e da Antonietta Bertolè; entrato all'Accademia militare di Torino nel novembre 1844, ne uscì col brevetto di sottotenente. Assegnato al 13° reggimento di fanteria, brigata Savona, alla vigilia della prima guerra d'indipendenza, vi partecipò conseguendo la promozione a tenente. Trasferito nel Corpo di Stato Maggiore, che il La Marmora andava riorganizzando, lasciò il reggimento nel 1850. Promosso capitano di Stato Maggiore con regio decreto 15 marzo 1855, prese parte alla spedizione di Crimea; il generale M. Fanti, comandante di una delle brigate del corpo di spedizione, avuto modo di apprezzarne le capacità, lo volle successivamente con sé.
Assegnato allo Stato Maggiore della 2a divisione, comandata dal Fanti, il B. fece la campagna del 1859; distintosi per la brillante condotta tenuta nei combattimenti della Sesia, a Confienza e a Pozzolengo, a Magenta e a Madonna della Scoperta (alture del Redone), fu insignito della medaglia d'argento al valor militare e della croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia. Dopo l'armistizio di Villafranca seguì, in qualità di segretario particolare, il gen. Fanti, inviato nell'Italia centrale con incarichi speciali e vasti poteri per rafforzare e organizzare le formazioni militari emiliane, toscane e degli ex ducati di Modena e di Parma, e integrarle nell'esercito piemontese.
Promosso maggiore e quindi tenente colonnello, il B. nel settembre 1860 fu incorporato nello Stato Maggiore dell'armata d'operazione per le Marche e l'Umbria, sempre alle dipendenze dirette del Fanti, e svolse parte di rilievo nel coordinare i movimenti tra il corpo di spedizione, che scendeva per la via di terra, e le truppe sbarcate nel Napoletano dalla divisione navale comandata dall'ammiraglio Persano. Segnalatosi nella fase finale della campagna, quando le truppe regie investirono con potenti artiglierie le piazzeforti di Capua e di Gaeta, venne nominato ufficiale dell'Ordine militare di Savoia.
L'incorporazione del disciolto esercito delle Due Sicilie nell'esercito italiano, e più ancora quella dei volontari garibaldini organizzati nel cosiddetto "Esercito meridionale", rappresentarono per Fanti, divenuto nel gennaio 1860 ministro della Guerra, due difficilissimi obiettivi di politica militare. Nominato suo capo di gabinetto nel 1861,quindi segretario generale al ministero della Guerra e colonnello, il B. fu tra quelli che ne attuarono le disposizioni relative allo scioglimento dei reparti volontari dell'Esercito meridionale, tendenti alla discriminazione sistematica degli ufficiali di tendenza garibaldina, e alla formazione di una nuova casta militare dominata dall'alta ufficialità piemontese.
Dimissionario il ministero per la morte del Cavour, il B. seguì il Fanti nominato comandante del V Dipartimento militare come capo di Stato Maggiore. Nel 1866, primo ministro il La Marmora, fu promosso maggior generale e gli venne affidato il comando dell'intendenza generale dell'esercito, che tenne durante lo svolgimento della guerra contro l'Austria.
Nominato aiutante del re ed eletto deputato dal collegio di Crescentino (Vercelli) per la X legislatura (22 marzo 1867), si presentò alla Camera quale esponente degli ambienti militari e di corte. Godeva inoltre della particolare benevolenza del sovrano, e fu naturale quindi che la scelta a ministro della Guerra nel primo ministero Menabrea cadesse su di lui, nel momento in cui la spedizione garibaldina nello Stato pontificio apriva una grossa crisi politica e diplomatica, e occorreva un uomo forte che mantenesse saldamente il controllo dell'esercito.
Conclusasi l'invasione degli Stati romani con la sconfitta di Mentana, richiamata la classe del 1842 per fronteggiare ogni evènienza e frettolosamente ricostituiti i quarti battaglioni nei reggimenti di fanteria e le quarte compagnie nei battaglioni bersaglieri, la spesa del dicastero si dilatò oltre il previsto e venne a sommarsi col passivo dell'esercizio precedente provocato dalla guerra del 1866: di conseguenza l'operato del B. al ministero della Guerra fu profondamente condizionato dall'esigenza di realizzare sostanziali economie. Quanto alla principale riforma da lui preparata - il nuovo progetto di legge sul reclutamento per il quale il servizio militare era dichiarato obbligatorio per tutti, riducendosi la ferma a quattro anni, ma aumentando compensativamente il contingente di prima categoria secondo il sistema prussiano - essa non giunse ad essere approvata per la caduta del ministero, Menabrea (14 dic. 1869).
Nel nuovo ministero Lanza, nonostante le pesanti pressioni del re - come risulta dal diario Castagnola (Da Firenze a Roma. Diario stor. politico, Torino 1896, p. 33) - il B. rimase escluso dalla compagine ministeriale. Promosso tenente generale nel 1874, assunse il comando del corpo di Stato Maggiore, che resse fino al 1881; ancora nel 1877 il re ricordava al Depretis il nome del B. quale possibile ministro della Guerra, in occasione del rimpasto del 26 dicembre; morto Vittorio Emanuele II, fu inviato a Vienna per annunciarvi l'ascesa al trono di Umberto I.
Passato nel 1881 dal comando del corpo di Stato Maggiore a quello del VI corpo d'armata, con regio decreto 12 giugno dello stesso anno veniva nominato senatore; ancora nel dicembre 1884 veniva fatto il suo nome quale possibile ministro della Guerra in sostituzione del Ferrero, ma gli era preferito il Ricotti; nello stesso anno veniva trasferito al comando dell'VIII corpo d'armata.
Tre anni dopo, in conseguenza della crisi seguita a Dogali, veniva chiamato dal Depretis a sostituire il Ricotti al ministero della Guerra (4 apr. 1887); morto il Depretis, Crispi lo mantenne nello stesso incarico. che resse ininterrottamente dal 29 luglio 1887 al 6 febbr. 1891.
La sua permanenza al ministero fu stavolta caratterizzata dai maggiori stanziamenti accordati al bilancio della Guerra, al fine di coprire le cresciute spese derivanti dal nuovo corso impresso alla politica estera italiana, che imponeva un accelerato riarmo. Da un lato, si adoperò per dare sollecita attuazione alla convenzione militare proposta da Crispi a Bismarck nel 1888, la quale prevedeva che in caso di guerra tra le potenze centrali e la Francia o la Russia, l'Italia non solo avrebbe attaccato la Francia, ma inviato in Germania non meno di sei corpi d'armata e tre divisioni di cavalleria. Dall'altro, non cessando di prodigarsi per il miglioramento dell'efficienza bellica del contingente italiano in Africa, fu impegnato in una polemica, protrattasi a lungo con Crispi, sulle prospettive e le possibilità delle operazioni militari in Africa dopo Dogali, polemica nella quale prevalse la sua influenza per una condotta oltremodo prudente delle operazioni stesse.
Collocato a disposizione per raggiunti limiti di età nel 1891, il B. morì a Torino il 13 nov. 1892.
Bibl.: T. Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Roma 1896, pp. 121-122; Diz. del Risorg. naz., II, p. 264; Enciclopedia militare, II, p. 227; vedi, inoltre, un breve profilo biogr. in Nuova Antol.,16 nov. 1892, pp. 342-344.
Sulla sua opera quale ministro della Guerra nel ministero Menabrea, cfr. P. Pieri. Le forze armate nell'età della destra, Milano 1962, pp. 81-469. Sulle pressioni dei re per la sua nomina a ministro della Guerra nel gabinetto Lanza (6 sett. 1870), vedi F. Chabod, Storia della polit. estera ital., Bari 1951, p. 661 n. Sull'incarico affidatogli da Vittorio Emanuele II di recarsi in Vaticano, oltre a G. Finali, Memorie, con introduz. di G. Maioli, Faenza 1955, pp. 353 s., e A. Monti, Vittorio Emanuele II, Milano 1941, pp. 390 s., vedi P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele dal loro carteggio privato, II, 2, Roma 1961, p. 312, nota 1. Per nuovi interventi del re a favore del B. durante la crisi del 1877, vedi ancora Chabod, p.670. Cenni sul suo atteggiamento per la formazione del governo Depretis-Crispi del 1887 in G. Carocci, A. Depretis e la politica interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 634, 636, 639, 640. Sulla sua nomina a ministro della Guerra, cfr. Dalle carte di G. Giolitti. 40 anni di politica italiana, I, Milano 1962, p. 7. Sulla sua azione durante la permanenza al ministero, vedi R. Battaglia, La Prima guerra d'Africa, Torino 1964, passim e bibl. ivi citata.